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Settimana nazionale della celiachia, un’opportunità per conoscere la patologia

Come ogni anno, dal 2015, anche nel 2019 si svolge la Settimana nazionale della celiachia, dall’11 al 19 maggio 2019. L’iniziativa, giunta dunque alla quinta edizione, è portata avanti dall’Associazione italiana celiachia (Aic). Quest’ultima, a partire dal 1979, «si impegna a cambiare in meglio la vita delle persone celiache e dei loro famigliari». Ad oggi, la patologia interessa in Italia circa 600.000 persone. Tuttavia, si ritiene che un gran numero di persone siano del tutto inconsapevoli di essere affetti da malattia celiaca. Per questo motivo, il tema dell’edizione 2019 della Settimana nazionale della celiachia è incentrato sul futuro della diagnosi. Secondo quanto spiega l’Aic «le diagnosi di celiachia risultano solo al 30% di quelle attese eppure i nuovi celiaci diagnosticati sono in calo». Per questo motivo «è sempre più difficile individuare nuovi pazienti in quanto affetti da sintomi non classici della celiachia, sintomi inizialmente non riconducibili a questa patologia». In occasione della Settimana 2019 vengono analizzati i sintomi non classici e messi a disposizione indicazioni rivolte agli specialisti per ridurre il numero di pazienti non ancora diagnosticati.
Corre utile ricordare che la malattia celiaca, secondo quanto spiega l’Aic, «è una infiammazione cronica dell’intestino tenue, scatenata dall’ingestione di glutine in soggetti geneticamente predisposti. Il glutine è un complesso proteico presente in alcuni cereali (frumento, segale, orzo, avena, farro, spelta, kamut®, triticale)». Data questa infiammazione il soggetto celiaco sviluppa una serie di sintomi che variano da persona a persona e che caratterizzano il quadro clinico. Esso «va dalla diarrea profusa con marcato dimagrimento, a sintomi extraintestinali, quali anemia, astenia, amenorrea, infertilità, aborti ricorrenti, bassa statura, ulcere del cavo orale, osteoporosi, dolori articolari, dermatiti, edemi, alopecia, alla associazione con altre malattie autoimmuni, fino a complicanze molto gravi quali l’epilessia con calcificazioni cerebrali o il linfoma intestinale».

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Malattie cardiache, le noci utili ad abbassare pressione sanguigna

Se combinato con una dieta a basso contenuto di grassi saturi, mangiare noci può aiutare a ridurre la pressione del sangue nelle persone a rischio di malattie cardiovascolari. È quanto scoperto in un nuovo studio della Penn State University. Nello specifico, i ricercatori hanno esaminato gli effetti della sostituzione di alcuni grassi saturi nelle diete dei partecipanti con le noci. Ebbene, hanno scoperto che quando i partecipanti mangiavano noci intere al giorno in combinazione con quantità totali inferiori di grassi saturi, avevano una pressione arteriosa centrale più bassa. Secondo i ricercatori, la pressione centrale è la pressione che viene esercitata su organi come il cuore. Questa misura, come la pressione arteriosa misurata nel braccio in modo tradizionale, fornisce informazioni sul rischio di sviluppare una malattia cardiovascolare (CVD).
«Quando i partecipanti mangiavano noci intere – ha spiegato Penny Kris-Etherton, professore di nutrizione -, vedevano benefici maggiori rispetto a quando consumavano una dieta con un profilo simile ad acidi grassi come noci senza mangiare il dado stesso». Pertanto, spiega, «sembra che ci sia qualcosa in più nelle noci che è benefico – forse i loro composti bioattivi, forse la fibra, forse qualcos’altro – che non si ottiene da soli gli acidi grassi». «Le noci contengono acido alfa-linolenico – Ala – un omega-3 vegetale che può influenzare positivamente la pressione sanguigna. Volevamo vedere se l’Ala fosse il principale contributo a questi benefici salutari o se fosse un altro componente bioattivo delle noci, come i polifenoli: abbiamo progettato lo studio per verificare se questi componenti avessero benefici addizionali». I ricercatori hanno scoperto che mentre tutte le diete di trattamento hanno avuto un effetto positivo sugli esiti cardiovascolari, la dieta con noci intere ha fornito i maggiori benefici, tra cui la pressione arteriosa diastolica centrale inferiore. In contrasto con la pressione brachiale – che è la pressione che si allontana dal tuo cuore e misurata con un bracciale nell’ufficio del medico – la pressione centrale è la pressione che si muove verso il tuo cuore. «Invece di cercare carne rossa grassa o latticini grassi per uno spuntino, prendi in considerazione l’aggiunta di latte scremato e noci», ha spiegato Kris-Etherton. «Penso che si riducano a come possiamo ottenere il massimo dal cibo che stiamo mangiando, in particolare, come ottenere un po ‘più di botta dal cibo in cambio In questo senso, le noci sono un buon sostituto per il grasso saturo».

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Farmaci a base di domperidone, le informazioni per una migliore sicurezza

Il domperidone è un principio attivo presente in vari farmaci usati per attenuare i sintomi di nausea, vomito, gonfiore dello stomaco, dolori addominali e rigurgito gastro-intestinale. Può essere usato negli adulti, ma, con le dovute accortezze e limitazioni, anche dai bambini per alleviare nausea e vomito. In una nota diramata il 2 maggio 2019, l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), autorità che in Italia ha varie finalità tra cui quella di verificare la sicurezza dei farmaci, ha rinnovato la necessità di avere massima attenzione nell’uso del domperidone. Ciò per minimizzare i possibili rischi cardiaci. Nella stessa comunicazione, l’Aifa ha ricordato che i farmaci a base del principio attivo domperidone non possono essere usati nei bambini al di sotto dei 12 anni o di peso inferiore ai 35 kg.
Nello specifico, «l’uso di domperidone è associato ad un aumento del rischio di eventi avversi cardiaci gravi, tra cui prolungamento dell’intervallo QTc, torsioni di punta, grave aritmia ventricolare e morte cardiaca improvvisa». Tutti i medicinali contenenti domperidone, si legge nella nota, «sono controindicati nei pazienti con insufficienza epatica da moderata a grave, nei pazienti che presentano un prolungamento noto degli intervalli nel sistema di conduzione cardiaco (QTc in particolare) e nei pazienti con disturbi elettrolitici significativi o malattie cardiache quali ad esempio l’insufficienza cardiaca congestizia, in caso di somministrazione concomitante dei farmaci che inducono il prolungamento del QT», ed infine «in caso di somministrazione concomitante di potenti inibitori di CYP3A4 (a prescindere dai relativi effetti di prolungamento del QT)».
Per questo motivo, evidenzia l’Aifa, «Domperidone deve essere usato alla minima dose efficace per il minor tempo possibile. La durata massima del trattamento solitamente non deve eccedere una settimana». Per quanto concerne la somministrazione nei bambini, l’Aifa ha ribadito che «a seguito di nuove evidenze sull’uso di domperidone in pediatria, l’indicazione nei bambini di età inferiore a 12 anni o peso inferiore a 35 kg è stata eliminata» e che «il rapporto beneficio/rischio di domperidone rimane positivo per alleviare i sintomi di nausea e vomito negli adulti e adolescenti a partire dai 12 anni di età e dai 35 kg di peso».
Parte delle informazioni contenute in questo articolo sono un estratto delle informazioni riservate agli operatori sanitari, tra cui medico e farmacista. Ne consegue che la terminologia utilizzata potrebbe essere di non semplice comprensione ad un pubblico che cerca informazioni in rete e che si imbatte in questo articolo attraverso un motore di ricerca. Per questo motivo, si raccomanda in ogni caso di consultare il medico di medicina generale o il farmacista di fiducia qualora si avessero dubbi in merito. In ogni caso, non bisogna assumere mai farmaci prescritti ad altri familiari, già presenti nell’armadio dei farmaci domestico. Infine, è bene ricordare che non è possibile assumere farmaci senza che il medico abbia dato il proprio consenso. Con riferimento alla nota diramata, è disponibile la versione integrale sul sito ufficiale dell’Aifa al link www.aifa.gov.it.

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Antibiotici chinolonici e fluorochinolonici, le autorità: «Rischio di effetti desiderati invalidanti»

L’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) e l’Agenzia europea dei medicinali (Ema), in accordo con le ditte produttrici di antibiotici chinolonici e fluorochinolonici, hanno diramato una nota informativa relativa al possibile rischio di effetti indesiderati invalidanti, di lunga durata e potenzialmente permanenti. Come è noto, tali antibiotici vengono usati in Italia e nei paesi dell’Unione europea per il trattamento di numerose infezioni batteriche, alcune delle quali potenzialmente letali. A seguito del termine di una revisione su tali antibiotici, le Agenzie hanno informato che i medicinali contenenti cinoxacina, flumechina, acido nalidixico e acido pipemidico verranno ritirati dal commercio. Mentre, i medicinali contenenti ciprofloxacina, levofloxacina, moxifloxacina, pefloxacina, prulifloxacina, rufloxacina, norfloxacina, lomefloxacina, non potranno essere più usati per «il trattamento di infezioni non gravi o autolimitanti (quali faringite, tonsillite e bronchite acuta)», per «la prevenzione della diarrea del viaggiatore o delle infezioni ricorrenti delle vie urinarie inferiori», in caso di «infezioni non batteriche, per esempio la prostatite non batterica (cronica)», per «le infezioni da lievi a moderate (incluse la cistite non complicata, l’esacerbazione acuta della bronchite cronica e della broncopneumopatia cronica ostruttiva – bpco, la rinosinusite batterica acuta e l’otite media acuta), a meno che altri antibiotici comunemente raccomandati per queste infezioni siano ritenuti inappropriati», ed infine nei pazienti «che in passato abbiano manifestato reazioni avverse gravi ad un antibiotico chinolonico o fluorochinolonico».
Tale limitazioni sono state rese necessarie a causa della segnalazione di «reazioni avverse invalidanti, di lunga durata e potenzialmente permanenti, principalmente a carico del sistema muscoloscheletrico e del sistema nervoso». A tal proposito, qualora i pazienti dovessero presentare «dolore muscolare, debolezza muscolare, dolore articolare, gonfiore articolare, neuropatia periferica ed effetti a carico del sistema nervoso centrale», sono inviati a interrompere il trattamento e consultare il proprio medico per ulteriori consigli in merito. Tale sintomatologia infatti potrebbe essere riferita ai primi segni di reazione avversa grave quale tendinite e rottura del tendine. Per ulteriori informazioni in merito a questa segnalazione è possibile contattare il proprio farmacista di fiducia o consultare la nota informativa integrale al sito ufficiale dell’Agenzia italiana del farmaco, al link http://www.aifa.gov.it/content/nota-informativa-importante-su-medicinali-contenenti-fluorochinoloni-08042019.

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Studio conferma: «Consumo moderato di alcol non protegge da ictus»

«La pressione arteriosa e il rischio di ictus aumentano costantemente con l’aumentare dell’apporto di alcol. Alla luce di ciò, le precedenti evidenze secondo cui 1-2 bevande alcoliche al giorno potrebbero proteggere dall’ictus sono superate da nuove prove di uno studio genetico che coinvolge 160.000 adulti». È quanto afferma uno studio dal titolo “Moderate alcohol consumption does not protect against stroke, study shows”, pubblicato sull’autorevole rivista “The Lancet”.
Anche se le persone che avevano una o due bevande alcoliche al giorno erano state precedentemente osservate per avere un rischio leggermente inferiore di ictus e infarto rispetto ai non bevitori, non era noto se questo fosse dovuto al fatto che bere moderatamente era leggermente protettivo o se era perché i non bevitori avevano altri problemi di salute di base (ad esempio, essere ex bevitori che si erano fermati a causa di una malattia). Almeno per ictus, l’evidenza genetica ora smentisce l’affermazione che bere moderatamente è protettivo.
Il professor Zhengming Chen, co-autore del Dipartimento di Popolazione della Nuvola di Nuffield, Università di Oxford, afferma: «Non ci sono effetti protettivi nell’assunzione moderata di alcool nei confronti dell’ictus, mentre il consumo moderato di alcol aumenta le probabilità di avere un ictus. l’attacco era meno chiaro, quindi abbiamo intenzione di raccogliere più prove».
Il co-autore Professore Liming Li, dell’Università di Pechino, afferma: «L’ictus è una delle principali cause di morte e disabilità.Questo ampio studio collaborativo ha dimostrato che i tassi di ictus sono aumentati dall’alcol. Questo dovrebbe aiutare a informare le scelte personali e le strategie di salute pubblica».