Una buona dose di fitness, anche iniziando nella mezza età, riduce il rischio di depressione in età avanzata e di morte per malattie cardiovascolari, è questa la conclusione dello studio americano Midlife Fitness and the Development of Chronic Conditions in Later Life, pubblicato sulla rivista JAMA Psychiatry.
Sia la depressione che le malattie croniche, soprattutto cardiovascolari, sono comuni nelle persone anziane e i tassi di depressione sono alti in presenza di malattie cardiovascolari, specialmente di ictus. Inoltre la depressione è un fattore di rischio di morte nei pazienti con malattie cardiovascolari.
L’associazione tra fitness e mortalità, dopo modifiche di altri fattori di rischio, è ormai stabilita, ciò che invece rimaneva insondata era la correlazione tra ginnastica e sviluppo o meno di condizioni croniche non fatali in età avanzata, incluse depressione e malattie cardiovascolari.I ricercatori del Cooper Institute di Dallas hanno quindi raccolto i dati dal 1970 di 18.670 soggetti di ambo i sessi, di età media di partenza di 50 anni, che al 2009 avevano compiuto almeno 65 anni. Di questi hanno raccolto informazioni sulla salute e sulle abitudini comportamentali, compresa la pratica o meno di ginnastica aerobica (camminate, jogging, corsa), e ne hanno seguito gli sviluppi per una media di 26 anni. Tra di essi vi erano 2.701 diagnosi di depressione e 841 decessi cardiovascolari.
Nel campione esaminato, i tassi di depressione e di malattie cardiovascolari sono diminuiti costantemente con l’aumento della forma fisica nella mezza età. Rispetto a coloro che praticavano meno attività fisica, le persone più dedite al fitness mostravano il 16% in meno di probabilità di sviluppare depressione, il 61% in meno di probabilità di avere malattie cardiovascolari senza depressione e il 56% in meno di probabilità di morire di malattie cardiovascolari a seguito di depressione.
In questa coorte di adulti sani di mezza età, la pratica del fitness era dunque associata ad un livello di rischio significativamente inferiore di sviluppare malattie croniche durante i 26 anni di follow-up. Questi risultati suggeriscono che una maggiore attività fisica durante la mezza età può essere associato alla compressione di morbilità in età avanzata: ‹‹C’è una connessione a lungo termine tra fitness, depressione e morte cardiovascolare – ha spiegato l’autore principale, il dott. Benjamin L. Willis, direttore di Epidemiologia presso il Cooper Institute di Dallas – Ed è qualcosa che puoi affrontare con un comportamento modificabile. Non è mai troppo tardi per scendere dal divano e iniziare a fare attività fisica››.
Autore: L'Incontro
Il servizio informativo per i pazienti del Centro "L'Incontro" a Teano (CE).
Con la sempre più alta diffusione e frequentazione di spazi condivisi come, ad esempio, i centri benessere, si è recentemente riproposta la questione della sicurezza nell’uso del tradizionale sapone in barrette rispetto al sapone liquido, si è infatti diffuso il timore che lavarsi le mani con una saponetta già utilizzata da altri possa trasmettere infezioni.
Tale timore è però infondato, e a fare chiarezza in merito è stato qualche giorno fa il dott. Richard Klasco (membro del Dipartimento di Medicina d’Urgenza della Medical School di Harvard), che sulle pagine del New York Times ha ribadito che la saponetta non ha la capacità di trasmettere malattie e il suo uso non causa rischi per la salute, nemmeno se avviene in luoghi molto frequentati come i centri benessere, e a provarlo sono i numerosi studi effettuati negli ultimi cinquant’anni.
Lo studio più rigoroso sul tema fu pubblicato nel 1965. Gli scienziati condussero una serie di esperimenti in cui intenzionalmente contaminarono le loro mani con circa cinque miliardi di batteri, ceppi patogeni come Stafilococco ed Escherichia Coli. Dopo la contaminazione, ognuno di essi si lavò le mani con una saponetta e con quella stessa saponetta fece lavare una seconda persona non contaminata. Ebbene non vi fu alcun trasferimento di batteri tra i due soggetti, dunque gli studiosi conclusero che ‹‹il livello di batteri che possono arrivare sulle saponette, anche in condizioni di utilizzo estreme (uso intenso, piatti di sapone non drenanti progettati male, ecc.), non costituisce un rischio per la salute››.
Nel 1988 un produttore di sapone commissionò un altro studio che sostanzialmente confermò questi risultati. Gli scienziati inocularono Escherichia coli e Pseudomonas nelle barrette di sapone, e con queste fecero lavare le mani a 16 soggetti, ma dopo il lavaggio nessuno di essi mostrò livelli rilevabili di batteri. Così gli scienziati conclusero che ‹‹nel lavaggio quotidiano delle mani con saponette precedentemente utilizzate, il rischio è molto basso››.
Da allora studi occasionali hanno documentato la presenza di batteri ambientali sulle saponette, ma nessuno di essi ha dimostrato che queste diventino fonte di infezione. Al contrario, studi recenti continuano a dimostrare la capacità del semplice saponetta di combattere le infezioni, persino durante epidemie di infezioni gravi come il virus Ebola.
Ma una bottiglia di sapone liquido sarebbe una scelta migliore della saponetta? A partire dagli anni 80, scienziati con interessi proprietari contrastanti si sono scontrati sui presunti benefici del sapone in barretta rispetto al sapone liquido. Gran parte della contesa ruotava attorno al numero di batteri trovati sulla superficie della saponetta o della bottiglia di sapone. Ma la domanda chiave rimane non se i batteri ambientali sono presenti ma se essi rappresentano un rischio di infezione.
I Centri nazionali per il controllo e la prevenzione delle malattie, seguendo le direttive dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, raccomandano il lavaggio delle mani con il sapone come difesa primaria contro le infezioni, senza distinzione tra l’uso del sapone in barrette e quello in forma liquida. Pertanto, l’unico errore da non commettere, è quello di rinunciare a lavarsi le mani a causa di una paura infondata di contaminazione.
Come lavarsi correttamente le mani secondo l’OMS? Bagnare le mani con acqua corrente pulita (calda o fredda) e applicare sapone su tutta la loro superficie, strofinandole insieme, con gesti che puliscano a fondo i palmi, i dorsi, le dita, le zone tra le dita e sotto le unghie. Continuare questa operazione per almeno 20 secondi. Infine risciacquare le mani sotto l’acqua corrente pulita, chiudere le manopole del lavandino con una salvietta pulita e asciugare le mani con un asciugamano pulito. Tutta l’operazione deve durare almeno 40-60 secondi, il tempo di canticchiare due volte la canzoncina di “Buon Compleanno”.
Il KIT: antidolorifici, antinfiammatori e antipiretici, contro dolore e febbre (ad esempio paracetamolo, ibuprofene e acido acetilsalicilico); un farmaco per la nausea da viaggio; antidiarroici, utili soprattutto se si affrontano viaggi in Paesi dove le condizioni igieniche sono precarie, per contrastare i sintomi della cosiddetta “diarrea del viaggiatore”; una crema a base di idrocortisone allo 0,5%, per lenire punture di insetto e scottature; materiali per il primo soccorso, ovvero cerotti, garze e disinfettanti; in caso di terapia giornaliera, non dimenticarsi i farmaci che si usano abitualmente E’ buona regola, per ognuno di questi farmaci, portarsi dietro quelli già “collaudati”, onde evitare effetti indesiderati.
DOVE E COME Di norma i farmaci andrebbero conservati a una temperatura non superiore ai 25° C, dunque dovrebbero essere riposti sempre in luoghi freschi e asciutti, in casa, ad esempio, è meglio prediligere il salotto, la camera da letto o il ripostiglio. Le stanze più calde o soggette a maggiore umidità come la cucina e il bagno, invece, non sono l’ideale perché a lungo andare potrebbero alterarNE caratteristiche e qualità.
In aereo – riporre i farmaci nel bagaglio a mano. Se Si segue una terapia con farmaci salvavita, è necessario accompagnarli con le relative ricette di prescrizione, che potrebbero essere richieste nelle fasi dei controlli di sicurezza in aeroporto. I liquidi di volume non superiore a 100 ml possono essere trasportati all’interno del bagaglio a mano e devono essere riposti in una busta di plastica trasparente e richiudibile, da presentare separatamente durante le fasi di controllo. Nel caso in cui i liquidi superino il volume di 100 ml, invece, se devono essere utilizzati durante il viaggio a fini medici o per un regime dietetico speciale (come nel caso degli alimenti per neonati), sono ammessi solo nella quantità necessaria alla durata del viaggio e vengono sottoposti a controllo. Non c’è alcuna restrizione, invece, per medicinali solidi come compresse e capsule.
In auto – Evitare cruscotto e bagagliaio, specie se la macchina rimane parcheggiata in una zona soleggiata per ore, piuttosto scegliere di trasportarli nell’abitacolo condizionato. I farmaci però non devono mai restare a contatto con accumulatori di freddo, poiché anche le temperature troppo basse rischiano di danneggiarli; se i prodotti liquidi come le insuline dovessero congelarsi, infatti, potrebbero subire alterazioni. Se si portano medicinali per una terapia quotidiana che necessitano di una temperatura tra i 2° e gli 8° C, può essere utile ricorrere ai contenitori termici refrigeranti per medicinali. Vanno tenuti al fresco anche alcuni test che si usano per la glicemia, la gravidanza e l’ovulazione e i farmaci spray, poiché anche questi prodotti patiscono l’umidità e il calore. E’ bene comunque verificare le singole modalità di conservazione indicate sulla confezione o sul foglietto informativo. Stesse regole valgono per il trasporto in treno, e tutti quei prodotti che non richiedono un contenitore termico, possono essere riposti nel bagaglio.
IN CASO DI ERRORE: Se i farmaci vengono lasciati a temperature superiori ai 25° C per una o due giornate, prima di utilizzarli, è necessario controllarne bene l’aspetto e verificare che non appaiano diversi dal solito, che non abbiano cambiato odore, colore o consistenza, e che non ci sia la presenza di particelle solide in sospensione o sul fondo.
Bere caffè è associato a tassi di mortalità più bassi, ma un nuovo studio osservazionale pubblicato sul JAMA Internal Medicine, suggerisce che la non è la caffeina ad essere responsabile di questo beneficio.
I ricercatori hanno analizzato i dati demografici e sanitari di 498.134 cittadini britannici di età media 57 anni, incluse le informazioni sul consumo di caffè e sui polimorfismi genetici che influiscono sul metabolismo della caffeina. Più di tre quarti di essi erano bevitori di caffè, e in oltre 10 anni di follow-up, si sono riscontrati in totale 14.255 decessi.
L’analisi su tutti i soggetti, stratificata per età, razza, fumo, sesso, indice di massa corporea, consumo di alcol e altri fattori di salute e comportamentali, ha rivelato che, con l’aumentare del consumo di caffè, il rischio di morte per qualsiasi causa, e in particolare per alcuni tipi di cancro e malattie cardiovascolari, diminuiva costantemente.
Chi beveva una tazza al giorno aveva un rischio inferiore del 6% rispetto a chi ne beveva di meno, e le persone che bevevano otto o più tazze al giorno avevano un rischio inferiore del 14%. Le associazioni erano simili per caffè macinato e istantaneo e per caffeina e decaffeinato, inoltre, non vi è stata differenza tra le persone che presentavano o meno poliformismi genetici che rallentavano il metabolismo della caffeina.
Quindi bisogna bere più caffè per allungare la vita? No, secondo Erikka Loftfield, autrice principale dello studio e ricercatrice presso il National Cancer Institute, ‹‹Questo studio semmai fornisce rassicurazioni ai bevitori di caffè, non suggerimenti. I risultati non indicano che le persone dovrebbero iniziare a bere caffè per i suoi benefici per la salute, bensì che esso può continuare ad essere parte di una dieta salutare››.
La birra non è solo una bevanda, ma può essere ormai considerata come un vero e proprio alimento. Può accompagnare le pietanze, diventarne ingrediente, donare sapore o, addirittura, stravolgere le ricette. Una vera e propria rivoluzione, quella della birra in cucina, che si presta ad abbinamenti nuovi e creativi – come quello con il cioccolato, ad esempio. Una lager è perfetta per fare gli impasti delle torte o le salse delle insalate; le porter si possono usare nei dolci; quelle d’abbazia stemperano gli stufati cotti a fuoco lento. Ma tanti anche sono i falsi miti che l’accompagnano. Analizziamone cinque: 1. Disseta più di altre bevande. In generale non è vero che le bevande alcoliche dissetino, anzi, al contrario, disidratano; l’alcol, infatti, richiede una maggiore quantità di acqua per il suo metabolismo e in più aumenta la perdita di acqua con le urine. 2. Aiuta la digestione. Tutt’altro: la birra rallenta e produce ipersecrezione gastrica. Non aiuta di certo la digestione. 3. Si può bere in gravidanza. Come riporta il Centro di ricerca per gli alimenti e la nutrizione nelle sue linee guida, le donne in gravidanza dovrebbero astenersi dal bere birra. L’alcol ingerito dalla madre giunge dopo pochi minuti nel sangue del feto, che non è in grado di metabolizzarlo, di conseguenza l’alcol e i suoi metaboliti si accumulano nel suo sistema nervoso e in altri organi, danneggiandoli. Anche durante l’allattamento andrebbe evitato: l’alcol infatti arriva al bambino tramite il latte, rischiando di provocare danni. Meglio quindi astenersi dal bere o comunque diminuirne drasticamente le. La convinzione che la birra favorisca la secrezione del latte è assolutamente priva di qualsiasi fondamento scientifico. 4. Si può usare come crema solare. Assolutamente no. Usare la birra come abbronzante può essere pericoloso: esporsi al sole senza opportuna protezione mette a rischio di scottature ed eritemi. 5. Rinfresca berla in spiaggia. In generale quando si è in spiaggia è meglio evitare di bere alcolici: l’alcol rallenta i riflessi e questo effetto potrebbe essere pericoloso prima di una nuotata. Se si beve una birra in spiaggia, meglio restare sotto l’ombrellone e aspettare di aver smaltito gli effetti dell’alcol prima di entrare in acqua. Con il caldo gli alcolici vanno evitati perché favoriscono la disidratazione.