Chi è stato già colpito da infarto e contava sugli omega-3 per prevenire nuovi attacchi, ictus o recidive purtroppo resterà deluso. L’Agenzia europea dei medicinali (Ema) ha infatti diffuso una nota ufficiale nella quale viene smentita l’efficacia che i medicinali a base di acidi grassi omega-3 avrebbero come trattamento per prevenire la ricorrenza di problemi cardiaci dopo un infarto miocardico. Gli ultimi dati emersi a seguito della procedura di rivalutazione, iniziata nel marzo 2018 su richiesta dell’Agenzia Svedese per i medicinali e condotta dal Comitato per i Medicinali per Uso Umano (Chmp), non hanno confermato effetti benefici. Ecco perché questo tipo di medicinali, utilizzati in diversi paesi dell’Unione europea già dal 2000 in combinazione con altri farmaci e con una dose di un grammo al giorno, non saranno più autorizzati per tale uso. Al contrario resta invece valida l’indicazione che riguarda l’efficacia degli acidi grassi per ridurre alcuni tipi di grassi nel sangue e in particolare nel trattamento dell’ipertrigliceridermia. In quest’ultimo caso i pazienti sono vivamente consigliati di continuare nella terapia.
La rivalutazione degli omega-3, che si trovano comunemente nell’olio di pesce, acido eicosapentaenoico (Epa) e acido docosaesaenoico (Dha), ha preso in esame lo studio Gissi Prevenzione condotto nel 1999 nel quale si era inizialmente osservata una piccola riduzione del rischio d’insorgenza di nuovi problemi cardiaci in soggetti che già avevano avuto un infarto. Ora il parere del Chmp sarà trasmesso alla Commissione Europea, la quale emetterà una decisione che sarà legalmente vincolante e applicabile in tutti gli Stati Membri. E se da un lato è importante sottolineare che non è comunque emerso nessun pericolo collegato all’uso degli omega-3, resta il fatto che alla luce delle nuove ricerche coloro che stanno usando medicinali di questo tipo nella speranza di evitare o tenere a bada l’insorgenza di ulteriori problemi di cuore, la cosiddetta prevenzione secondaria, sono invitati a rivolgersi al proprio medico curante per farsi consigliare un’alternativa.
Gli omega-3 sono comunque attualmente contenuti in numerosissimi integratori alimentari e vengono consigliati in molti regimi dietetici perché impediscono l’accumularsi del colesterolo, mentre avrebbero benefici anche su alcune malattie della pelle. Particolarmente noti tra gli sportivi anche per le loro proprietà anti infiammatorie e di supporto alla salute delle articolazioni. Gli omega-3 sono definiti anche “essenziali” perché il nostro organismo non è in grado di produrli da solo: ecco perché devono essere necessariamente introdotti con l’alimentazione. Tra i prodotti più ricchi in omega-3 si segnalano alghe e semi di lino, oltre naturalmente ai pesci come merluzzo, salmone e sgombro.
Autore: L'Incontro
Il servizio informativo per i pazienti del Centro "L'Incontro" a Teano (CE).
I ministeri dell’Ambiente, della Salute e dell’Istruzione, Università e Ricerca hanno accolto la richiesta del Tar del Lazio nel provvedere ad adottare entro sei mesi una campagna informativa che indirizzi il consumatore all’uso appropriato dei telefoni cellulari. E’ quanto comunica il dicastero della Salute, in comunicato congiunto. «I tre ministeri – si legge – recepiscono con favore la decisione giurisdizionale, convinti della necessità di sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema e di promuovere misure di prevenzione», dichiarandosi già al lavoro per costituire «un tavolo congiunto che avrà la finalità di dare seguito a quanto deciso dai giudici amministrativi». La richiesta del Tar del Lazio fa seguito al ricorso dell’Associazione per la prevenzione e la lotta all’elettrosmog che aveva già messo in allerta i giudici sugli evidenti rischi.
Secondo quanto riportato dal quotidiano “La Repubblica”, citando gli atti depositati, «il tema dei possibili rischi per la salute conseguenti all’uso del cellulare è alla costante attenzione del ministero della Salute, in particolare a seguito della classificazione stabilita dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro nel 2011, di agente possibilmente cancerogeno per l’uomo (categoria 2B) per i campi elettromagnetici in radiofrequenza». Per chiarire, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Airc) classifica il gruppo 2B come «possibilmente cancerogeno per l’uomo». Questa categoria è dunque utilizzata quando c’è «limitata evidenza di cancerogenicità nell’uomo e meno che sufficiente evidenza di cancerogenicità negli animali da esperimento».
Il Tar del Lazio ha accolto favorevolmente la richiesta dell’Associazione per la prevenzione e la lotta all’elettrosmog in seguito ad una sentenza che nel 2017 ha riconosciuto un vitalizio a un dipendente Telecom il quale, per questioni lavorative, aveva utilizzato il cellulare in maniera «abnorme» ed aveva sviluppato un tumore benigno ma invalidante al cervello. In tale sentenza i giudici avevano riconosciuto un nesso tra lo sviluppo del tumore e l’utilizzo che il dipendente aveva fatto del cellulare dal 1995 al 2010. In seguito, i legali, per conto dell’Associazione si sono dunque rivolti al Tar del Lazio affinché sia avviata una campagna informativa che sensibilizzi il consumatore sui rischi che comporta l’uso improprio ed eccessivo di cellulari e simili. Da qui, l’accoglimento della richiesta.
«E’ un segnale importante e molto forte che chiedevamo da molto tempo: si tratta di rischi che non possiamo più sottovalutare – spiega a Repubblica Laura Masiero, presidente dell’Associazione. Gli studi scientifici – prosegue – stanno progredendo enormemente, abbiamo dei lavori importanti che indicano come ci siano dei rischi. Siamo di fronte a una sperimentazione globale, di massa, ma non ci si rende conto delle conseguenze che ci sono soprattutto per le fasce più deboli, i bambini sono i più a rischio. I cellulari non sono giocattoli, ma una tecnologia che è utile ma che va usata adeguatamente. Vigileremo sulla campagna informativa».
Le donne che assumono contraccettivi ormonali combinati contenenti dienogest ed etinilestradiolo sono esposte ad un rischio leggermente più elevato di coaguli nel sangue, rispetto a coloro che somministrano levonorgestrel/etinilestradiolo. Lo rende noto l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) in accordo con l’Agenzia europea dei medicinali (Ema): il rischio sarebbe stimato in 8-11 casi di tromboembolia venosa ogni 10mila donne, contro i 5-7 casi per chi usa i contraccettivi ormonali combinati contenenti invece levonorgestrel, noretisterone o norgestimato, e solo 2 casi su 10mila all’anno per chi invece proprio non fa uso di questo tipo di farmaci.
In ogni caso, l’Aifa specifica che «i benefici associati all’utilizzo dei contraccettivi contenenti dienogest ed etinilestradiolo superano comunque il rischio di effetti indesiderati gravi nella maggior parte delle donne». E’ comunque sempre meglio rivolgersi al medico il quale nella prescrizione dovrà tenere conto dei fattori di rischio individuali di ciascuna paziente, anche rivalutandoli nel corso del tempo. Ma chi sono le donne più a rischio? Le over 35, le fumatrici, alle quali è vivamente consigliato di smettere o in alternativa di usare un metodo contraccettivo diverso, vale a dire non ormonale, le donne che hanno partorito da poco e quelle molto in sovrappeso. Tra i fattori a cui prestare attenzione: verificare se qualche membro della famiglia ha avuto coaguli di sangue prima dei 50 anni. Il pericolo che dunque possano formarsi coaguli nel sangue è comunque molto basso, ma non va sottovalutato perché nei casi più seri il problema potrebbe rivelarsi anche fatale.
La Endocrine Society, comunità mondiale di oltre 18mila membri presente in 122 paesi, specializzata nella ricerca sui disturbi ormonali, ha pubblicato uno studio sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, secondo cui la ciclicità del peso è associata a un maggiore rischio di morte. Tuttavia, i ricercatori evidenziano anche un aspetto positivo: la perdita di chili dovuta alla ciclicità del peso in soggetti obesi può ridurre l’insorgere del diabete.
La ciclicità del peso, conosciuta anche come “effetto yo-yo”, ovvero la perdita e l’aumento di peso costanti di solito causati da diete sbagliate, ha effetti negativi sulla salute. Secondo alcune stime, l’80 per cento delle persone che perdono peso riguadagnano gradualmente gli stessi chili se non addirittura di più di quando hanno iniziato la dieta. La dichiarazione scientifica “Obesity Pathogenesis” dell’Endocrine Society sulle cause dell’obesità dimostra che una volta che un individuo perde peso, il corpo normalmente riduce la quantità di energia spesa a riposo, durante l’esercizio fisico e nelle attività quotidiane. Al contrario, però, la fame aumenta. La combinazione tra un più basso dispendio di energia e la fame crea quella che gli studiosi della Endocrine Society definiscono una “perfetta tempesta metabolica”, caratterizzata condizioni che scatenano l’aumento del peso corporeo.
«Lo studio dimostra che la ciclicità del peso può aumentare il rischio di morte» ha dichiarato il professor Hak C. Jang, autore principale di “Body-weight fluctuation and incident diabetes, cardiovascular disease, and mortality: a 16-year prospective chort study”. «Tuttavia abbiamo anche concluso che la perdita di peso dovuta alla ciclicità può sostanzialmente ridurre il rischio di sviluppare il diabete in persone affette da obesità». Durante il gruppo di studio della durata di ben sedici anni, i ricercatori hanno esaminato 3.678 uomini e donne dal “Korean Genome and Epidemiology Study” e hanno scoperto che l’effetto yo-yo aumenta il rischio di morte. Curiosamente, però, hanno anche notato che le persone obese che avevano sperimentato tale ciclicità erano meno predisposte allo sviluppo del diabete di altri partecipanti non obesi. Secondo la ricerca, dunque, i benefici della perdita di peso hanno eclissato gli effetti negativi della ciclicità del peso per gli individui obesi, abbassando dunque il loro rischio di contrarre il diabete. Gli endocrinologi della Endrocine Society sono al nocciolo del problema e stanno per risolvere alcuni dei problemi di salute più pressanti dei nostri tempi dal diabete all’obesità, dall’infertilità alle malattie delle ossa e a forme di cancro legate al sistema ormonale.
Con decreto n. 101 del 28 dicembre 2018, firmato dal presidente Vincenzo De Luca, i pazienti affetti da insufficienza renale cronica potranno ricevere una fornitura mensile di alimenti aproteici a carico della Regione Campania. Tale contributo sarà assegnato in misura massima di euro 70 per tutti i pazienti, mentre, per coloro fino a 12 anni età che avranno bisogno di latte aproteico, sarà assegnato in misura massima di euro 80.
L’erogazione dei prodotti alimentari aproteici attraverso il contributo assegnato non sarà disponibile per i pazienti sottoposti a terapia dialitica, ma solo per quelli in pre-dialisi, secondo le linee guida previste. Questi ultimi potranno spendere l’importo assegnato mensilmente presso le farmacie o le attività commerciali convenzionate che già erogavano prodotti per la celiachia. Ciò successivamente alla prescrizione da parte dei centri prescrittori e dei relativi medici specialisti nefrologi, i quali redigeranno un piano terapeutico con valenza semestrale. Gli assistiti residenti in Campania, che riceveranno prescrizioni di alimenti aproteici da centri autorizzati fuori regione, dovranno comunque rivolgersi ai centri individuati dalla Regione Campania.
