Come noto, la tessera sanitaria è utilizzata nelle diverse attività sanitarie, come dal medico curante o pediatra, per la prenotazione di visite specialistiche, per esami presso gli ospedali, le Asl, ma anche in farmacia per poter ottenere lo scontrino fiscalmente detraibile. In generale, può essere usata in tutte le occasioni in cui sia necessario certificare il proprio codice fiscale. La parte anteriore, il supporto magnetico contiene il proprio codice fiscale. La parte posteriore, se personalizzata, assume validità di Tessera europea di assicurazione malattia (Team), al fine di accedere alle differenti prestazioni sanitarie nei paesi dell’Unione europea. La tessera sanitaria è inviata in maniera automatica al domicilio fiscale del soggetto interessato, tuttavia, in alcuni casi, potrebbe non arrivare a destinazione.
Per far fronte a queste problematiche, l’Agenzia delle entrate ha chiarito le modalità utili a poterne ottenerne una nuova. Nello specifico, «la soluzione – spiega l’Agenzia – è rivolgersi a un qualunque ufficio dell’Agenzia delle entrate, dove sarà possibile verificare la correttezza dell’indirizzo di residenza presente nella banca dati del Fisco». Qualora invece si abbia a che fare con un caso di smarrimento, l’Agenzia fa sapere che «è possibile chiedere un duplicato direttamente dal computer di casa». Nello specifico, «sul sito dell’Agenzia delle entrate è attivo un servizio senza registrazione che permette di richiedere online l’emissione di un duplicato della Tessera sanitaria (quella senza microchip, per intenderci) indicando il codice fiscale oppure i dati anagrafici completi».
Infine, «per evitare un uso improprio del servizio – evidenzia l’Agenzia -, viene richiesto di indicare anche alcuni dati relativi alla dichiarazione dei redditi presentata nell’anno precedente e la motivazione della richiesta. Se, invece, si era in possesso di una Ts-Cns (con chip), per ottenere un duplicato occorre utilizzare i servizi telematici dell’Agenzia e bisogna quindi essere in possesso delle credenziali Fisconline o avere un’identità digitale con Spid».
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Il servizio informativo per i pazienti del centro “L’Incontro” a Teano (CE).
«Le persone anziane che hanno avuto una diagnosi di tumore mantengono abitudini, quali fumo, abuso di alcol, sedentarietà o scarso consumo di frutta e verdura, che rappresentano fattori di rischio per recidive tumorali o aggravanti della patologia stessa». È quanto emerso alla presentazione del volume “I numeri del cancro in Italia 2019”, prodotto dall’aggregazione dei dati dei sistemi di sorveglianza “Passi e Passi d’Argento” e coordinato dall’Istituto superiore di sanità (Iss). «Nel biennio 2016-2017 – si legge in una nota – sono state raccolte informazioni su un campione rappresentativo per genere ed età di 22.811 persone di 65 anni o più residenti in Italia; di queste 3.019 hanno riferito di aver ricevuto una diagnosi di tumore, pari a una prevalenza media annua nella popolazione generale di ultra 65enni del 12,8%». Alla luce di quanto è emerso, dunque, «fra questi pazienti resta non trascurabile la quota di persone che si mantengono fumatori abituali (11%). Il 18% fa ancora un consumo di alcol rischioso per la salute (superando il limite indicato dall’Organizzazione mondiale della sanità per gli ultra 65enni di una unità alcolica al giorno) e il 40% dichiara di essere sedentario».
Infine, «è relativamente bassa (13%) la quota di persone che consuma almeno 5 porzioni di frutta e verdura al giorno, come raccomandano le linee guida per una corretta e sana alimentazione». Tra i comportamenti salutari da mettere in atto dopo la diagnosi di una patologia oncologica è bene ribadire l’importanza di sospendere il fumo e la somministrazione di alcol, oltre che evitare atteggiamenti legati alla vita sedentaria, facendo grande consumo di frutta e verdura.
I ricercatori della Cockrell School of Engineering, presso l’Università del Texas, ad Austin, negli Stati Uniti, hanno scoperto che fare un bagno in acqua a circa 40-41 gradi, una o due ore prima di coricarsi, può migliorare significativamente il sonno. Nel dettaglio, gli studiosi hanno scoperto che la tempistica ottimale del bagno per il raffreddamento della temperatura corporea al fine di migliorare la qualità del sonno è di circa 90 minuti prima di andare a letto. Bagni caldi e docce stimolano il sistema termoregolatore del corpo, causando un marcato aumento della circolazione del sangue dal nucleo interno del corpo ai siti periferici delle mani e dei piedi, con conseguente efficace rimozione del calore corporeo e riduzione della temperatura corporea.
Pertanto, se i bagni sono fatti al momento biologico giusto, vale a dire una o due ore prima di coricarsi, aiuteranno il naturale processo circadiano e aumenteranno le possibilità non solo di addormentarsi rapidamente ma anche di sperimentare un sonno di qualità migliore. «Quando abbiamo esaminato tutti gli studi noti – evidenzia Shahab Haghayegh, del dipartimento di ingegneria biomedica e autore principale del documento – abbiamo notato notevoli disparità in termini di approcci e risultati. L’unico modo – prosegue – per determinare con precisione se il sonno può effettivamente essere migliorato era combinare tutti i dati passati e guardarli attraverso una nuova lente».
«L’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha disposto il ritiro dalle farmacie e dalla catena distributiva di tutti i lotti di medicinali contenenti il principio attivo ranitidina prodotto presso l’officina farmaceutica Saraca Laboratories Ltd – India». Lo fa presente l’Agenzia italiana del farmaco attraverso un comunicato diramato sul proprio portale istituzionale. «Il motivo – spiega l’Aifa – è la presenza, in alcuni di questi lotti, di un’impurezza denominata N-nitrosodimetilammina (Ndma) appartenente alla classe delle nitrosammine, già rilevata nel 2018 in una classe di farmaci anti-ipertensivi (sartani)». Nella stessa nota, a scopo precauzionale, l’Aifa ha informato del «divieto di utilizzo di tutti i lotti commercializzati in Italia di medicinali contenenti ranitidina prodotta da altre officine farmaceutiche diverse da Saraca Laboratories Ltd, in attesa che vengano analizzati».
Ne consegue che, alla luce di quanto evidenziato, al momento non è possibile acquistare o ritirare presso le farmacie territoriali tutti i farmaci contenenti il principio attivo ranitidina. Per tale motivo, l’Aifa ha diramato anche una serie di informazioni utili per i cittadini. Tra queste, la mancata necessità immediata nel sospendere il trattamento in corso, ma al tempo stesso l’invito a contattare quanto prima il proprio medico curante. «Potrai -evidenzia l’Aifa – concordare con lui un trattamento alternativo (un altro medicinale diverso da ranitidina, indicato nel trattamento delle condizioni in cui lo stomaco produce quantità eccessiva di acido)». In aggiunta a ciò, l’Agenzia rende noto che se i pazienti sono in trattamento con un medicinale di automedicazione, sempre contenente ranitidina, gli stessi possono consultare il medico o il farmacista di fiducia per valutare un trattamento alternativo.
Quanto alla N-nitrosodimetilammina, l’Aifa evidenzia che «è una sostanza chimica organica che si genera come sottoprodotto di numerosi processi industriali. È inoltre presente a livelli molto bassi nelle forniture d’acqua e in alcuni alimenti, in particolare quelli cotti, affumicati o stagionati. Non sono attesi danni, quando ingerita in quantità molto basse». Per questo motivo, conclude l’Aifa, «non si attende un rischio acuto per il paziente che abbia già assunto medicinali contenenti ranitidina». Ulteriori informazioni possono essere reperite sul portale istituzionale dell’Agenzia italiana del farmaco (https://www.aifa.gov.it/) oppure contattare il numero verde 800571661. In alternativa, è possibile recarsi presso il proprio medico curante o il farmacista di fiducia.
L’Associazione internazionale per lo studio del cancro del polmone (International association for the study of lung cancer, Iaslc) ha diramato un appello in occasione della conferenza annuale sul cancro al polmone, svoltasi a Barcellona dal 7 al 10 settembre 2019, per richiamare l’attenzione sull’importanza della cessazione del tabacco dopo la diagnosi del cancro. Ciò esortando tutti i medici a selezionare i malati di cancro per l’uso del tabacco e raccomandare loro la cessazione del tabacco. Secondo quanto riportato dall’associazione, «i pazienti oncologici che continuano a fumare dopo la diagnosi hanno un tasso di mortalità più elevato e un rischio più elevato di un secondo sviluppo del cancro». Nello specifico, «gli effetti clinici del fumo dopo la diagnosi del cancro hanno anche un effetto sostanziale sull’aumento dei costi di trattamento del cancro».
Nella propria dichiarazione pubblicata nei giorni del congresso, la Iaslc ha diramato diverse raccomandazioni. Tra queste, che «tutti i malati di cancro devono essere sottoposti a screening per l’uso del tabacco e informati sui benefici della sospensione del tabacco». Inoltre, «nei pazienti che continuano a fumare dopo la diagnosi di cancro, l’assistenza di cessazione del tabacco basata sull’evidenza deve essere sistematicamente e integralmente integrata nella cura multidisciplinare del cancro per i pazienti e i loro familiari». In aggiunta a ciò, «i programmi educativi sulla gestione del cancro dovrebbero includere l’addestramento alla cessazione del tabacco, la comunicazione empatica sulla storia dell’uso del tabacco e la cessazione e l’utilizzo delle risorse esistenti per la cessazione del tabacco basate sull’evidenza». Inoltre «la consulenza e il trattamento per smettere di fumare dovrebbe essere un servizio rimborsabile». Infine, «lo stato di fumo, sia inizialmente che durante lo studio, dovrebbe essere un elemento di dati richiesto per tutti gli studi clinici prospettici», e dunque che «le sperimentazioni cliniche su pazienti con cancro dovrebbero prendere in considerazione progetti che potrebbero anche determinare gli interventi più efficaci per la sospensione del tabacco».