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Saponi antibatterici, studio: «Potrebbero provocare osteoporosi»

L’osteoporosi è una condizione attraverso cui, a causa di diversi fattori, lo scheletro va incontro ad una perdita di massa ossea. I soggetti che presentano osteoporosi hanno una predisposizione maggiore allo sviluppo di fratture patologiche. Tra le cause che la provocano vengono annoverati fattori nutrizionali, ma anche relativi a processi metabolici o a patologie. Tuttavia, secondo quanto riportato da uno studio pubblicato sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, un ulteriore fattore potrebbe aggiungersi alle cause sinora conosciute. Nello specifico, gli scienziati hanno rilevato che «le donne esposte al triclosan, una sostanza chimica che si trova spesso nei saponi e nei disinfettanti per le mani, potrebbero avere maggiori probabilità di sviluppare l’osteoporosi rispetto alle donne che non hanno questa esposizione, suggerisce un nuovo studio».
Tale molecola è stata ampiamente utilizzata per anni come agente antimicrobico nei prodotti di consumo e di cura personale, tra cui saponi, disinfettanti per le mani, dentifricio e collutorio. Mentre l’effetto esatto della sostanza chimica sulla salute umana non è chiaro, alcune ricerche precedenti suggeriscono che il triclosan può interferire con la tiroide e gli ormoni riproduttivi.
È stato anche dimostrato che il triclosan ha un impatto sulla salute delle ossa negli animali, ma meno si sa sul potenziale che questa sostanza chimica possa contribuire a indebolire le ossa fragili nelle persone. Nello specifico, lo studio dimostra che è verosimilmente possibile che l’esposizione al triclosan possa innescare cambiamenti nella produzione di ormoni tiroidei e estrogeni che interrompano il normale sviluppo scheletrico e il mantenimento di ossa sane con l’età delle donne. «Anche se sono necessarie ulteriori ricerche per dimostrare se il triclosan causa direttamente l’osteoporosi, ha ancora senso evitare di usare prodotti che contengono la sostanza chimica», ha detto Luz Claudio, ricercatore di medicina ambientale e salute pubblica presso la Icahn School of Medicine del Mount Sinai a New York.

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Estate 2019: quali farmaci portare in vacanza?

Tempo d’estate, aria di vacanza. Con l’arrivo della stagione estiva molti italiani sceglieranno di passare le proprie vacanze al mare o in montagna. Luoghi che, per quanto possano essere sicuri e coperti dall’efficiente nonché capillare servizio farmaceutico italiano, possono mettere i viaggiatori di fronte a situazioni di urgenza soprattutto per quanto attiene i piccoli disturbi transitori tipici di quando si trascorre molto tempo fuori casa. Quali sono dunque i rimedi che non possono proprio mancare nel proprio bagaglio da portare al seguito? A fornire una panoramica è l’azienda Angelini, gruppo italiano che realizza e commercializza farmaci in Italia e nel mondo. Secondo quanto evidenziato sulle pagine del gruppo, «coloro che seguono una terapia medica cronica devono portare un’adeguata scorta di medicinali (ad es. antidiabetici, antipertensivi, antiepilettici, antianginosi, anticoncezionali ecc.) che copra in eccesso il periodo di tempo in cui si troveranno lontani da casa». Ciò in particolar modo se si va verso l’estero, dove potrebbe essere difficile trovare i medesimi principi attivi con gli stessi dosaggi.
Quanto ai farmaci di uso comune da portare con se, reperibili grazie all’intervento del farmacista di fiducia, «la scelta dei prodotti da “mettere in valigia” – spiega Angelini – dipende dalle caratteristiche del viaggio, dalla destinazione, dalla durata e dal tipo di alloggio. In linea di massima è consigliabile portare in viaggio, oltre ai farmaci abituali, anche alcuni prodotti che teniamo abitualmente nell’armadietto di casa». Tra questi un «antipiretico (contro la febbre), un analgesico (contro il dolore) un antidiarroico, un antibiotico a largo spettro d’azione un antinfiammatorio, un farmaco contro la chinetosi (mal d’auto, mal di mare, mal d’aria), un collirio, un prodotto repellente contro le zanzare ed altri insetti, una crema antiscottature, un Kit da pronto soccorso con cerotti, disinfettante, qualche siringa sterile e l’occorrente per una pronta medicazione un termometro, una pomata contro ematomi e distorsioni, se si è programmato una vacanza in montagna è prudente premunirsi del siero antivipera». Parte di questi prodotti sono reperibili in farmacia senza l’intervento del medico, per altri, invece, è necessario rivolgersi al medico curante.

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Adenuric (febuxostat), le autorità: «Aumento del rischio di morte cardiovascolare e mortalità»

Come è noto, Febuxosat è un principio attivo il cui meccanismo riduce la formazione di acido urico. È autorizzato in Italia con il farmaco Adenuric, nel dosaggio da 80 mg e 120 mg, per il trattamento dell’iperuricemia cronica con deposito di urato (compresa l’anamnesi, o la presenza, di tofi e/o di artrite gottosa) e per la prevenzione e il trattamento dell’iperuricemia in pazienti adulti sottoposti a chemioterapia per neoplasie ematologiche maligne con un rischio da intermedio ad alto di sindrome da lisi tumorale (Tls). L’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) in accordo con la ditta produttrice del farmaco Menarini International Operations Luxembourg S.A., e l’Agenzia Europea per i Medicinali (Ema) hanno reso noto che «in uno studio clinico di fase IV (lo studio CARES) condotto su pazienti affetti da gotta con un’anamnesi di malattia cardiovascolare (CV) importante, è stato osservato un rischio significativamente maggiore di mortalità per qualsiasi causa e di morte per cause cardiovascolari nei pazienti trattati con febuxostat rispetto ai pazienti trattati con allopurinolo». In aggiunta a ciò, «il trattamento con febuxostat nei pazienti con malattia CV importante preesistente (ad esempio infarto miocardico, ictus o angina instabile) deve essere evitato, tranne quando non siano disponibili altre opzioni terapeutiche adeguate».

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Sigarette elettroniche, studio: «Danneggiano le cellule staminali del cervello»

Negli ultimi anni la rapida diffusione delle sigarette elettroniche ha reso possibile una via alternativa al fumo di tabacco per coloro intenzionati a ridurre o eliminare il problema del tabagismo. Tuttavia, sebbene sia ancora controverso l’effettivo beneficio di tali dispositivi nella disassuefazione dal fumo, un recente studio portato a termine da un gruppo di ricerca dell’Università della California, Riverside, ha scoperto che le sigarette elettroniche, spesso mirate ai giovani e alle donne in gravidanza, producono una risposta allo stress nelle cellule staminali neurali, che sono cellule critiche nel cervello.
Come è noto, le cellule staminali diventano cellule specializzate con funzioni più specifiche, come cellule cerebrali, cellule del sangue o ossa. Esse sono molto più sensibili allo stress rispetto alle cellule specializzate e forniscono un modello per studiare l’esposizione a sostanze tossiche, come il fumo di sigaretta. Ebbene, proprio in merito alle sigarette elettroniche, utilizzando cellule staminali neurali del topo coltivate, i ricercatori dell’UC Riverside hanno identificato il meccanismo alla base della tossicità delle cellule staminali indotta da EC come “iperfusione mitocondriale indotta dallo stress” o SIMH. «Gli alti livelli di nicotina nelle EC  – evidenziano – portano ad un’inondazione di nicotina di speciali recettori nella membrana delle cellule staminali neurali”, ha detto Zahedi. «La nicotina si lega a questi recettori, causandone l’apertura, mentre il calcio e gli altri ioni iniziano a entrare nella cellula e alla fine si verifica un sovraccarico di calcio».

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Inibitori di pompa, l’Fda ricorda il possibile rischio di fratture

Gli inibitori di pompa sono dei farmaci che, grazie alla loro azione, riducono il Ph acido dello stomaco proteggendolo dal rischo di lesioni. Questi farmaci vengono usati soli o in associazione nel caso di uso prolungato di antinfiammatori noti per l’azione di lesività delle pareti dello stomaco. Inoltre, tali medicinali sono usati per altre condizioni quali dispepsia, ulcera gastro-duodenale, oppure associati con altri antibiotici per curare la gastrite da Helicobacter pylori, sindrome di Zollinger-Ellison ed infine reflusso gastro-esofageo. In Italia, per poter acquistare gli inibitori di pompa è necessaria la ricetta del medico, mentre negli Stati Uniti vengono commercializzati come Otc, vale a dire liberamente acquistabili dal paziente senza alcun tipo di ricetta.
La Food & Drug Administration (Fda), ente governativo statunitense  che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, ha richiamato l’attenzione su un utilizzo intensivo e non controllato di tali medicinali. Ciò attraverso un avviso di osteoporosi e di frattura sull’etichetta “Fatti del farmaco” del farmaco per inibitori della pompa protonica, in seguito ad un’accurata revisione dei dati di sicurezza disponibili, la Fda ha concluso che il rischio di fratture con l’uso di Ppi a breve termine e basse dosi è improbabile. Sebbene questa notizia risalga al lontano marzo del 2011, si ritiene dunque utile ricordare la pericolosità di un uso non controllato di tali medicinali.
A tal proposito, l’Fda ha ricordato che gli utilizzatori di tali famaci devono «essere consapevoli – si legge in una nota dell’ente – del fatto che in alcuni studi su pazienti che usano inibitori della pompa protonica è stato segnalato un aumentato rischio di fratture dell’anca, del polso e della colonna vertebrale». Tale maggior rischio, spiega l’Fda, «è stato osservato nei pazienti che ricevono alte dosi di questi farmaci o li usano più a lungo (un anno o più)». In aggiunta a ciò, «se il tuo bruciore di stomaco continua, parla con il tuo medico. Non più di tre corsi di trattamento di 14 giorni dovrebbero essere utilizzati in un anno» e dunque parlare col medico o col farmacista di fiducia «per eventuali dubbi sull’utilizzo degli inibitori della pompa protonica».