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Tumore al seno: allo studio una nuova cura per le forme più aggressive

Un gruppo di ricercatori dell’Istituto Europeo di Oncologia (Ieo) ha scoperto che, a determinate condizioni, cambia il metabolismo delle cellule tumorali favorendone la crescita esponenziale e la degenerazione nelle forme più aggressive di cancro al seno. Guidati dal professo Salvatore Pace, ordinario di Patologia generale all’Università Statale di Milano e Direttore del Laboratorio “Tumori Ormono-Dipendenti e Patobiologia delle Cellule Staminali” dello IEO, i ricercatori hanno evidenziato come all’origine di questa specifica categoria di tumori vi sia la produzione eccessiva della proteina CDK12. Ne conseguono, a cascata, lo sviluppo di un tumore più aggressivo, la resistenza alle chemioterapie classiche e il rischio di metastasi. Se da un lato la sovrabbondanza della proteina CDK12 rende la malattia più pericolosa, dall’altro questa stessa proteina si svela come segnale evidente del tumore.

La terapia, in prima istanza, consiste nella somministrazione di farmaci anti-metabolici per indebolire le cellule tumorali, impedendone la moltiplicazione. “È noto da circa un secolo che le cellule tumorali presentano un metabolismo differente da quelle sane – afferma il prof. Pece –. L’utilizzo di farmaci anti-metabolici è stato tra le prime strategie messe in campo per combattere il cancro, in particolare il cancro della mammella. Tuttavia l’entusiasmo per questi farmaci da parte degli oncologi è progressivamente diminuito per la mancanza di marcatori per identificare in modo preciso le pazienti in grado di beneficiare selettivamente ed efficacemente di queste terapie. Nei nostri studi abbiamo integrato i dati ottenuti in esperimenti con animali di laboratorio con le analisi retrospettive di diverse coorti cliniche di pazienti con tumore mammario.

I risultati risolvono il problema poiché indicano chiaramente che elevati livelli di CDK12 costituiscono un biomarcatore utilizzabile per selezionare le pazienti da trattare con terapia anti-metabolica utilizzando un farmaco, il metotrexato, già disponibile nella clinica per la cura del tumore mammario”. Daniela Tosoni, una delle ricercatrici che ha partecipato allo studio: “Sia in animali di laboratorio sia in coorti di pazienti abbiamo dimostrato che i tumori con elevati livelli di CDK12 risultano particolarmente sensibili a terapie anti-metaboliche a base di metotrexato anche nel caso di pazienti che abbiano sviluppato resistenza ad altri comuni tipi di chemioterapie, come taxani ed antracicline”. Il prof. Pece ci tiene a sottolineare come questo sia “Uno di quei rari momenti della ricerca in cui, dopo molti anni di studio, è possibile passare dalla ricerca di base all’applicazione concreta in ambito clinico.

Abbiamo infatti a disposizione sia farmaci già immediatamente disponibili per la cura delle pazienti, sia un nuovo marcatore di aggressività tumorale e rischio metastatico che è, allo stesso tempo, un nuovo bersaglio di terapia mirata”. Paolo Veronesi, Direttore del Programma di Senologia dello IEO: “È un risultato straordinario e un’ottima notizia per molte pazienti per cui avremo una nuova possibilità di cura. Siamo infatti nelle condizioni di avviare immediatamente studi clinici, in particolare nell’ambito della malattia metastatica, per le pazienti con elevati livelli di CDK12 e che abbiano fallito nella risposta ad altri tipi di chemioterapie. Se i risultati degli studi clinici confermeranno ulteriormente questi risultati, sarà possibile fornire a tali pazienti una prospettiva terapeutica concreta con protocolli che includano l’utilizzo di farmaci antimetabolici come il metotrexato”.

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Sonno, dormire bene per restare in salute

Dormire a sufficienza e bene non è un privilegio, ma un’abitudine imprescindibile per mantenersi in salute. I danni di una mancanza di sonno cronica sono infatti molteplici e impattano notevolmente sulla qualità della vita e le condizioni di salute a qualsiasi età. Il tema è stato affrontato da medici esperti che sostengono che una carenza di sonno porta, in prima battuta, stanchezza e irritazione ma, se protratta nel tempo, è causa di problemi di salute più importanti. È quindi fondamentale non considerare questa situazione come accettabile o inevitabile, perché si possono mettere in atto accortezze, avvalorate dalla medicina del sonno, per prevenire e risolvere i problemi più frequenti. Come punto di partenza, è bene sottolineare che ogni soggetto ha una propria personale necessità di dormire che può variare tra individui diversi. La neurologa Lara Fratticci ha spiegato, in un articolo scritto per Humanitas, che il tempo medio di sonno necessario è di circa 7-8 ore a notte, ma alcuni possono aver bisogno anche di 10 ore e altri possono stare bene con solo 5-6 ore. La prima regole è quindi quella di fare il possibile per non snaturare il proprio orologio biologico.

Le cause dell’insonnia Le cause della mancanza d’insonnia includono più fattori. La dottoressa Fratticci riferisce infatti che «ci possono essere delle cause soggettive come il disturbo dell’umore, la depressione, l’ansia, oppure problematiche come la sindrome delle “gambe senza riposo”, un disagio causato da un’intensa irrequietezza motoria alle gambe che impedisce al paziente di iniziare il sonno notturno. Inoltre, alla base di una scarsa qualità del sonno possono esserci fattori che alterano il normale ritmo sonno-veglia. Questi fattori, a volte, sono riconducibili a determinate malattie sistemiche, a disturbi della tiroide, a scompenso cardiaco o a ipertensione arteriosa». A provocare difficoltà di addormentarsi o frequenti risvegli notturni concorrono però anche abitudini scorrette, come l’assunzione di caffè, alcool o nicotina nelle ore precedenti a quando ci si deve coricare, una dieta troppo ricca di grassi o la pratica sportiva serale. Anche la sistemazione della stanza in cui si dorme ha un impatto sulla qualità del sonno. Bisogna infatti regolare correttamente la temperatura, la luce, allontanarsi da fonti di rumore ed eventuali fattori che possono disturbare il sonno.

Le conseguenze della privazione di sonno Trascorrere periodi prolungati dormendo sempre male o troppo poco porta a una serie di conseguenze sia fisiche sia psicologiche. La dottoressa Fratticci ne elenca una serie, quali astenia, disturbi dell’attenzione, della concentrazione e della memoria, eccessiva sonnolenza diurna, disturbi dell’umore, ansia e facile irritabilità. Oltre al malessere generale occorre poi valutare l’impatto di questa condizione sulla vita quotidiana e le attività da svolgere, che risulteranno molto più complesse da sostenere a causa della stanchezza e della mancanza di concentrazione. Per chi non riesce a risolvere il problema cambiando le proprie abitudini, ci sono vari rimedi che possono essere considerati con l’ausilio del medico e del farmacista, dall’assunzione di integratori a base di melatonina fino alla prescrizione medica di farmaci specifici.

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L’8 settembre si celebra la Giornata mondiale della fisioterapia

L’8 settembre ricorre la Giornata mondiale della fisioterapia, un appuntamento annuale per far conoscere ai cittadini il contributo che gli specialisti di questo settore sono in grado di dare per migliorare la salute delle persone in numerose condizioni. L’evento viene organizzato dal 1996 e l’8 settembre fu scelto come data ufficiale perché in questo giorno, nel 1951, fu fondata la World Physiotherapy, organizzazione che rappresenta più di 660mila fisioterapisti in tutto il mondo attraverso le 125 realtà associate, tra cui l’Associazione italiana di fisioterapia (Aifi), che per l’occasione organizza diversi eventi. Sono infatti previsti eventi nazionali, territoriali e attività che verranno proposte attraverso i canali di comunicazione dell’Associazione, quali YouTube, Facebook, Twitter e Instagram. Sono poi disponibili immagini con i messaggi della campagna di quest’anno e gli hashtag #FisioterapiaMovimentoVita, #worldptday e #IlFiloBluDellaFisioterapia.

Focus sull’osteoartrosi.

Il tema centrale dell’edizione 2022 della Giornata mondiale della fisioterapia è l’osteoartrosi, una malattia articolare molto diffusa che può interessare qualsiasi articolazione, ma colpisce più comunemente le ginocchia, le anche e le mani. «Può iniziare con una lieve o importante lesione all’articolazione – spiega l’Aifi -. All’inizio del processo della malattia, il corpo umano ha le risorse per riparare questi cambiamenti. Con il progredire della malattia, il sistema di riparazione del corpo umano non riesce a tenere il passo e i tessuti articolari iniziano a danneggiarsi, conducendo a una riduzione della cartilagine, a rimodellamento osseo, noduli ossei e infiammazione articolare. Nonostante questi cambiamenti, l’articolazione può ancora funzionare normalmente, senza alcun dolore o rigidità. La prevenzione e il trattamento precoce sono fondamentali per fermare i danni causati dall’osteoartrosi».

“La fisioterapia rimette in moto la vita”.

La riabilitazione che può offrire la fisioterapia in molte situazioni di dolore e disagio fisico può cambiare la vita e risollevare l’umore dei pazienti. Per questo lo slogan scelto per la Giornata mondiale di quest’anno è “La fisioterapia rimette in moto la vita”. Come afferma l’Aifi, questa disciplina «aiuta a prevenire e trattare le difficoltà connesse a dolore, interventi chirurgici, malattie di vario genere (malattie reumatiche, neurologiche, cardiologiche, respiratorie, oncologiche…), condizioni di sovraccarico (come in ambito lavorativo e sportivo) in adulti e in bambini, ma anche nelle alterazioni che accompagnano l’avanzare dell’età». Per trasmettere questo messaggio alla popolazione, tra il 5 e il 10 settembre i fisioterapisti possono indossare un nastro/tape azzurro, con la scritta “Giornata mondiale della fisioterapia”, un modo per attirare l’attenzione del pubblico e avere più occasioni di raccontare cos’è la fisioterapia ai cittadini.

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Lo stress causa la parodontite?

Lo stress è una reazione psicofisica a sollecitazioni emotive, materiali, sociali o cognitive anche molto diverse fra loro e che, in un dato momento, il soggetto avverte come eccessive. In altre parole, è un meccanismo di difesa del corpo umano di fronte a situazioni di emergenza. A questo scopo il nostro organismo produce il cortisolo, noto come “ormone dello stress”, che aumenta i livelli di glicemia e di grassi nel sangue utili ad affrontare la situazione stressante. Oltre al cortisolo l’organismo libera adrenalina e noradrenalina (che accelera il battito cardiaco e provoca la risposta di “attacco o fuga”), aumentando la pressione sanguigna e migliorando così performance e prontezza fisica.

Lo stress può manifestarsi in due forme differenti per durata: in forma acuta, quando è concentrato e circoscritto nel tempo; in forma cronica, quando perdura e può ostacolare il raggiungimento di obiettivi personali, lavorativi e, più in generale, della vita di una persona. Diversi studi scientifici hanno collegato lo stress a un variegato ventaglio di patologie. A partire dagli anni Novanta alcune ricerche ne hanno evidenziato il rapporto con la parodontite, cioè con l’infiammazione delle gengive che, se non curata in tempo, porta alla perdita dei denti.

Si tratta di studi di osservazione che ancora non stabiliscono un rapporto di causa-effetto fra stress e parodontite. Tuttavia è indubbio che vi sia un’importante correlazione fra le due condizioni. In uno degli esperimenti più recenti, condotto da un gruppo di ricercatori brasiliani e statunitensi nel 2020 su un campione di 621 soggetti, 301 erano stressati e il 24% di loro presentava problemi di parodontite. Lo studio rivelava come i soggetti stressati accusassero importanti problematiche gengivali, dalle forme più lievi a quelle più gravi. Perché lo stress favorisce l’insorgere di una parodontite? Perché cresce il livello di cortisolo e catecolamine nel sangue, ormoni che inibiscono o diminuiscono a loro volta i linfociti, cioè quelle cellule fondamentali per il sistema immunitario, causando così una risposta difensiva debole. Pertanto nei periodi di stress dovremmo prestare maggiore attenzione anche ai nostri denti, in particolare alle gengive poiché, come abbiamo visto, possono risentirne. Lo stress, in aggiunta alla presenza di batteri, al fumo o ad altri fattori, possono scatenare un’infiammazione gengivale, talvolta anche piuttosto grave.

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Ecoterapia: cosa è e come funziona

L’ecoterapia, la terapia della natura o pratica giapponese dello Shinrin-Yoku (“bagno nella foresta”), è una moda, una trovata di marketing? Oppure è un qualcosa di scientificamente provato e praticabile? Quante volte capita di dire “Esco a prendermi una boccata d’aria” oppure ci si sorprende a contemplare un tramonto per il semplice piacere di farlo? È già sufficiente la nostra esperienza personale a dimostrare come uscire all’aria aperta, a contatto con la natura, migliori il nostro benessere fisico e mentale. Nelle culture occidentali e in quelle orientali gli elementi naturali sono stati considerati diversamente nel corso dell’evoluzione, passando dalla sacralità della natura all’ecocentrismo e all’antropocentrismo.

L’introduzione della tecnologia, l’urbanizzazione e la digitalizzazione delle nostre vite, entro il perimetro mobile della globalizzazione, hanno ridotto progressivamente i contatti con la natura. L’ecoterapia intende ristabilire questi legami perché estremamente positivi per la salute dell’uomo. L’orticoltura urbana e quella terapeutica, l’assistenza agli animali, la conservazione della flora e della fauna sono solo alcuni degli approcci basati sull’ecosistema e utilizzati dall’ecoterpia. Le sue tecniche si sono dimostrate efficaci in caso di ipertensione, obesità, riabilitazione post-chirurigica, depressione, stress, disturbi post traumatici da stress, disturbi da deficit dell’attenzione e dell’adattamento. Talvolta teorie e pratiche dell’ecoterapia completano programmi di psicoterapia per migliorarne l’efficacia.

Uno studio sull’ecoterapia pubblicato da Frontiers in Public Health ricorda come al diffondersi dell’urbanizzazione sia corrisposto un aumento dei casi di disturbi mentali su scala mondiale. Tendenza ricollegabile a una minore esposizione alla natura, producendo cambiamenti nel funzionamento psicologico. Viceversa, studi paralleli hanno dimostrato come il contatto con la natura migliori vari aspetti psicofisici dell’uomo. Nel 2018 si è arrivati a una metanalisi ricognitiva dei risultati prodotti da 143 studi sull’argomento. Eccone alcuni: l’inscindibile associazione tra una maggiore esposizione agli spazi verdi e una riduzione del cortisolo (ormone dello stress) nella saliva; diminuzione del battito cardiaco e della pressione sanguigna; riduzione del colesterolo cattivo; diminuzione di parti prematuri; riduzione del diabete di tipo 2 e, più in generale, abbassamento del rischio di mortalità.

Persino l’incidenza di ictus, asma e malattia coronarica è diminuita. Una maggiore esposizione alla luce solare, inoltre, favorisce la produzione di vitamina D, fondamentale per ossa e muscoli forti, per il sistema immunitario e per il benessere mentale. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) riconosce che “gli spazi verdi urbani, come parchi, parchi giochi e vegetazione residenziale, possono promuovere la salute mentale e fisica e ridurre la morbilità e la mortalità nei residenti urbani fornendo relax psicologico e alleviando lo stress, stimolando la coesione sociale, sostenendo l’attività fisica e riducendo l’esposizione agli inquinanti atmosferici, al rumore e al calore estremo”.

In un percorso di cure psicoterapeutiche bisognerebbe essere sempre seguiti da un professionista, e questo vale anche in ambito di ecoterapia. Tuttavia, ognuno di noi può sperimentare e raccogliere i benefici della natura (magari iniziando a farci caso, agli elementi della natura che ci circondano). Su Forbes – Health, Sarah Hays Coomer fa notare come camminare, leggere, fare giardinaggio, fare una grigliata all’aperto, meditare, fare stretching siano tutte attività fattibili anche solo per 10 – 20 minuti per trarne molti vantaggi. Per chi può fare un lavoro d’ufficio in smart working, durante la bella stagione potrebbe approfittare di spazi all’aperto per svolgere almeno in parte la propria attività. Secondo la ricerca pubblicata su Frontiers in Psychology il lavoro all’aperto è associato a “un senso di benessere, recupero, autonomia, miglioramento dell’attività cognitiva, miglioramento della comunicazione e delle relazioni sociali”.

Coloro i quali sono impossibilitati ad uscire (per malattia, disabilità, problemi di sicurezza o impegni lavorativi/famigliari) possono comunque interfacciarsi con la natura. In che modo? È stato dimostrato come l’ascolto di suoni naturali, come il canto degli uccelli, il sibilare del vento, lo scroscio dell’acqua corrente, possano migliorare l’umore e le prestazioni cognitive, oltre a ridurre i livelli di stress percepiti. Persino guardare un albero dalla finestra, avere cura di una pianta d’appartamento, visualizzare spazi verdi può contribuire al benessere psicofisico di una persona, molto più che il non farlo affatto.