Promuovere l’inserimento e il reinserimento lavorativo delle persone con le malattie croniche e migliorare la loro occupabilità, queste in sostanza le finalità del progetto Pathways presentato il 20 marzo 2018 al Parlamento Europeo dai Partners del Consorzio EU PAthways Project.
Spesso le persone con malattie croniche e problemi di salute mentale sono soggette a numerose problematiche sul posto di lavoro, con conseguenze dirette individuali. Questo trend e l’attuale crisi economica rendono la problematica ancora più complessa, il che pone in evidenza la necessità di migliorare la partecipazione delle persone al mercato del lavoro.
Il progetto Pathways ha coinvolto 10 Paesi, i Partners del Consorzio EU Pathways hanno reso partecipe tutte le parti interessate tra cui lavoratori, politici, sindacati, associazioni di pazienti, organizzazioni non governative nazionali ed internazionali. Il progetto ha evidenziato la creazione di percorsi di sensibilizzazione tra i diversi paesi, ove l’invecchiamento della popolazione e l’aumento delle malattie croniche rappresentano un fenomeno già molto esteso.
Molte malattie infatti, tra cui tumori, malattie muscolo-scheletriche come il mal di schiena, cefalee, diabete, ipertensione, colpiscono le persone nel corso della loro vita lavorativa: in pratica, una persona su quattro ha una malattia cronica. Il mondo del lavoro spesso non riesce ad adottare misure di inclusione e reintegrazione, rendendo spesso difficile la vita del lavoratore con patologie. La stessa certificazione di “disabile” rende spesso impossibile il ritorno alla normale vita lavorativa.
Per fronteggiare efficacemente questa problematica il progetto Pathways ha sviluppato e presentato 7 Raccomandazioni e 34 Azioni che possono supportare l’attuazione di strategie per migliorare la situazione occupazionale di persone con malattie croniche, tenendo conto delle conoscenze acquisite in merito alla disponibilità di strategie e servizi, agli utenti di questi servizi, alla loro efficacia e alle esigenze di lavoro incontrate e non soddisfatte delle persone con malattie croniche.
Per ulteriori approfondimenti è possibile visitare il sito ufficiale del progetto, al link https://www.path-ways.eu/.
Autore: L'Incontro
Il servizio informativo per i pazienti del Centro "L'Incontro" a Teano (CE).
Stili di vita sedentari e sovrappeso non aiutano, anzi, potrebbero accentuare il problema della disfunzione erettile. L’esercizio fisico regolare invece da beneficio al cuore, alla pressione, alle articolazioni, ai muscoli e migliora l’umore, ma, soprattutto, tiene lontana la disfunzione erettile negli uomini. E’ quanto è emerso da un recente studio pubblicato sulla rivista Sexual Medicine e diretto dall’Institute of Public Health della University of Southern Denmark, in Danimarca. In pratica, fare attività durante la settimana, 40 minuti per 4 volte, per un periodo di almeno sei mesi, potrebbe migliorare il problema della disfunzione erettile.
Gli autori dello studio hanno revisionato circa 2000 studi pubblicati tra il 2006 e il 2016, ed hanno confermato che potrebbe essere sufficiente esercizio fisico da moderato ad intenso, riguardanti attività fisiche come l’uso della bici per andare a lavoro oppure attività più impegnative come lo sci. In sostanza, maggiore è l’impegno profuso per l’attività fisica e migliori sarebbero i benefici sulla disfunzione erettile.
Secondo gli studiosi l’attività fisica a vantaggio della disfunzione erettile è supportata da meccanismi noti tra cui vasi sanguigni più elastici, consentendo un maggior afflusso di sangue agli organi sessuali. Parte dello stesso meccanismo è usato tra l’altro dal noto farmaco usato per la disfunzione erettile.
Lo studio conclude che l’esercizio fisico potrebbe essere prescritto come un trattamento, magari rivolgendosi ad un medico che possa guidare in questo tipo di attività, e successivamente al fisioterapista. Ciò al fine di evitare di ricascare nelle vecchie abitudini che potrebbero cancellare invece i benefici ottenuti.
Quali sono i sintomi di un attacco di cuore e come possono essere riconosciuti? I classici sintomi dell’arresto cardiaco sono principalmente costituiti da dolore al petto, spesso descritto come senso di oppressione, e fiato corto, principalmente durante esercizio fisico, che potrebbe verificarsi anche quando si è a riposo.
Spesso però i sintomi sono più subdoli: se ad esempio ci si affatica molto durante le normali attività quotidiane, oppure si suda inaspettatamente, o si è nauseati quando si cammina o si salgono le scale, la prima cosa che dovrebbe venire in mente è il cuore. Se dovesse essere così, allora, la prima cosa da fare è chiamare il proprio medico curante.
Nessuno di noi può conoscere il proprio corpo meglio di se stesso, la cosa principale da fare è porre attenzione alla presenza di sintomi specifici. Certo, ci si può anche sbagliare, ma non sarebbe un problema. Invece, se non si agisce subito, le conseguenze potrebbero essere addirittura fatali.
Altri sintomi a cui prestare attenzione includono dolore al collo, mascella, schiena o spalle, vomito o sintomi gastrointestinali, gonfiore alle caviglie, gambe e piedi. Mentre, palpitazioni oppure sensazione di colpi sul petto, potrebbero essere indice di un ritmo cardiaco alterato o aritmia, a volte associato associato a vertigini e quasi svenimento.
Anche se non si ha storia familiare di eventi cardiovascolari, ogni soggetto può essere a rischio a causa dell’avanzare dell’età, del fumo, della mancanza di esercizio fisico, oppure patologie croniche come diabete, ma anche stress, ansia e depressione.
Una visita periodica dal medico specialista può ovviamente fugare ogni dubbio ed individuare l’eventuale presenza di fattori di rischio tra cui ipertensione arteriosa e colesterolo alto, che possono essere trattati con i farmaci necessrai o con il cambiamento dello stile di vita, comprese le abitudini alimentari.
Si chiama “Falsi miti e bufale” la nuova sezione aperta sul portale istituzionale IsSalute.it, punto di riferimento a cura dall’Istituto Superiore di Sanità, che ha l’obiettivo di veicolare e smentire le false credenze su abitudini e stili di vita.
E proprio di falsi miti si parla nell’area relativa all’attività fisica, contenente tante vecchie e nuove credenze in tema di sport e movimento.
MANGIO QUEL CHE VOGLIO, TANTO POI VADO IN PALESTRA: per dimagrire non basta muoversi, ma è fondamentale “bilanciare le calorie introdotte con l’alimentazione e quelle consumate con il movimento”.
L’ATTIVITA’ FISICA IN GRAVIDANZA E’ PERICOLOSA: la giusta attività aerobica di moderata-bassa intensità e che non comporti rischio di cadute aiuta a ridurre il rischio di vene varicose, gonfiore di mani e piedi, previene mal di schiena e diabete gestazionale.
NON FACCIO ATTIVITA’ FISICA PERCHE’ HO L’ARTROSI: erroneamente chi ne soffre ritiene di dover utilizzare le articolazioni colpite il meno possibile. Ma in realtà ginnastica dolce, pilates, stretching o yoga “migliorano il decorso della patologia, la motilità articolare e la qualità della vita”.
I BAMBINI FANNO GIA’ SUFFICIENTE ATTIVITA’ FISICA GIOCANDO: è anche a causa di questo retropensiero che in Italia siamo ai primi posti in Europa per sovrappeso infantile, mentre secondo l’Oms dovrebbero praticare sport almeno 3 volte a settimana.
SONO TROPPO VECCHIO PER METTERMI LA TUTA: Molti anziani pensano che l’attività fisica alla loro età possa rappresentare un pericolo ma, al contrario, giova al peso, alla salute e anche alla mente, perché favorisce la socializzazione.
L’ESERCIZIO FISICO E’ EFFICACE SE DOLOROSO: bollino rosso anche qui, perché “il dolore è un segnale d’allarme e non di efficacia”, è il “mezzo con cui il corpo ci indica che si sta lavorando male oppure che si sta facendo uno sforzo troppo intenso”.
IL RESPONSABILE DEI DOLORI POST ALLENAMENTO E’ L’ACIDO LATTICO: credenza diffusa ma errata, visto che la sensazione di dolore deriva da “microlesioni delle fibre muscolari, che possono danneggiarsi durante un esercizio fisico intenso e ai processi infiammatori riparativi che ne conseguono”.
PIU’ SUDO, PIU’ DIMAGRISCO: a questo scopo molti investono tempo e soldi in saune o indumenti di materiale plastico per l’allenamento. In realtà “attraverso il sudore perdiamo solo liquidi e sali minerali. Ma non è possibile perdere grasso, poiché il sudore non lo contiene”.
SE FACCIO ADDOMINALI LA PANCETTA SPARISCE: Rinforzare i muscoli addominali, ma da solo “non comporta la perdita del grasso che ricopre i muscoli coinvolti nell’esercizio”. Quello dipende infatti “da fattori genetici, ormonali, scorretta alimentazione e sedentarietà”.
FARE SPORT RICHIEDE TEMPO E DENARO: il 40% degli italiani dice di non fare attività fisica per mancanza di tempo e il 15% per mancanza di soldi. Ma, concludono gli esperti Iss, “essere attivi significa compiere anche semplici e piacevoli gesti quotidiani come camminare, ballare e fare giardinaggio”
Buone nuove per gli amanti della frutta secca: potrà essere infatti utilizzata come scudo contro eventuali alterazioni del ritmo cardiaco, attinenti alla problematica della fibrillazione atriale. A riferirlo è Ansa Salute che cita uno studio del Karolinska Institutet e dell’Università di Uppsala, in Svezia, pubblicato sulla rivista scientifica Heart.
I ricercatori hanno preso in esame le risposte fornite ad un questionario sulla frequenza alimentare ed informazioni sullo stile di vita di più di 61.000 svedesi, tra i 45 e gli 84 anni.
Lo studio di lungo corso ha riguardato il monitoraggio dei candidati per ben 17 anni, fino al 2014, tenendo in considerazione 4983 infarti, 3160 casi di insufficienza cardiaca e 7550 casi di fibrillazione atriale.
Ebbene, è stato visto che coloro che mangiavano frutta secca avevano un minor rischio di fibrillazione atriale. Il rischio ridotto incrementava con l’incremento di consumo di frutta secca.
Gli studiosi hanno motivato ciò grazie alle caratteristiche della frutta secca, in particolar modo noci, ricche di acidi grassi insaturi, proteine, fibre, minerali, vitamina E, folati ed altri composti bioattivi tra cui fenoli e fitosteroli.
Il consumo della frutta secca può influenzare la salute cardiovascolare agendo sui livelli di colesterolo e di trigliceridi nel sangue, riducendo il rischio di aumento di peso attraverso attività anti-ossidante e anti-infiammatoria.
Un altro recente studio aveva evidenziato l’ottima azione anche degli omega 6. Lo studio pubblicato in “The American Journal of Clinical Nutrition” aveva scoperto che le persone con la più bassa percentuale di omega 6 nel sangue avevano un rischio cardiovascolare maggiore di coloro che invece avevano più omega 6.