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I consigli per un San Valentino perfetto

Come ogni anno, il 14 febbraio, si festeggia San Valentino, la festa degli innamorati per eccellenza. In occasione di tale evenienza molte coppie italiane andranno a cena fuori, al cinema, o magari resteranno a casa per una serata a lume di candela. L’Associazione nazionale farmaci di automedicazione (Assosalute), al fine di rendere piacevole e senza intoppi questa giornata, ha pubblicato una serie di consigli da seguire. Il primo riguarda il nervosismo in vista della serata. In particolare, spiega l’associazione, «non lasciare che tensioni muscolari e mal di testa ti impediscano di viverla al meglio». Un secondo consiglio riguarda la cena. A tal proposito Assosalute raccomanda di dare un occhio alle porzioni, soprattutto in presenza di cibi pesanti o quantità eccessive, che, associate a qualche bicchiere di vino, «possono infatti rallentare la digestione provocando senso di pesantezza, nausea, sonnolenza, acidità».
In caso di cibi afrodisiaci, l’associazione suggerisce di moderare il piccante, facendo attenzione a non esagerare. Occhio anche al bacio. Assosalute spiega infatti che «alcune insidie possono nascondersi anche nel più tenero dei gesti», con riferimento all’herpes labiale, quest’ultimo «facile da trasmettere con il bacio quanto impossibile da debellare totalmente». Qualora si scelga di andare a cinema, si eviti la sensazione degli occhi secchi, soprattutto dopo una giornata di lavoro, passata al pc o sui libri.
«Infine – conclude Assosalute -, un ultimo, fondamentale, consiglio: anche se fervono i preparativi per San Valentino, è importante riconoscere i farmaci di automedicazione. Come? Grazie al bollino rosso che sorride sulla confezione. Questi medicinali sono autorizzati dalle Autorità Sanitarie a essere dispensati senza ricetta medica perché contengono principi attivi, o loro associazioni, di cui sono già state approfondite l’efficacia e la sicurezza e sono di impiego medico ben noto e largamente utilizzati in terapia».

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Dal caffè un possibile aiuto al Parkinson e alle cellule nervose

La caffeina, in sinergia con un’altra sostanza, tra le centinaia contenute nel caffè, può proteggere contro i danni delle cellule nervose, migliorare il comportamento del morbo di Parkinson e nella demenza da corpi di Lewy (o Dlb), quest’ultima malattia ad esso correlata. È quanto scoperto dai ricercatori della Rutgers Robert Wood Johnson medical school, nell’ambito di uno studio finanziato dal National center for complementary and integrative health (Nccih).
Secondo i ricercatori dello studio, infatti, la caffeina sembra agire da agente protettivo, correlato alla riduzione del rischio del morbo di Parkinson. Tuttavia, molte prove evidenziano che la caffeina non è l’unico agente nel caffè. Ci sono infatti altre sostanze che giocano un ruolo altrettanto significativo. Entrambe le malattie sono associate a depositi abnormi di alfa-sinucleina, proteina presente nel cervello. Tali quantitativi incidono sulla chimica dell’encefalo, causando cambiamenti che indeboliscono il pensiero e i movimenti. Se gestite separatamente, né la caffeina né la eicosano-5-idrossitriptamina (Eht) mostrano benefici. Al contrario, se somministrate insieme, gli effetti osservati sulle cavie sono positivi.
I ricercatori hanno inoltre dimostrato che il caffè è una complessa miscela chimica contenente oltre un centinaio di sostanze differenti. Queste componenti aggiuntive possono giocare un ruolo protettivo contro i cambiamenti dovuti al Parkinson e nella demenza da corpi di Lewy (o Dlb). A tal proposito, gli studiosi sostengono che «la somma di varie sostanze specifiche nel caffè dipende dalle condizioni della produzione e coltivazione della pianta, dal metodo di tostatura dei chicchi e infine dal procedimento di estrazione e preparazione della bevanda».

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Spese sanitarie, le funzionalità per la dichiarazione precompilata

Come noto, a partire dal 2016 tutte le strutture sanitarie, comprese le farmacie, e le figure professionali che erogano prestazioni sanitarie, sono obbligate ad inviare al Sistema TS le fatture emesse nei confronti dei propri pazienti.
«Il fine – spiega il ministero dell’Economia e delle Finanze – è quello di mettere a disposizione dell’Agenzia delle entrate le informazioni concernenti le spese sanitarie sostenute dai cittadini nel corso dell’anno, affinché sia possibile predisporre la dichiarazione dei redditi precompilata». In quest’ottica, «i dati sono messi a disposizione dei cittadini che possono pertanto consultare le spese che hanno sostenuto, sulla base di quanto inviato al Sistema TS dagli erogatori di prestazioni sanitarie e veterinarie».
Nel mese di febbraio di ogni anno, «i cittadini possono esercitare il diritto di opposizione all’utilizzo di uno o più documenti fiscali da parte dell’Agenzia delle entrate», ciò prima della predisposizione della dichiarazione dei redditi.
Per raggiungere tale obiettivo, «i cittadini possono accedere ai servizi con la propria TS-CNS attivata, con le credenziali Fisconline o tramite SPID», ed eseguire delle funzioni apposite, tra cui la «consultazione dei propri dati di spesa sanitaria trasmessi dagli erogatori di prestazioni sanitarie», la «segnalazione di eventuali incongruenze riscontrati sulle spese sanitarie», ed infine l’«esercizio dell’opposizione all’invio dei dati all’Agenzia delle Entrate per la predisposizione della dichiarazione dei redditi precompilata». In questo ultimo caso, tale funzionalità è disponibile annualmente nel solo mese di febbraio.
Per poter visualizzare le funzionalità, è possibile accedere a questo link https://sistemats1.sanita.finanze.it/portale/spese-sanitarie-cittadini.

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Nomofobia: l’ossessione per lo smartphone colpisce i più giovani

Tra circa sei mesi sarà diffusa una campagna per informare il consumatore sull’uso improprio dei telefoni cellulari. La notizia si inserisce in un discorso più ampio che intende fare maggiore chiarezza su tali pericoli, specialmente tra i soggetti più deboli, i bambini e i ragazzi. Il più immediato è quello di sviluppare una vera e propria dipendenza, che gli esperti della Scuola di psicoterapia Erich Fromm definiscono «nomofobia», ovvero l’ossessione per lo smartphone, che si sviluppa in ansia di rimanere senza batteria, senza credito o senza rete. Per gli studiosi dell’Università Federale di Rio de Janeiro la nomofobia non è una semplice ansia, bensì ma una dipendenza patologica. Si tratta, dunque, di un vero e proprio disturbo di massa, che coinvolge il mondo intero, italiani inclusi, e che colpirebbe specialmente i più giovani. Secondo le stime dell’Università di Granada, scrive La Repubblica «la fascia di età più colpita sarebbe quella tra i 18 e i 25 anni, giovani con bassa autostima e problemi nelle relazioni sociali che sentono il bisogno di essere costantemente connessi e in contatto con gli altri attraverso il telefono cellulare». Gli adolescenti sono le vittime più colpite da questa dipendenza che sembra modificare la chimica del cervello, la lontananza dal cellulare anche solo per qualche ora crea nei ragazzi provoca uno stato di malessere. Ne sono convinti anche in ricercatori dell’Università di Seul che in uno studio hanno evidenziato «uno squilibrio nei rapporti tra neurotrasmettitori – scrive Repubblica – le molecole che veicolano le informazioni tra le cellule del sistema nervoso». I sintomi della dipendenza si traducono in ansia, tremori e nei casi più estremi in tachicardia e vertigini. Senza andare troppo lontano, infatti, Telefono Azzurro, in collaborazione con Doxakids, ha tracciato un quadro completo e preoccupante in un documento dal titolo: “Il tempo del web, adolescenti e genitori online”, dove si evince che possedere un cellulare, magari di ultima generazione, ed essere in rete sono dei veri status symbol dai quali i ragazzi moderni non possono prescindere, pena un vero e proprio stato di disagio sociale. La ricerca, fatta su un campione di 600 ragazzi tra i 12 e i 18 anni, ha evidenziato che 17 ragazzi su 100 non riescono a staccarsi dal cellulare o dai social network. Un buon 25% è sempre connesso e il 45% lo è quotidianamente più volte al giorno. Il 78% dei ragazzi usano WhatsApp di continuo e il 21% si sveglia addirittura di notte per controllare l’arrivo di eventuali nuovi messaggi. «I nostri dati – si legge nel documento – mostrano come più di 1 adolescente su 3 abbia ricevuto il primo telefonino prima dei 13 anni (71%) e che l’età media si aggiri attorno agli 11 anni. Il dato fa riflettere, se si considera che le chiavi di casa vengono ricevute un anno dopo (attorno ai 12 anni), anche se in linea con la media europea, dove il primo telefonino è stato regalato entro i primi 12 anni (il dato USA, su ricerche del 2015, indica che il primo telefonino viene regalato prima dei 6 anni)». Dunque non stupisce che anche l’iscrizione ai vari social network arrivi in età precoce, 12 o 13 anni al massimo. I rischi legati all’abuso della rete da parte dei più giovani, oltre alla già citata dipendenza, sono tanti e vanno dal cyberbullismo all’abuso, dalla pedopornografia all’utilizzo dei dati forniti per fini commerciali poco nobili quali per esempio l’adescamento online, dalle truffe negli acquisti al furto di identità fino al gioco d’azzardo.

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Metamizolo, dall’Ema invito ad armonizzare dosi in gravidanza e allattamento

L’Agenzia europea dei medicinali ha concluso una revisione dei medicinali contenti l’antidolorifico metamizolo, raccomandando alcune modifiche alle informazioni sul prodotto affinché siano univoche per tutti gli stati membri dell’Unione europea. In particolare, la posologia per le donne negli ultimi tre mesi di gravidanza o durante l’allattamento dovranno essere uguali per tutti i medicinali contenenti metamizolo in vendita negli stati UE.
Il metamizolo, conosciuto anche come dipirone, è un analgesico in grado di alleviare febbre e spasmi muscolari. È in uso da anni sia in Italia che in Europa e si presenta in diverse forme, tra cui quella orale, in supposte e iniezioni, per trattare il dolore severo e la febbre quando altri farmaci non sono efficaci. A seguito della domanda di revisione da parte della Polonia, l’Agenzia ha esaminato le informazioni disponibili sulla modalità di distribuzione del dipirone nel corpo e sul meccanismo d’azione. Successivamente, ha allertato gli Stati membri in merito alle dosi da somministrare, specificando che «una dose singola massima per bocca di 1.000 mg – si legge in una nota-, somministrata fino a 4 volte al giorno, dose giornaliera massima di 4.000 mg, in pazienti di età pari o superiore ai 15 anni. Il trattamento dovrebbe iniziare alla dose minima raccomandata e dovrebbe essere aumentata solo se necessario». Inoltre, aggiunge, «se somministrato per iniezione, la dose giornaliera totale non deve superare i 5.000 mg. Le dosi nei pazienti più giovani dovrebbero essere basate sul loro peso corporeo, ma alcuni prodotti potrebbero non essere adatti a causa del loro dosaggio».
L’Agenzia precisa che sebbene il metamizolo sia presente sul mercato da quasi un secolo, sono scarse le informazioni sui suoi effetti in gravidanza e allattamento. Avendo quindi trovato poche prove che possano suggerire problemi all’inizio della gravidanza, le dosi singole nei primi sei mesi potrebbero considerarsi accettabili, ma solo in assenza di soluzioni alternative. Tuttavia, l’Ema spiega che «vi sono alcune prove di effetti sui reni e sulla circolazione del feto se il medicinale viene usato negli ultimi tre mesi di gravidanza e pertanto il medicinale non deve essere usato in questo periodo». Per questo motivo, ai fini precauzionali, l’Ema specifica che «il metamizolo non deve essere usato durante l’allattamento perché il bambino può ricevere elevate quantità di medicinale rispetto al peso del bambino attraverso il latte».