L’ansia è una sensazione di preoccupazione, nervosismo o paura generata da un evento o una situazione. È normale che le persone si sentano ansiose in risposta allo stress. Tuttavia, in alcuni casi, l’ansia diventa un problema grave e persistente che è difficile da controllare e influenza la vita di tutti i giorni. Per questo motivo, con l’aiuto di un medico, molte persone trattano i disturbi d’ansia con psicoterapia, farmaci o entrambi. Esistono però vari rimedi complementari ed integrativi che aiutano coloro che ne soffrono a ridurre l’ansia o a farvi fronte. Alcuni però non si fondano su solide basi scientifiche e a volte possono creare danni all’organismo. A fare una panoramica – senza pretesa di esaustività – su cosa dice la scienza in merito è il National center for complementary and integrative health (Nih), ente governativo statunitense.
Con riferimento alle pratiche di mente e corpo, gli esperti del Nih dicono che «le tecniche di rilassamento possono ridurre l’ansia nelle persone con problemi medici cronici e coloro che hanno procedure mediche. Tuttavia, la terapia cognitivo-comportamentale (un tipo di psicoterapia) può essere più utile delle tecniche di rilassamento nel trattare almeno alcuni tipi di disturbi d’ansia». Inoltre, «sebbene alcuni studi suggeriscano che l’agopuntura possa ridurre l’ansia, la ricerca è troppo limitata per consentire di raggiungere conclusioni definitive». Stesso ragionamento vale per l’ipnosi, la quale, spiegano i ricercatori, «è stata studiata per l’ansia legata alle procedure mediche o dentistiche. Alcuni studi hanno avuto risultati promettenti, ma l’evidenza complessiva non è conclusiva». Per quanto concerne l’uso di massaggi, al fine di ridurre l’ansia, gli esperti spiegano che «in alcuni studi in persone con cancro o altre condizioni mediche, la terapia di massaggio ha contribuito a ridurre l’ansia; tuttavia, altri studi non hanno trovato un effetto benefico. Poche ricerche sono state fatte sul massaggio per i disturbi d’ansia e gli studi che sono stati fatti hanno avuto risultati contrastanti». Diversi studi hanno esaminato gli interventi che comprendono la meditazione basata sulla consapevolezza, arrivando alla conclusione che «non tutti questi studi – spiega il Nih – indicavano che la consapevolezza era utile per l’ansia. Ci sono alcune prove che la meditazione trascendentale può avere un effetto benefico sull’ansia. Non c’è stata abbastanza ricerca per sapere se la consapevolezza o altri tipi di meditazione sono utili per i disturbi d’ansia». Al contrario, «ci sono prove che l’ascolto della musica può ridurre l’ansia durante la malattia o le cure mediche». Le terapie di movimento meditativo (tai chi, qi gong o yoga) «potrebbero ridurre l’ansia», tuttavia anche in questo caso, evidenzia il Nih, «la ricerca è troppo limitata per consentire di raggiungere conclusioni definitive». Infine, evidenziano i ricercatori, «il Reiki e il tocco terapeutico non si sono dimostrati utili per l’ansia».
Con riferimento all’uso di prodotti naturali, al fine di ridurre l’ansia, il Nih americano spiega che «due studi, entrambi supportati dal Centro nazionale per la salute complementare e integrativa (NCCIH), suggeriscono che un estratto di camomilla potrebbe essere utile per gestire il disturbo d’ansia generalizzato, ma gli studi sono preliminari e le loro conclusioni non sono conclusive.
Kava può avere un effetto benefico sull’ansia. Tuttavia, l’uso di integratori di kava è stato collegato al rischio di gravi danni al fegato». Anche la melatonina «è stata studiata come possibile alternativa ai farmaci convenzionali per ridurre l’ansia per i pazienti che stanno per avere un intervento chirurgico, e i risultati sono stati promettenti». Infine, strano ma vero, «non ci sono prove sufficienti su passiflora o valeriana per l’ansia per consentire di raggiungere conclusioni». Stesso vale per aromaterapia e omeopatia, secondo cui «non hanno dimostrato di essere utile per l’ansia».
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Il servizio informativo per i pazienti del centro “L’Incontro” a Teano (CE).
Come è noto, il morbo di Parkinson è il più comune disturbo cronico del movimento neurodegenerativo. Esso colpisce circa l’1% della popolazione globale oltre i settanta anni. Al momento, non esiste una cura per questa malattia e i trattamenti disponibili si concentrano sull’affrontare i suoi sintomi ma non sulla sua progressione. Sebbene la maggior parte dei casi di Parkinson siano sporadici, le varianti ereditabili della malattia sono principalmente associate a mutazioni di un gene che codifica per l’enzima LRRK2. Nel 2004 un gruppo di ricerca internazionale, al quale hanno partecipato ricercatori dei Paesi Baschi, ha stabilito il legame tra una delle mutazioni in questo enzima e i pazienti con diagnosi di malattia.
Quindi l’enzima LRRK2, noto anche a livello internazionale con il nome “dardarina”, la parola basca che significa tremore, è diventato uno degli obiettivi terapeutici più interessanti per lo sviluppo di nuovi farmaci per combattere il Parkinson ereditario. La neurotossicità, o gli effetti patogeni nel suo complesso associati a LRRK2, è principalmente dovuta al fatto che le mutazioni patogene aumentano l’attività della chinasi di questo enzima, che ha indotto una razza internazionale a sviluppare inibitori. In questo momento esistono inibitori specifici e potenti dell’attività della chinasi di LRRK2. Eppure molti di loro causano effetti collaterali indesiderati o producono risultati clinici molto poco chiari.
La ricerca, condotta da Iban Ubarretxena, ricercatore Ikerbasque e direttore dell’Istituto Biofisika presso il Parco scientifico di UPV / EHU (Leioa-Erandio Area), insieme ad un gruppo di ricerca internazionale, ha rivelato che AdoCbl, una delle forme attive di vitamina B12, agisce come un inibitore dell’attività della chinasi di LRRK2 nelle cellule in coltura e nel tessuto cerebrale. Inoltre, previene in modo significativo la neurotossicità delle varianti di LRRK2 associate al Parkinson nelle cellule in coltura di roditori primari, nonché in vari modelli geneticamente modificati utilizzati per studiare questa malattia. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Cell Research.
Quindi, secondo lo studio, la vitamina B12 si è rivelata una nuova classe di modulatore dell’attività della chinasi di LRRK2, che, come ha sottolineato Iban Ubarretxena, «costituisce un enorme passo avanti perché è una vitamina neuroprotettiva in modelli animali e ha un meccanismo diverso da quello degli inibitori attualmente esistenti, quindi potrebbe essere usato come base per sviluppare nuove terapie per combattere il Parkinson ereditario associato a varianti patogene dell’enzima LRRK2».
Come è noto, gli antibiotici sono farmaci utilizzati per uccidere determinati microrganismi chiamati batteri, i quali, in determinate condizioni, diventano pericolosi per la salute dell’uomo. Alcuni di essi, con una proliferazione incontrollata, possono popolare l’organismo e contribuire allo sviluppo di una sintomatologia, al punto da richiedere una somministrazione. Nonostante questa classe di farmaci rivesta un’importanza cruciale per la sopravvivenza del genere umano, spesso se ne fa un uso sconsiderato e del tutto fuori controllo. Tale uso, oltre a provocare una serie di effetti collaterali ed indesiderati, porta nel lungo periodo allo sviluppo della cosiddetta resistenza antibatterica. In sostanza, un processo mediante il quale un batterio, riconoscendo l’antibiotico, sviluppa un meccanismo difensivo tale da disattivarne gli effetti benefici.
L’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), ovvero l’autorità governativa italiana che controlla le attività regolatorie dei farmaci in Italia, nel febbraio del 2019 ha predisposto il rapporto “L’uso degli antibiotici in Italia 2017”, con l’obiettivo di fornire dati di consumo e di spesa a livello nazionale e regionale. Ebbene, in tale documento, l’Aifa ha evidenziato che l’Italia «è tra i Paesi europei – si legge – con i maggiori consumi (sebbene da alcuni anni il trend sia decrescente) e con i tassi più elevati di resistenza e multi-resistenza (resistenza di un batterio ad almeno quattro antibiotici di classi diverse)». Ne consegue che, proprio al fine di ridurre la quantità di antibiotici effettivamente attivi contro i principali tipi di batteri, è necessario avere cautela prima e durante la loro somministrazione. È sempre bene, prima di decidere in autonomia un eventuale inizio o sospensione della terapia, consultare il proprio medico curante o il farmacista di fiducia. È utile ricordare che il medico curante, a tal proposito, è l’unico professionista abilitato alla prescrizione dei farmaci antibiotici. Mentre, al farmacista, compete l’erogazione del farmaco e l’eventuale supporto informativo per la terapia da seguire. In ogni caso, il farmacista in Italia non è tenuto all’erogazione di un farmaco antibiotico senza che il paziente abbia una prescrizione valida.
Uno studio, svolto in laboratorio su topi e non su esseri umani, ha scoperto che i figli nati da topi che si allenavano durante la gravidanza avevano meno probabilità di aumentare di peso dopo aver consumato una dieta ricca di grassi più avanti nella vita. Sebbene studi precedenti abbiano dimostrato che l’esercizio da parte delle femmine obese avvantaggia la loro prole, questa è la prima ricerca per dimostrare che lo stesso è vero quando le femmine non obese si allenano. I ricercatori hanno esaminato la progenie di topi che eseguivano 60 minuti di esercizio a intensità moderata ogni mattina durante la gravidanza. I figli nati da topi che non praticavano erano usati come gruppo di controllo.
Allo svezzamento, la progenie dei topi che praticavano mostrava livelli aumentati di proteine associate al tessuto adiposo bruno rispetto al gruppo di controllo. Questo tipo di tessuto converte il grasso e lo zucchero in calore. I ricercatori hanno inoltre osservato temperature corporee più elevate nel gruppo esercizio, indicando che il loro tessuto adiposo bruno era più efficiente – o aveva una funzione termogenica più elevata – che ha dimostrato di prevenire l’obesità e problemi metabolici. Dopo lo svezzamento, la prole ha seguito una dieta ricca di grassi per otto settimane. I topi del gruppo esercizio non solo hanno guadagnato meno peso sulla dieta ad alto contenuto di grassi ma hanno anche mostrato un minor numero di sintomi di malattie metaboliche come il diabete e la malattia del fegato grasso.
«Sulla base delle nostre scoperte, raccomandiamo che le donne – indipendentemente dal fatto che siano obese o diabetiche – si esercitano regolarmente durante la gravidanza perché ne beneficiano la salute metabolica», ha spiegato Jun Seok Son, uno studente di dottorato presso la Washington State University che condotto lo studio.
«I medicinali a base di acidi grassi omega-3 non sono efficaci nel prevenire la ricorrenza di problemi cardiaci dopo un infarto». A darne notizia, in una nota diramata il 29 marzo 2019, è l’Agenzia europea dei medicinali (Ema), che ha portato a termine, dopo circa un’anno dall’avvio, il processo di rivalutazione effettuato dal Comitato per i medicinali per uso umano (Chmp), partendo da una richiesta dell’agenzia svedese dei medicinali. L’Ema ha quindi diramato una serie di accorgimenti da seguire per i pazienti eventualmente interessati a tale terapia. In particolare, l’Agenzia spiega che «se state usando medicinali a base di acido grasso omega-3 per ridurre il rischio di problemi cardiaci, il medico vi consiglierà la migliore opzione di trattamento alternative». Inoltre, «i medicinali a base di acidi grassi omega-3 sono ancora autorizzati per ridurre i livelli di alcuni tipi di grassi nel sangue chiamati trigliceridi». Per questo motivo, spiega l’Ema, «se state usando questi medicinali per questo scopo, dovete continuare il trattamento». Infine, «non ci sono nuovi problemi di sicurezza associati all’uso di medicinali omega-3». Qualora si abbiano dubbi sui medicinali ad acidi grassi omega-3, è possibile contattare il medico di famiglia o il farmacista di fiducia.