«Un’infezione virale potrebbe contribuire a scatenare la celiachia, in chi è geneticamente predisposto». E’ quanto recentemente dimostrato da un progetto finanziato da Fondazione dell’Associazione Italiana Celiachia (AIC), presentati in anteprima in occasione del 7° Convegno Nazionale, secondo cui «la gliadina e i virus attivano gli stessi meccanismi che, in soggetti predisposti, possono contribuire alla comparsa della celiachia».
Stando a quanto riferito dall’AIC, gli studi condotti hanno verificato che «in soggetti geneticamente predisposti alla celiachia i virus, assieme a specifici “pezzetti” di glutine, potenziano la risposta immunitaria innata dell’organismo contro le infezioni virali», ciò attraverso l’attivazione di un meccanismo che provoca «un’infiammazione locale», ma soprattutto «innescando una reazione autoimmune che può portare alla comparsa della celiachia».
Il coordinatore dello studio, Riccardo Troncone, docente di pediatria del Dipartimento di Scienze mediche traslazionali dell’Università Federico II di Napoli, ha spiegato che «con il nostro progetto abbiamo voluto capire se fra risposta al glutine e risposta ai virus ci siano similitudini e soprattutto se queste risposte possano sommarsi: numerosi studi epidemiologici e genetici indicano infatti che altri fattori ambientali oltre al glutine, in primo luogo i virus, potrebbero essere in grado di innescare la celiachia in individui geneticamente suscettibili». Troncone spiega che, nel corso dei tre anni del progetto, «abbiamo anche verificato che il peptide della gliadina P31-43, che si trova nel glutine e resiste alla digestione intestinale, attiva l’immunità innata così come le proteine dei virus: queste molecole possono perciò agire in sinergia. In entrambi i casi, negli esperimenti su cellule, si è notato anche un aumento del traffico delle vescicole all’interno delle cellule stesse che porta a un incremento dell’infiammazione: questi dati indicano perciò che le proteine presenti nel glutine, insieme a quelle virali, possono simulare e potenziare la risposta immunitaria innata ai virus, contribuendo a innescare la celiachia in soggetti geneticamente predisposti».
Autore: L'Incontro
Il servizio informativo per i pazienti del Centro "L'Incontro" a Teano (CE).
Quante volte ci siamo chiesti in che modo poter smaltire i farmaci scaduti o inutilizzati e, alla fine, abbiamo buttato tutto nella spazzatura? Smaltire i farmaci scaduti in maniera sicura e corretta consente di limitare gli innumerevoli danni all’ambiente. I farmaci non smaltiti correttamente infatti raggiungono direttamente gli impianti di depurazione, le acque superficiali, le acque potabili e quelle di falda. Tale contaminazione è altamente dannosa in maniera diretta per l’uomo, ma anche indiretta, passando per gli animali. Per alcune categorie di farmaci, come gli antibiotici, c’è un danno diretto all’ecosistema acquatico, creando anche in tal caso, come nell’uomo, resistenza batterica, ovvero, rendendo i batteri sempre più invincibili, dando loro la possibilità di difendersi diventando “resistenti” al principio attivo.
Pertanto, ecco alcuni consigli pratici su come smaltire correttamente i farmaci scaduti o non utilizzati. Si parte dalla parte esterna del prodotto, ovvero l’imballaggio, che nella maggior parte dei casi è di carta e va smaltita nell’apposito contenitore. Stesso ragionamento si applica al foglietto illustrativo di carta. Blister, tubetti e bustine vuote, che generalmente sono in alluminio ma anche in sostanze plastiche, vanno smaltite negli appositi contenitori domestici, a seconda di cui è fatto il materiale. Attenzione però, se tali parti contengono residui di farmaco, è bene effettuare lo smaltimento nell’apposito contenitore dislocato in farmacia. Per gli integratori, che non sono veri e propri farmaci, si deve differenziare la carta nell’apposito contenitore, il blister nella plastica e l’integratore nell’indifferenziata. Per quanto attiene blister e boccette che contengono ancora un certo quantitativo di farmaci, vanno smaltiti esclusivamente negli appositi contenitori, solitamente disposti all’esterno della farmacia di fiducia. Può capitare che in alcuni casi tale contenitore è disponibile all’esterno della casa comunale. Questa regola vale anche per siringhe, termometri, disinfettanti e simili, che vanno smaltiti a seconda del materiale di cui sono fatti e a seconda che contengano materiale residuo o che siano stati usati o meno: in questo ultimo caso, vanno smaltiti negli appositi contenitori etichettati come “smaltimento farmaci”, o, in alternativa, seguire le regole di smaltimento previste da ogni Comune.
L’esposizione dal momento della nascita all’età dei tre anni a gas di scarico dei veicoli, emissioni industriali e altre fonti di inquinamento ambientale, incrementano il rischio di sviluppare disturbi dello spettro autistico fino al 78%. E’ questo il risultato di uno studio portato a termine su 124 bambini affetti da disturbi dello spettro autistico, confrontati con 1240 bambini sani, su un periodo di nove anni, confermando la possibile correlazione tra inquinamento dell’aria e disturbi dello spettro autistico.
Lo studio dal titolo “Dioxins as potential risk factors for autism spectrum disorder”, pubblicato sulla rivista scientifica “Environment International”, è il primo ad esaminare l’effetto dell’esposizione a lungo termine ad agenti inquinanti dell’aria sullo sviluppo dei disturbi dello spettro autistico, per quei bambini esposti in età pediatrica a tali inquinanti. Lo studio in oggetto ha esaminato gli effetti di tre tipi di particolato, in particolare i PM1, PM2.5 e PM10, generalmente prodotti dalle industrie, dai veicoli, ma diffusi anche dalla presenza di strade e autostrade. Queste particelle, spiegano i ricercatori, hanno la capacità di entrare nei polmoni e penetrare nel flusso sanguigno, provocando una serie di gravi condizioni di salute.
«Le cause dell’autismo sono complesse e non completamente comprese, ma i fattori ambientali sono considerati come possibili corresponsabili, in aggiunta a fattori genetici o altri fattori», ha spiegato Yuming Guo, professore associato della Monash University’s School of Public Health and Preventive Medicine, tra i responsabili dello studio. «I cervelli dei piccoli bimbi ed il loro sviluppo – spiega Guo – sono molto più vulnerabili all’esposizione ad agenti tossici presenti nell’ambiente e numerosi studi hanno confermato che questo potrebbe influenzare la funzionalità cerebrale e del sistema immunitario. Ciò potrebbe in parte spiegare il forte legame che trovato tra l’esposizione ad agenti inquinanti e disturbi correlati all’autismo. Tuttavia, ulteriori ricerche sono necessarie per capire meglio l’associazione tra la problematica e l’esposizione agli agenti inquinanti».
«I seri effetti dell’inquinamento dell’area sulla salute – conclude Guo – sono ben documentati e tali studi suggeriscono che non esistono “livelli di sicurezza” dell’esposizione”. Anche l’esposizione a livelli molto bassi di particolato, possono essere ricollegati a nascite premature, ritardi nell’apprendimento, ed una serie di condizioni di salute molto serie, tra cui problemi al cuore».
I medicinali contenenti fluorochinoloni sono antibiotici approvati nell’Unione Europea per il trattamento di diverse infezioni batteriche, alcune delle quali potenzialmente letali. Essi comprendono i principi attivi ciprofloxacina, levofloxacina, moxifloxacina, pefloxacina, prulifloxacina, rufloxacina, norfloxacina, lomefloxacina e sono commercializzati con i rispettivi nomi dei principi attivi (farmaci equivalenti), o attraverso i nomi commerciali delle specialità medicinali.
In merito a questa importante classe di farmaci, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), in accordo con l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) e le aziende titolari delle specialità medicinali, ha diramato una nota informativa importante riguardante il rischio potenziale che può insorgere mediante la somministrazione di questi farmaci.
«I fluorochinoloni per uso sistemico e inalatorio – si legge nella nota – possono aumentare il rischio di aneurisma e dissezione dell’aorta, in particolare nelle persone anziane». Pertanto, prosegue la nota, «nei pazienti a rischio di aneurisma e dissezione dell’aorta, i fluorochinoloni devono essere utilizzati solo dopo un’attenta valutazione del rapporto beneficio/rischio e dopo aver preso in considerazione altre opzioni terapeutiche». Inoltre «le condizioni che predispongono all’aneurisma e alla dissezione dell’aorta comprendono una storia familiare di aneurisma, aneurisma aortico o dissezione aortica pre-esistente, sindrome di Marfan, sindrome vascolare di Ehlers-Danlos, arterite di Takayasu, arterite a cellule giganti, malattia di Behçet, ipertensione e aterosclerosi». Per i motivi indicati, «i pazienti devono essere allertati del rischio di aneurisma e dissezione dell’aorta e devono essere invitati a cercare assistenza medica immediata in pronto soccorso in caso di improvviso e severo dolore addominale, toracico o alla schiena». E’ bene sottolineare che, nel caso dell’insorgenza dei sintomi indicati, durante la somministrazione di una terapia a base di fluorochinoloni, è necessario andare direttamente al pronto soccorso.
Per ulteriori informazioni in merito alla nota in oggetto, è possibile richiedere informazioni direttamente al farmacista di fiducia o al medico curante, o leggere la nota integrale al link http://www.aifa.gov.it/sites/default/files/Fluoroquinolones-DHPC_23.10.2018.pdf.
Uno stile di vita corretto, che comprenda attività fisica regolare per almeno 150 minuti a settimana, una dieta sana con pochi grassi e l’eliminazione delle sigarette, potrebbero aiutare coloro che hanno già sviluppato un cancro al seno, a prevenire una recidiva. E’ quanto emerso in occasione del convegno nazionale “Carcinoma mammario, traguardi raggiunti e le nuove sfide”, tenuto a cura dell’Aiom, Associazione italiana di oncologia medica, e riportato da Ansa salute.
Secondo le stime, sono 52.800 le donne italiane che nel 2018 hanno avuto una diagnosi di tumore alla mammella, neoplasia divenuta più frequente in Italia, superando il cancro al colon. Sebbene l’87% delle donne supera con successo la malattia, sono poche le pazienti che modificano le abitudini e lo stile di vita, andando incontro a rischi di recidive.
Stefania Gori, presidente dell’Aiom, intervistata dall’Ansa, che spiega «la mancata adesione a queste semplici regole rischia di vanificare gli importanti risultati ottenuti con terapie sempre più efficaci». Come riportato, «una dieta troppo ricca di grassi, ad esempio, aumenta fino al 24% il rischio di recidiva del tumore della mammella e ciò dimostra il ruolo degli stili di vita sani nella cosiddetta prevenzione terziaria, che mira a evitare il ritorno della malattia. Ed ancora: bastano 150 minuti di attività fisica a settimana (come camminata veloce o giardinaggio) per ridurre del 25% la mortalità per tumore del seno nelle pazienti che hanno già ricevuto la diagnosi rispetto alle sedentarie. E ingrassare di 5 Kg può incrementare fino al 13% la mortalità per la neoplasia». Anche il fumo influenza negativamente il ritorno della patologia: «le donne che hanno abbandonato questa pericolosa abitudine ma che in passato hanno fumato da 20 a 35 sigarette presentano un rischio di ricomparsa di carcinoma della mammella del 22%, del 37% per le fumatrici di più di 35 sigarette e, addirittura, del 41% per coloro che non hanno mai smesso».