Lo sviluppo e l’impiego degli antibiotici ha fatto in modo da poter rivoluzionare il trattamento e la prevenzione di molte malattie infettive, sin dalla seconda metà del XX secolo, tuttavia, la comparsa di resistenze agli antibiotici è un problema che mette in guardia i pazienti dalla permanenza di patologie infettive che non rispondono ai trattamenti.
Il meccanismo della resistenza ad un antibiotico è la capacità insita del microrganismo di sviluppare una forma di difesa tale da rendere inefficiente ed inefficace il trattamento farmacologico.
L’inefficienza e l’inefficacia si traduce nella necessità, da un lato, di utilizzare maggiori dosaggi di antibiotici o trattamenti più lunghi, a parità di molecole utilizzate, mentre, dall’altro, di riuscire a trovare nuove molecole che siano selettive versi determinati ceppi batterici.
Negli ultimi anni il fenomeno della resistenza agli antibiotici si direbbe aggravato, come confermato più volte dall’ISS, Istituto Superiore di Sanità, ma anche da organizzazioni internazionali come l’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità.
Il problema della resistenza è complesso e di difficile approccio perché ha origine da molti fattori: in primis, l’aumentato uso dei farmaci, compreso l’utilizzo non appropriato, successivamente, la maggiore diffusione delle malattie ospedaliere da organismi antibiotico-resistenti, ed infine, l’aumento dei viaggi internazionali che pone di fronte ad una maggiore diffusione di ceppi batterici resistenti.
Al centro della problematica comunque vi è l’uso continuo e spesso inconsapevole degli antibiotici, che favorisce l’emergere, la moltiplicazione e la diffusione dei ceppi resistenti.
E questo è il punto in cui il paziente può intervenire: limitare l’uso di antibiotici ai casi unicamente seguiti a prescrizione di un medico, sulla base di una sintomatologia riconosciuta come avente agente infettante la causa principale.
Molto spesso infatti anche alla comparsa dei primi sintomi, ed in totale assenza di indicazioni mediche a riguardo, tendiamo immediatamente a prendere degli antibiotici, semmai conservati a casa dalla precedente terapia. Commettiamo un doppio errore: il primo, riguarda l’inconsapevolezza dell’uso degli antibiotici, con riferimento alla mancata certezza matematica che quell’antibiotico debba essere usato per quello specifico batterio; il secondo, più importante, se anche abbiamo usato quell’antibiotico per una patologia già trattata, non possiamo sapere se quel sintomo che abbiamo abbia la stessa causa della precedente.
E’ bene quindi osservare la massima attenzione possibile nella somministrazione di antibiotici, ed interfacciarsi per tempo, prima di cominciare una nuova terapia non prescritta dal medico, su base volontaria, col proprio medico di famiglia o col farmacista di fiducia.
Autore: L'Incontro
Il servizio informativo per i pazienti del Centro "L'Incontro" a Teano (CE).
Le donne con una pressione sanguigna alta prima della gravidanza, potrebbero essere soggette ad un incremento del rischio di aborto spontaneo.
E’ quanto emerge dal lavoro dei ricercatori che hanno analizzato i dati nello studio pubblicato in aprile 2018 sulla rivista scientifica “Hypertension”, relativo a 1228 donne che provavano ad avere una gravidanza, dopo aver precedentemente avuto un’interruzione di gravidanza. Delle 797 che hanno ottenuto una gravidanza, 188, circa un quarto, hanno perso di nuovo il nascituro.
Lo studio non ha trovato alcuna correlazione tra livelli alti di pressione e capacità di concepimento. Ma dopo aver indagato i vari fattori, tra cui fumo, indice di massa corporea, stato coniugale, educazione, razza, ed altri parametri, hanno individuato che per ogni incremento di 10 punti di pressione diastolica, vi era il 17% di incremento di rischio di interruzione di gravidanza.
Potrebbero esserci molte ragioni per l’aborto spontaneo, e spesso la causa è ignota. Ma l’infiammazione e la compromissione dei vasi sanguigni, che sono tipici dell’ipertensione, è stato visto avere un ruolo nell’interruzione di gravidanza.
“Il nostro studio è solo osservazionale e non può essere usato per stabilire la causa e l’effetto”, ha detto Carrie J. Nobles, autrice dello studio ed epidemiologista presso il National Institutes of Health. “Mantenere dei buoni livelli di pressione è molto importante, anche per la salute riproduttiva.”
Prosegue con successo il progetto “Green Health – Fai la differenza, campagna di sensibilizzazione per l’uso consapevole e senza sprechi del farmaco” presentato dall’Associazione Persone con Malattie Reumatiche e sostenuto da Fondazione CON IL SUD attraverso il bando Ambiente 2012 “Verso Rifiuti Zero”.
Fulcro della campagna di sensibilizzazione è la produzione e veicolazione di un opuscolo contenente informazioni importanti relative a uso del farmaco, conservazione del farmaco e corretto smaltimento dei farmaci non utilizzati.
L’area Uso del farmaco integra nozioni su cosa dobbiamo sapere per usare bene i nostri farmaci, con particolare attenzione a farmaci antibiotici, farmaci per i bambini, medicine omeopatiche ed interazioni tra farmaci ed alimenti ed integratori.
Nell’area Conservazione del farmaco è possibile trovare delle nozioni su come fare un inventario dei farmaci in disponibilità a casa, come trovare un luogo per la corretta conservazione dei farmaci, e piccoli consigli per la conservazione intelligente dei farmaci.
Ultima, ma non meno importante, la sezione relativa allo Smaltimento del farmaco e all’impatto che i farmaci possono avere sull’ambiente. In particolare, il pericolo per adulti, bambini, ed animali domestici. Come recuperare i farmaci che non servono più, come smaltire i medicinali scaduti e modalità per ridurre l’inquinamento farmaceutico.
L’opuscolo è scaricabile cliccando qui. In ogni caso, per quesiti relativi a farmaci, parafarmaci, prodotti salutistici, è sempre bene rivolgersi al proprio medico curante o farmacista di fiducia.
La banana sostituita alle bibite energetiche utilizzate durante le sedute di allenamento? Si può fare! A confermarlo è uno studio che ha comparato l’azione delle bibite energizzanti e le banane, ed i relativi effetti sulle cellule dei carboidrati consumati durante lo sport.
E’ stato visto che la banana, con le sue componenti essenziali, dona un’attività anti-infiammatoria uguale se non maggiore ed altri benefici per gli atleti, più di quanto ciò accada con le bibite utilizzate. Ma c’è un lato negativo che riguarda il gonfiore.
Per decenni gli atleti hanno creduto, e gli studi hanno confermato, che mangiare o bere carboidrati durante l’esercizio prolungato poteva predisporre il corpo ad sforzi di maggior intensità e recuperare in maniera più veloce di coloro che non mangiavano durante la seduta di allenamento.
I carboidrati infatti alimentano rapidamente i muscoli diminuendo parte dello stress fisiologico. Solitamente i carboidrati sono presenti sotto forma di zuccheri tra cui glucosio, fruttosio, che gli atleti somministrano durante l’allenamento.
Tuttavia molti di questi zuccheri sono raffinati e preparati industrialmente e quindi potrebbero contenere sostanze chimiche derivanti dal processo di lavorazione. Mettendo l’organismo di fronte ad un’ingresso di sostanze non propriamente benefiche.
Cosi’ i ricercatori del North Carolina Research Campus of Appalachian State University in Kannapolis, alcuni anni fa hanno cominciato a studiare i frutti come alternativa salutare ai drink utilizzati duranti gli esercizi.
In un esperimento preliminare pubblicato nel 2012 gli scienziati hanno trovato che i ciclisti che avevano mangiato una banana avevano sviluppato minori livelli di infiammazione rispetto a coloro che avevano bevuto liquidi salini, pur riconoscendo che i meccanismi cellulari impiegati per ridurre l’espressione del gene relativo alla produzione di sostanze infiammatorie erano ancora ignoti.
A confermarlo è un recente studio pubblicato: la somministrazione di antibiotici ed antiacidi può essere un fattore che porta l’incremento del rischio di allergie nell’infanzia. I ricercatori hanno studiato circa 800.000 bambini di cui circa 130.000 hanno ricevuto antibiotici, 60.000 hanno ricevuto antagonisti dei recettori H2 dell’istamina, mentre più di 13.000 hanno ricevuto inibitori di pompa. Sia i farmaci anti-H2, sia gli inibitori di pompa sono stati prescritti ed usati per reflusso gastro esofageo oppure da malattia da reflusso gastroesofageo.
Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica JAMA Pediatrics, ha seguito i bambini per un periodo di circa quattro anni e mezzo. E’ stato scoperto che ai bambini a cui sono stati somministrati i farmaci anti istaminici anti-H2 o gli inibitori di pompa, sono risultati più che il doppio intolleranti al cibo di chi invece non li ha somministrati. Inoltre, è stato visto che il rischio di allergie era elevato soprattutto in presenza di latte vaccino.
Gli antibiotici somministrati hanno dato un incremento del 14% dell’intolleranza al cibo, del 51% di rischio per anafliassi (una potenzialmente fatale reazione allergica), e più del doppio il rischio di asma.
Gli autori hanno indicato che ciò è stato possibile perchè sia gli antiacidi che gli antibiotici interagiscono con i batteri presenti nell’intestino e ciò spiegherebbe l’associazione.
Il Dr. Cade M. Nylud, professore associato di pediatria che ha seguito lo studio, ha indicato che “questi farmaci non dovrebbero essere prescritti per problemi comuni ai bambini”. “Questo perchè – spiega il Dr. Nylud – il problema spesso non giustifica l’uso degli inibitori di pompa. Inoltre, bisognerebbe evitare l’eccessiva prescrizione di antibiotici per le infezioni del tratto respiratorio superiore e per altri problemi virali.”