I farmaci contenenti carbimazolo o tiamazolo sono comunemente usati nel trattamento dell’ipertiroidisimo, nella preparazione all’intervento di tiroidectomia subtotale, alla terapia con iodio-radioattivo, oltre che quando la tiroidectomia è controindicata o non consigliabile. In Italia gli unici farmaci in commercio sono quelli a base di tiamazolo (metimazolo), commercializzato con il nome di Tapazole®.
L’azienda Teofarma S.r.l., produttrice del farmaco, in accordo con l’Agenzia europea dei medicinali e l’Agenzia italiana del farmaco, evidenzia in una nota del possibile rischio di pancreatite acuta «in seguito all’assunzione di carbimazolo/tiamazolo». Per questo motivo, si legge, «nel caso in cui un paziente presenti pancreatite acuta, il trattamento con carbimazolo/tiamazolo deve essere interrotto immediatamente». Inoltre, prosegue la nota, «dato che la riesposizione potrebbe determinare il ripresentarsi della pancreatite acuta, con un più rapido tempo di insorgenza, questo medicinale non deve essere somministrato a pazienti con storia di pancreatite acuta in seguito all’assunzione di carbimazolo/tiamazolo».
Nella stessa nota le Agenzie sottolineano inoltre la necessità di rafforzare le avvertenze in merito alla contraccezione. Ciò perché «una nuova revisione dei risultati di studi epidemiologici e dei casi spontanei rafforza l’evidenza che il carbimazolo/tiamazolo sia sospettato causare malformazioni congenite quando somministrato durante la gravidanza, in particolare nel primo trimestre e ad alte dosi». Per questo motivo, «le donne in età fertile devono utilizzare misure contraccettive efficaci durante il trattamento con carbimazolo/tiamazolo». «L’ipertiroidismo nelle donne in gravidanza – specifica la nota – deve essere trattato adeguatamente per prevenire gravi complicazioni nella madre ed nel feto». Non solo. «Il carbimazolo/tiamazolo deve essere somministrato durante la gravidanza soltanto a seguito di una rigorosa valutazione del rapporto beneficio/rischio per ogni singolo caso e solo alla dose efficace più bassa senza somministrazione supplementare di ormoni tiroidei». Infine, «se il carbimazolo/tiamazolo viene utilizzato durante la gravidanza, si raccomanda un monitoraggio attento della madre, del feto e del neonato».
Per ulteriori dettagli in merito a questa informativa è possibile consultare la nota integrale, pubblicata sul sito www.aifa.gov.it, oppure rivolgersi al proprio medico curante o farmacista di fiducia.
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Il servizio informativo per i pazienti del centro “L’Incontro” a Teano (CE).
Nuove evidenze giungono in tema di lotta al colesterolo. In particolare, due studi internazionali guidato dal Centro Cardiologico Monzino e dall’Università degli Studi di Milano, hanno confermato il ruolo che una proteina, denominata Pcsk9, ha anche nello sviluppo di infarto, ictus e nella calcificazione della valvola aortica, oltre che nella già nota azione sul colesterolo.
Tale proteina infatti svolge un’azione chiave nell’aggregazione delle piastrine, a causa delle quali si sviluppano i processi trombotici che poi scatenano infarti e ictus, oltre che nella calcificazione della valvola aortica. In tal senso, le conferme arrivano da due studi del Centro Cardiologico Monzino, pubblicati sulla rivista scientifica “Journal of the American College of Cardiology”.
Intervenendo sulla proteina Pcsk9, quindi, con opportuni farmaci denominati “anticorpi monoclonali” in grado di disattivarla, è stato possibile contrastare l’ipercolesterolemia riducendola fino al 60-70%, con particolare riferimento al colesterolo LDL, cosiddetto “cattivo”. Ciò nelle forme più resistenti in cui i tradizionali farmaci usati non hanno avuto una riduzione consistente di tali valori.
«Questi dati – spiega Marina Camera, principale autrice dello studio – ci hanno spinto a ipotizzare che i benefici in termini di eventi cardiovascolari prevenuti bloccando Pcsk9 potessero dipendere non soltanto dalla riduzione di colesterolo ottenuta. Abbiamo pensato che potesse esserci di più, che l’azione di questa proteina potesse estendersi oltre il metabolismo dei lipidi, e così abbiamo iniziato a cercare».
Negli ultimi anni, vista anche la vastità del problema del fumo, è emerso un sempre maggiore interesse verso alcune terapie complementari a quelle farmacologiche. Alcune di esse risultano essere efficaci, tuttavia, non vi sono sufficienti prove scientifiche che ne testimonino l’efficacia.
A fare il punto di ciò che funziona e cosa no, è il National center for complementary and integrative health (Nccih), agenzia governativa statunitense che si occupa di medicina complementare, secondo il quale «vi sono prove che suggeriscono come alcune pratiche di meditazione mente-corpo, lo yoga e altre tecniche di rilassamento, come l’immaginazione guidata o il rilassamento muscolare, possano aiutare le persone a smettere di fumare». «È inoltre dimostrato – spiega l’organismo – che l’agopuntura è un’altra pratica utile contro il vizio del fumo ma solo per un breve periodo, non esistono infatti prove sulla sua efficacia a lungo termine».
Sono invece risultati conflittuali gli studi sull’ipnosi come metodo complementare anti-fumo. A queste terapie, secondo il Nccih, si aggiunge anche l’assunzione di alcuni integratori, in particolare la S-adenosil metionina (Sam), conosciuta anche come ademetionina, la lobelina, alcaloide derivante dalla pianta Lobelia inflata, e l’iperico, pianta officinale con proprietà fitoterapeutiche, in particolare antidepressive e antivirali.
Infine, esiste un altro prodotto naturale usato in Europa e anche in Italia, la citisina, che sembra essere molto valido nella disassuefazione dal fumo, ma che non è ancora stata approvata dalla Food and drug administration (Fda) americana. A tal proposito, nello studio sulle terapie complementari per combattere il vizio del fumo, si inserisce proprio l’intervento del National center for complementary and integrative health, il quale sta focalizzando l’attenzione sulla citisina e vuole portare prove cliniche e non per presentare richiesta d’indagine da parte della Fda.
Al momento, secondo gli esperti del Nccih, «le pratiche corpo-mente come la meditazione e lo yoga, se eseguite correttamente, sono da considerarsi salutari e non comportano controindicazioni in pazienti sani». Il centro, tuttavia, suggerisce di fare attenzione ai metodi alternativi anche se “naturali” come gli integratori sopracitati perché «naturale non significa sicuro. Alcuni integratori possono avere effetti collaterali e altri possono interagire con medicinali o altri integratori». In particolare, si porta come esempio l’iperico, che ha già avuto numerose interazioni con alcuni medicinali, interazioni che in alcuni casi possono avere conseguenze serie.
Il 1 gennaio 2019 è entrato in vigore, per milioni di attività in Italia, l’obbligo di emissione di fatturazione elettronica tra aziende e tra privati. Le farmacie, per la parte relativa all’emissione dei documenti in formato elettronico nei confronti dei pazienti, sono state esentate per tutto il 2019, in quanto i dati fiscali relativi alle transazioni sono già trasmessi al ministero dell’Economia e delle Finanze attraverso il “Sistema Tessera Sanitara”.
Cosa accade invece nel caso dei medici convenzionati Asl, ovvero per i medici di famiglia? A fornire delucidazioni in merito è stata l’Agenzia delle Entrate che, in risposta alla richiesta di chiarimento, ha sottolineato come «le disposizioni normative che hanno previsto, dal 1° gennaio 2019, l’entrata in vigore dell’obbligo generalizzato della fattura elettronica non hanno modificato le previsioni della disciplina IVA in materia di certificazione delle operazioni». Pertanto, «se l’obbligo di emettere una fattura non sussisteva prima, lo stesso non può ritenersi sussistente ora».
Secondo quanto specificato da Federfarma in una circolare, «per il periodo d’imposta 2019, i soggetti tenuti all’invio dei dati per l’elaborazione della dichiarazione dei redditi precompilata non possono emettere fatture elettroniche con riferimento alle fatture i cui dati devono essere trasmessi al Sistema TS (cfr articolo 10-bis, DL 119/2018)». Pertanto, conclude, «i medici di base non sono tenuti a emettere fatture elettroniche né per le prestazioni eseguite nei confronti dell’ASL né, ma solo limitatamente all’anno 2019, per quelle nei confronti dei pazienti e comunicate al Sistema TS».
Si terrà martedì 26 Febbraio 2019 alle ore 13:00 presso la Sala Stampa della Camera dei Deputati in Roma (Palazzo Montecitorio, Via della Missione 4, la conferenza stampa dell’alleanza italiana denominata “Stop 5G”, «per rinnovare la richiesta di una moratoria per la tecnologia 5G, il wireless di quinta generazione privo di studi preliminari sul rischio per la salute pubblica, fortemente criticato da ampia parte della comunità medico scientifica internazionale, non ultimo dal Comitato Scientifico sui rischi sanitari ambientali ed emergenti (SCHEER) della Comunità Europea che ne evidenzia i pericoli per ecosistema e popolazione civile». È quanto si legge in una nota divulgata dalla testata “Ilmamilio.it”.
«Con l’occasione – prosegue la nota – verrà presentato alla stampa anche il programma e le finalità del 1° meeting nazionale Stop 5G di Sabato 2 Marzo 2019 a Vicovaro (Roma) dal titolo ‘Emergenza politica di precauzione’ a cui, finora, col sostegno dei cittadini hanno aderito parlamentari, consiglieri regionali, sindaci, assessori, partiti e movimenti politici, associazioni base e di malati, ecologisti e ambientalisti».
Fiorella Belpoggi, direttrice dell’area ricerca del Centro per la ricerca sul cancro Cesare Maltoni dell’Istituto Ramazzini, dichiara che «l’introduzione senza cautela del 5G, nonostante gli allarmi, sembra non aver insegnato nulla ai governi rispetto alle lezioni del passato». Per questo motivo, «i governi – sottolinea la scienziata – dovrebbero prendere tempo in attesa di valutazioni accurate sulla pericolosità di questa tecnologia innovativa con studi sperimentali appropriati».