Molte donne con cancro seno in stadio precoce che ricevono la chemioterapia secondo gli standard attuali, potrebbero non averne bisogno. E’ quanto confermato da uno studio internazionale che potrebbe avere ripercussioni sull’intero trattamento medico.
E’ quanto riportato dal giornale statunitense New York Times, che cita i risultati dello studio “Adjuvant Chemotherapy Guided by a 21-Gene Expression Assay in Breast Cancer” https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa1804710, pubblicato sulla rivista scientifica “The New England Journal of Medicine”.
Secondo il Dr. Mayer, del Vanderbilt University Medical Center, tra gli autori dello studio, grazie ai risultati di questa ricerca, «possiamo risparmiare migliaia e migliaia di donne dal prendere trattamenti tossici di cui non beneficerebbero». L’autore aggiunge inoltre che lo studio «può cambiare gli standard delle cure».
Lo studio ha scoperto che grazie a dei test sui campioni di tumore c’è la possibilità di identificare le donne che con sicurezza possono saltare la chemioterapia e somministrare solo un farmaco che inibisca l’azione degli ormoni estrogeni o fermi il corpo dal produrli. Il farmaco che agisce sul blocco degli ormoni, tamoxifene e correlati, sono chiamati “terapia endocrina” e rappresentano parte essenziale del trattamento per gran parte delle donne perché abbassa il rischio di recidive, nuovi tumori al seno e morte.
Gli studiosi tuttavia hanno ritenuto evidenziare con una nota precauzionale, che i dati hanno dimostrato che alcune donne sui 50 e più giovani devono fare la chemioterapia anche se i test genetici dicono il contrario. Ancora non è chiaro, ma in questi casi è necessario un consulto specialistico e personalizzato.
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Il servizio informativo per i pazienti del centro “L’Incontro” a Teano (CE).
Soltanto chi ha – o ha avuto – un amico a quattro zampe, può capire quanto sia forte il legame che si instaura tra essere umano ed animale. Spesso infatti viene considerato come il “miglior amico dell’uomo”.
Come ogni essere umano però, il cane ha bisogno di cure particolari, soprattutto nel periodo estivo, dove le alte temperature potrebbero portarlo a soffrire e, nei casi più estremi, condurlo ad un vero e proprio colpo di calore.
Sebbene i cani non sudano attraverso la pelle, bensì “dalla lingua”, i nostri amici a quattro zampe possono essere vittime di colpo di calore che si manifesta con comportamenti strani, respiro affannoso, spossatezza ed evidente stato confusionale. In questo caso la soluzione è portarlo subito dal veterinario, tuttavia, è bene prevenire l’insorgenza del colpo di calore con dei piccoli accorgimenti.
Proprio per questo Altroconsumo ha pubblicato una serie di consigli utili da mettere in pratica per favorire la salute ed il benessere del cane.
Si parte con la profilassi, ovvero la prevenzione dall’attacco di zanzare, pulci e zecche, principali nemici del cane. Utilizzare un prodotto repellente, sulla base di uno schema suggerito dal veterinario, protegge il cane dalla filaria, grave patologia che colpisce i cani, di qualsiasi razza, genere ed età.
Successivamente, così come per gli esseri umani, il consiglio è di bere molta acqua. Rendere quindi sempre disponibile, anche in più punti, acqua fresca, non esposta al sole, cambiandola di tanto in tanto. Quando si esce sarebbe utile portare con se dell’acqua ed una ciotola.
Se si va al mare, appena dopo il bagno, sciacquarlo con acqua dolce. L’acqua del mare infatti è particolarmente aggressiva per la pelle e per il pelo del cane, soprattutto se si asciuga al sole. Se il cane gioca con l’acqua dolce, o se vogliamo rinfrescarlo, evitare di far bagnare testa ed orecchie, che sono molto sensibili.
Per le passeggiate è consigliabile evitare percorsi con asfalto a causa delle alte temperature che potrebbero far male ai polpastrelli, preferendo sentieri, parchi e giardini, evitando di uscire nelle ore più calde della giornata.
Mai lasciare in auto il cane, seppur con i finestrini aperti. Questa pratica oltre ad essere illegale e perseguibile per maltrattamento, espone il cane ad altissime temperature, anche in giornate che apparentemente potrebbero sembrare fresche. Se si dovesse notare un cane chiuso in auto, chiamare immediatamente il 112.
Infine, attenzione alla tosatura. Se a primo avviso potrebbe sembrare utile tosare il cane, potrebbe essere dannoso perché lo priva di uno strato di protezione esponendolo al rischio di scottature e di eritemi solari. Per i cani a pelo lungo può essere utile accorciare il manto per evitare un ambiente favorevole a parassiti e sporco.
Offrire supporto prima, durante e dopo il parto per prevenire e curare l’insorgenza o i sintomi della sindrome depressiva post partum. E’ questo in sintesi l’obiettivo del progetto pubblicato dalla Direzione Generale per la Tutale della Salute e dal Coordinamento del Sistema Sanitario Regionale della Regione Campania.
Il progetto ha coinvolto diverse unità operative, tra cui quelle appartenenti all’Asl Salerno, all’Asl Napoli 1, all’Asl Avellino e l’U.O.C. Ginecologia ed Ostetricia P. O. A. Rizzoli Lacco Ameno di Ischia.
Come noto, la sindrome depressiva post parto (DPP) è un problema che se non affrontato può comportare delle ripercussioni sul comportamento sociale delle donne che ne soffrono, ma anche sul partner e sull’interazione madre-bambino.
Secondo alcuni studi anche la salute del bambino, in età adolescente, può comportare diverse manifestazioni psicopatologiche, compresa l’insorgenza di problemi comportamentali e disturbi dell’apprendimento.
Per questi motivi la Regione Campania ha previsto un percorso assistenziale per la donna in gravidanza che abbia l’obiettivo di prevenire, individuando precocemente i sintomi, e provvedere a soluzioni che portino alla eventuale cura della problematica.
Quattro sono gli obiettivi specifici del progetto, tra cui, la diffusione di un opuscolo informativo che guidi le donne in gravidanza al riconoscere primi i sintomi, l’individuazione precoce della popolazione femminile a rischio attraverso degli screening standardizzati e l’offerta di colloqui psicologici rivolti sia alla donna che alla coppia, l’implementazione di fattori protettivi del benessere psichico per le donne potenzialmente vulnerabili mediante azioni di sostegno ed infine una valutazione dell’efficacia del trattamento una volta inquadrata e trattata la sintomatologia depressiva, sia sulla mamma che sul bambino, fino al dodicesimo mese di vita.
Nel mese di maggio 2018 si è svolto presso l’Istituto Superiore di Sanità l’Alcohol Prevention Day (Apd), giornata nell’ambito del mese di prevenzione alcologica.
L’Alcohol Prevention Day è stata «l’occasione per discutere sulle tematiche alcol-correlate e sulle problematiche emergenti connesse al fenomeno dell’uso dannoso e rischioso di bevande alcoliche, al fine di favorire l’adozione di politiche e strategie sull’alcol eque, efficaci ed efficienti e di politiche di prevenzione e di controllo, di tutela della salute, di sicurezza, e soprattutto di protezione dei più deboli».
A distanza di qualche giorno sempre i ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità hanno reso noto l’avvenuta pubblicazione di uno studio sulla rivista scientifica “The Lancet”.
Lo studio in oggetto ha avuto l’obiettivo di ragionare sulle cosiddette “soglie di rischio” del consumo di alcol, limiti al di sopra dei quali l’alcol è considerato nocivo per la salute.
Lo studio ha avuto come obiettivo l’individuazione una soglia di consumo di alcol, su base settimanale, associata al minor rischio di mortalità per cause dovute ad eventi cardiovascolari, oltre che di stabilire quali fossero le conseguenze sulla salute di 100 grammi di alcol a settimana.
E’ da chiarire che il valore di 100 grammi non si riferisce al volume in litri dell’alcolico bevuto, ma alla quantità di alcol in grammi contenuto in esso.
A titolo di esempio, un vino con gradazione alcolica del 12,5% ha 10 grammi di alcol per ogni 100 ml di liquido. Ne consegue che 100 grammi di alcol equivalgono all’incirca ad un litro di vino.
Questi valori percentuali variano a seconda dell’alcolico bevuto: alcolici a più alta gradazione contengono una quantità maggiore di alcol per litro di liquido.
In questo studio è stata evidenziata una stretta correlazione tra quantità di alcol assunto e mortalità, rendendo evidente che il rischio di mortalità si colloca ben al di sotto dei limiti attuali definiti dalle linee guida internazionali.
Nello studio è stato inoltre visto che il consumo di 100 grammi di alcol a settimana (pari ad 1 litro di vino con una gradazione al 12,5%), comporta, rispetto al non consumo, un aumento significativo del rischio di ictus, di malattia coronarica, di infarto acuto del miocardio, di scompenso cardiaco, di ipertensione arteriosa con esito fatale e di aneurisma.
I ricercatori hanno constatato che il consumo di alcol porta ad una riduzione dell’attesa di vita, a partire dai 40 anni, di 6 mesi in meno per chi consuma 100-200 grammi di alcol a settimana (circa 1-2 litri di vino), 1-2 anni in meno per chi consuma 200-350 grammi di alcol a settimana (circa 2-3,5 litri di vino) e, per chi supera i 350 grammi di alcol a settimana (più di 3,5 litri di vino), la riduzione dell’attesa di vita si attesta a 4-5 anni in meno rispetto a chi non consuma alcol.
Un altro dato significativo è quello che non esiste un limite minimo al di sotto del quale si annullano gli effetti dannosi sull’organismo dell’alcol. Proprio per questo i ricercatori hanno suggerito la necessità di rivedere i limiti massimi di consumo di alcol raccomandati dalle linee guida.
Le linee guida dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) prevedono che la ricerca di sangue occulto nelle feci, al fine di poter prevenire per tempo l’insorgenza del tumore del colon retto, debba essere effettuata dall’inizio dei 50 anni, con frequenza dei biennale, in accordo con le linee guida internazionali.
Nel mese di maggio 2018 l’American Cancer Society, una prominente organizzazione statunitense, ha raccomandato per la prima volta di portare l’età di riferimento dai 50, prevista dalle linee guida, ai 45 anni.
Le nuove linee guida estendono quindi la ricerca di sangue occulto nelle feci anche a coloro di età compresa tra i 45 e i 49 anni, a causa del fatto che il cancro colorettale è sempre più frequente anche nei giovani adulti.
Le linee guida, basate sull’evidenza, sono state pubblicate sulla rivista scientifica “A Cancer Journal for Clincians” e, sia chiaro, non intendono richiamare tutti a fare una colonoscopia, pratica di riferimento per lo screening del cancro al colon, bensì aumentare l’attenzione sulla problematica e far sì che un maggior numero di persone facciano lo screening.
Nel 2014, infatti, il 43% dei nuovi casi di cancro colorettale avuti negli adulti minori di 50 anni, si è verificata all’età tra 45 e 49 anni. Non solo. Molti report hanno dimostrato che vi è un aumento del cancro colorettale anche in giovani adulti tra i 20 e 30 anni. Probabilmente a causa del cambio degli stili di vita.