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Codice europeo contro il cancro, 12 modi per ridurne il rischio

Tra i modi per ridurre il rischio di cancro, ricordati dall’Agenzia Internazionale di Ricerca sul Cancro, facente parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ricordiamo quello di non fumare, di non consumare nessuna forma di tabacco. Rendere libera la casa dal fumo, compreso il posto di lavoro. Attivarsi per mantenere un peso sano. Svolgere attività fisica ogni giorno, limitando il tempo da seduti.
Con riferimento all’alimentazione, l’Agenzia ricorda di seguire una dieta sana a base di molti e vari cereali integrali, legumi, frutta e verdura. Limitare cibi ad elevato contenuto calorico (alimenti ricchi di grassi), evitando bevande zuccherate. Evitare quindi carni conservate (insaccati), limitare il consumo di carni rosse ed alimenti ad elevato contenuto di sale.
Con riferimento alle bevande alcoliche di qualsiasi tipo, limitarne il consumo, meglio evitare di berli.
Evitare l’eccessiva esposizione al sole, soprattutto per i bambini, usando protezioni solari ed evitare lettini abbronzanti.
Osservare scrupolosamente tutte le istruzioni inmateria di salute e sicurezza sul posto di lavoro per proteggerti dall’esposizione ad agenti cancerogeni noti.
Accertarsi di non essere esposti a concentrazioni elevate di radon presenti in casa. In caso di livelli alti, fare in modo di ridurne i livelli.
Con riferimento alle donne, ricordare che l’allattamento al seno riduce il rischio di cancro per la madre. Se possibile, allatta il bambino al seno. Inoltre, ricordare che la terapia ormonale sostitutiva (TOS) aumenta il rischio di alcuni tipi di cancro: limitare quindi l’uso della TOS.
Assicurarsi che i figli partecipino ai programmi di vaccinazione contro l’epatite B (per i neonati) e il papillomavirus umano (HPV) (per le ragazze.
Infine, partecipare a programmi organizzati di screening per il cancro dell’intestino (uomini e donne), del seno (donne), del collo dell’utero (donne).

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Tumore dell’ovaio: in una proteina la speranza contro la forma più aggressiva

Una ricerca dell’Istituto Europeo di Oncologia, sostenuta dall’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro, ha messo a fuoco di una proteina chiave nel controllo del tumore ovarico, anche nella sua forma più aggressiva, refrattaria alle terapie e purtroppo più diffusa, il tipo “sieroso di alto grado”.
I risultati sono pubblicati sulla rivista scientifica Stem Cell Reports.
La proteina CD73 è un fattore determinante delle cellule staminali cancerose (CSC), spiegano i ricercatori, guidati da Ugo Cavallaro, direttore dell’Unità di Ricerca in Ginecologia Oncologica.
Le cellule staminali cancerose CSC sono una piccola popolazione di cellule tumorali che non vengono colpite dai trattamenti chemio e radioterapici: anche nel caso di un’apparente buona risposta iniziale alla terapia, possono far ripartire il tumore, causando la cosiddetta ricaduta o recidiva. Sono considerate una sorta di benzina che alimenta il tumore. Nel caso del cancro ovarico la recidiva rappresenta il problema clinico più serio, in quanto molto spesso a questo punto la malattia è diventata resistente ai farmaci ed è quindi molto più difficile da trattare. Di conseguenza, capire meglio come agiscono le CSC e trovare il modo di inattivarle potrebbe fornire nuove possibilità di cura di questo tumore, soprattutto per prevenire le recidive.
Grazie alla localizzazione sulla superficie delle CSC,  la proteina CD73 può essere un bersaglio terapeutico delle terapie molecolari contro il cancro dell’ovaio e potrebbe aprire la strada a nuove strategie terapeutiche contro le cellule staminali del cancro. Il dato più rilevante è stato ottenuto con esperimenti con un anticorpo che blocca il funzionamento di CD73.
I risultati sono stati ottenuti grazie al contributo fondamentale delle pazienti, attraverso il loro consenso a donare i tessuti per la ricerca. I ricercatori dell’IEO hanno messo a punto una serie di metodi per identificare e studiare le CSC ottenute da campioni chirurgici di tumore ovarico. Questo ha reso possibile effettuare un’analisi delle CSC presenti nei tessuti malati e confrontare i risultati con l’analisi delle staminali dei tessuti sani.
Ma c’è un altro aspetto che rende CD73 ancora più promettente per le terapie anticancro. “Molti tumori, incluso quello ovarico – spiega Cavallaro – sarebbero in teoria attaccabili dal sistema immunitario dell’organismo. Il problema è che spesso il tumore sviluppa dei meccanismi di difesa che gli consentono di eludere l’attacco dell’immunità. L’immunoterapia, che sta ottenendo risultati insperati nella cura di alcune neoplasie, è nata proprio con l’obiettivo di inattivare i meccanismi di difesa dei tumori. Ebbene, CD73 rappresenta appunto uno di questi meccanismi, tanto è vero che al momento le aziende impegnate nello sviluppo di farmaci contro CD73 sono concentrate soprattutto sugli aspetti legati all’immunoterapia. In base ai nostri dati, quindi, usare CD73 come bersaglio terapeutico potrebbe bloccare le CSC e contemporaneamente riattivare la risposta immunitaria antitumorale. Al momento, tuttavia, si tratta solo di ipotesi che rimangono da verificare in modelli preclinici, nella speranza che si arrivi poi ad una sperimentazione clinica”.

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L’importanza dei farmacisti nel supportare i pazienti nella gestione del diabete

Un recente studio, pubblicato sulla rivista Frontiers in Pharmacology, ha sottolineato il ruolo decisivo che rivestono i farmacisti nell’aiutare i pazienti affetti da diabete nel seguire in maniera corretta il proprio trattamento farmacologico. Lo studio evidenzia in maniera chiara come sino ad ora studi simili si siano soffermati su quello che è l’influsso proficuo che la categoria dei farmacisti esercita sui pazienti interessati da diabete, senza però approfondire circa un aspetto determinante come quello relativo al concreto supporto che essi forniscono durante la fase di gestione delle cure da seguire. Lo studio si chiama “Pharmacist-Led Self-management Interventions to Improve Diabetes Outcomes” ed è stato portato avanti dai ricercatori dell’università di Groningen e da quelli del Netherlands Institute for Health Services Research, i quali hanno rielaborato i dati relativi agli studi simili che sono stati effettuati sino ad adesso focalizzando però la propria attenzione su quello che viene definito il “self-management”, cioè la capacità di auto gestire la patologia da parte del paziente che ne è affetto. L’attenzione dei ricercatori si è concentrata su 24 studi in particolar modo, i quali hanno interessato 3.610 pazienti in totale. Il contributo dei farmacisti ha riguardato per buona parte indicazioni fornite per quel che riguarda potenziali problematiche legate al diabete come pure pareri farmacologici, nonché suggerimenti circa lo stile di vita più indicato e corretto. I ricercatori hanno così focalizzato la propria attenzione su quelli che sono stati i risultati relativi alle terapie che i pazienti hanno seguito, registrando gli effetti positivi di cui si è avvantaggiato chi ha usufruito del supporto di un farmacista. I dati rilevati vanno quindi ad evidenziare il concreto contributo che questi può offrire nell’aiutare a seguire correttamente la terapia, in particolar modo per quanto concerne il livello di emoglobina glicata. Le farmacie italiane in particolar modo, si sono inoltre attivate non soltanto per fornire un valore aggiunto a quanti sono interessati da diabete e seguono il relativo trattamento farmacologico, ma anche per rivestire allo stesso tempo un ruolo determinante in fase di prevenzione. Ad esempio in occasione della campagna DiaDay del Novembre 2017, una iniziativa per lo screening nazionale del diabete, sono stati scoperti oltre 4.000 casi di diabete non diagnosticato.

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Infezioni sessualmente trasmesse, al via campagna di prevenzione del ministero della Salute

Con lo scopo di informare e sensibilizzare la popolazione, con particolare riferimento ai giovani, sulle malattie sessualmente trasmesse, il ministero della Salute ha dato il via ad una campagna di comunicazione e sensibilizzazione con particolare riferimento a sintomi e sindromi delle malattie trasmesse attraverso l’attività sessuale.
Le Infezioni Sessualmente Trasmesse (IST), comprendono una serie di sindromi cliniche causate da batteri, virus, funghi ed altri patogeni, che colpiscono principalmente i giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni, in quanto particolarmente esposti allo sviluppo di queste patologie.
La campagna è stata realizzata grazie ad un accordo con la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO) e, grazie ad un accordo con Federfarma, che rappresenta circa 17.500 farmacie italiane, saranno distribuiti e diffusi i materiali informativi prodotti per informare meglio l’audience di riferimento.
«L’obiettivo della campagna – spiega il ministero – è quello di informare la popolazione su quali siano le Infezioni Sessualmente Trasmesse, la loro modalità di contagio, i sintomi e le misure di prevenzione che si devono adottare.» La popolazione quindi potrà trovare il materiale informativo presso gli studi medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta e le farmacie private territoriali. La distribuzione del materiale informativo sarà seguita da uno spot televisivo e dalla mesas online di una App utile per informare ed orientare i giovani sulla tematica delle Infezioni Sessualmente Trasmesse.

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Zinbryta (daclizumab beta), sospesa l’Autorizzazione all’Immissione in Commercio nell’Unione Europea

In una nota del 12 marzo 2018, l’Agenzia Italiana del Farmaco, in accordo con le autorità regolatorie europee, informa di aver ritirato dal mercato, con effetto immediato, il farmaco Zinbryta.
Il farmaco Zinbryta è Zinbryta è un anticorpo monoclonale IgG1 umanizzato indicato per il trattamento di pazienti adulti affetti da sclerosi multipla, nelle forme recidivanti (relapsing multiple sclerosis, RMS) che hanno avuto una risposta inadeguata ad almeno due terapie modificanti la malattia (DMT) e per i quali è controindicato, o comunque non idoneo, il trattamento con qualsiasi altra DMT.
Nella nota diffusa l’AIFA spiega di aver ritirato con effetto immediato il farmaco Zinbryta a causa dei casi di encefalite immuno-mediata e di meningoencefalite che si sono verificati in pazienti trattati, pertanto nessun nuovo paziente deve iniziare il trattamento con Zinbryta.
L’Aifa ha fatto sapere che i pazienti in trattamento saranno contattati dai medici e con loro verranno discusse eventuali opzioni terapeutiche alternative. Inoltre, i pazienti devono essere informati del fatto che pur interrompendo il trattamento, possono avere delle reazioni avverse per sei mesi dalla data di interruzione dello stesso e, in tal caso, contattare immediatamente il proprio medico qualora compaiano sintomi tra cui febbre prolungata, cefalea grave, nausea o vomito.
Oltre ai sintomi sopra descritti potrebbero verificarsi inoltre altri disturbi tra cui discrasie ematiche, tiroidite o glomerulonefrite.