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Aderenza terapeutica, cosa è e come impatta sulla propria salute

La Giornata nazionale per l’Aderenza alla Terapia ricorre il 12 aprile di ogni anno. Secondo l’Aifa «per aderenza alla terapia si intende il conformarsi del paziente alle raccomandazioni del medico riguardo ai tempi, alle dosi e alla frequenza nell’assunzione del farmaco per l’intero ciclo di terapia». Per via di dinamiche riconducibili a varie tematiche «la scarsa aderenza alle prescrizioni del medico è la principale causa di non efficacia delle terapie farmacologiche ed è associata a un aumento degli interventi di assistenza sanitaria, della morbilità e della mortalità, rappresentando un danno sia per i pazienti che per il sistema sanitario e per la società».

La stessa Aifa ricorda che «maggior aderenza significa infatti minor rischio di ospedalizzazione, minori complicanze associate alla malattia, maggiore sicurezza ed efficacia dei trattamenti e riduzione dei costi per le terapie. Com’è ormai noto, la popolazione anziana è quella più a rischio sotto il profilo dell’aderenza alle terapie, specie in compresenza di più patologie. L’Italia è al secondo posto in Europa per indice di vecchiaia, con intuibili conseguenze sull’assistenza sanitaria a causa del numero elevato dei malati cronici. L’aderenza alle terapie è pertanto fondamentale per la sostenibilità del Servizio sanitario nazionale».

Quali sono le strategie per migliorare l’aderenza terapeutica? La stessa Aifa sottolinea che «comprendono i programmi di auto-monitoraggio e auto-gestione dei medicinali, mentre sembrano promettenti i regimi semplificati di dosaggio e il coinvolgimento diretto dei farmacisti nella gestione dei farmaci. Altre strategie, come ad esempio le prescrizioni di antibiotici in ritardo, strumenti pratici (ad esempio confezioni pro-memoria); istruzioni o informazioni combinate con altre strategie (ad esempio, formazione di competenze di auto-gestione e consulenza) e incentivi finanziari possono avere anche alcuni effetti positivi, ma i dati a supporto sono meno consistenti».

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C’è relazione tra povertà e sviluppo del cervello dei bambini?

Si tratta di “Baby’s First Years”, il primo studio USA che valuta l’impatto della povertà nonché della sua riduzione sullo sviluppo cognitivo, emotivo e cerebrale di neonati e bambini. La domanda che i ricercatori si sono posti è stata proprio questa: esiste un rapporto causa-effetto tra ristrettezze economiche della famiglia di un bambino e il suo grado di sviluppo cerebrale? Un miglioramento delle condizioni economiche famigliari ha delle ripercussioni sulla crescita cognitiva ed emotiva del piccolo? Sempre più studi scientifici documentano come lo sviluppo mentale dei bambini a basso reddito sia diverso da quello dei bambini nati in famiglie a medio o alto reddito.

Lo status di benessere famigliare più elevato è associato a migliori prestazioni del bambino in termini di capacità di linguaggio, memoria, funzione esecutiva e relazioni socio-emotive. Il tutto è stato scientificamente verificato anche a livello neurale, nelle regioni cerebrali dei bambini esaminati. Parimenti, un ampio corpus di ricerche in scienze sociali ha riscontrato disparità di reddito tra bambini a basso o alto rendimento scolastico, nelle rispettive capacità di attenzione, nell’autodisciplina. Gli scienziati dello sviluppo tendono a confermare che la povertà plasmi i primi anni di sviluppo cognitivo dei bambini, data l’elevata plasticità e la rapida crescita del cervello nei primi mesi/anni di vita degli individui. Per testare questi risultati è stato però necessario approntare uno studio specifico su larga scala. Questa ricerca mira ad analizzare come un sostegno finanziario alle famiglie meno abbienti possa influenzare la funzione e lo sviluppo cerebrale di neonati e bambini in tenera età.

L’indagine, tuttora in corso, ha quindi confrontato un gruppo di famiglie con bambini a basso reddito con un altro alla pari ma che ha potuto beneficiare di donazioni mensili. Un migliaio di madri in stato di povertà e i loro neonati sono stati reclutati in comunità etnicamente e geograficamente diverse degli Stati Uniti. Le madri hanno ricevuto (e riceveranno fino alla fine dell’indagine) 333 dollari al mese oppure 20 dollari al mese per i primi 52 mesi di vita dei bambini. Per comprendere in che modo la riduzione della povertà influisca sullo sviluppo dei bambini e sulla vita familiare, i ricercatori raccoglieranno dati dal 1° al 4° compleanno di ciascun bambino coinvolto nell’esperimento.

Già oggi questa ricerca riporta sostanziali divergenze nello sviluppo cerebrale dei bambini di un anno le cui famiglie hanno ottenuto un sostegno economico rispetto a coloro che non l’hanno ricevuto. Gli studiosi seguiranno questi nuclei famigliari anche nei prossimi anni per determinare se le disparità osservate tra i due gruppi persisteranno ancora e se porteranno a successivi divari cognitivi e comportamentali.

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Benessere psico-fisico, tutti i benefici di una passeggiata all’aperto

Passeggiare all’aria aperta è sempre una buona abitudine e i benefici sono maggiori quanto più questa abitudine diventa frequente. Le camminate fuori casa coniugano infatti due grandi vantaggi: il movimento naturale, non eccessivamente intensivo, e gli effetti positivi del sole, dell’aria e della natura. A documentare questi benefici sono studi di specialità medico-scientifiche diverse, tutti concordi sul fatto che questa pratica porta benessere generalizzato all’organismo e aiuta a contrastare molti disturbi. Camminare a passo sostenuto è un valido metodo per mantenersi in forma, smaltire le calorie in eccesso e tenere il peso sotto controllo. È anche un ottimo esercizio per la circolazione sanguigna e per irrobustire muscoli e ossa delle gambe. Il valore aggiunto del passeggiare all’aria aperta sta anzitutto nella possibilità di aumentare i livelli di vitamina D nelle giornate soleggiate e, in ogni stagione, nell’ossigenarsi meglio. Chi ha la fortuna di avere a disposizione spazi naturali, come parchi, spiagge o boschi, godrà di ulteriori benefici, respirando un’aria più salubre e meno inquinata, ma anche traendo gli indiscussi effetti positivi della natura sull’umore.

Una sana distrazione per la mente.

Fare una camminata all’aria aperta è senza dubbio un atto benefico per distrarre la mente e attenuare ansia e tensioni. Camminando il respiro si regolarizza e diviene più profondo, contribuendo al raggiungimento di uno stato di rilassamento e distensione. Per questo, gli psicologi concordano che una passeggiata sia molto utile non solo per il corpo ma anche per la salute mentale. Le endorfine prodotte con l’attività fisica migliorano l’umore così come la sensazione di tonicità muscolare generata da questo esercizio soft e naturale. Per godere di tutti questi benefici è importante passeggiare all’aria aperta in tutte le stagioni, dedicando a questa abitudine un po’ di tempo ogni giorno, cercando di trovare luoghi adatti e piacevoli.

Qualche piccolo accorgimento.

Rispetto a tutte le altre attività fisiche, camminare non richiede quasi nessun tipo di accorgimento o attrezzatura. Qualche piccola attenzione, però, giova a rendere la passeggiata un’abitudine davvero efficace e gratificante. La prima è quella di indossare calzature adeguate, ben ammortizzate e adatte al walking. Questo perché camminare con scarpe scomode, strette o con tacchi troppo alti può portare a soffrire di mal di schiena e contribuire alla formazione di calli e vesciche ai piedi. È poi essenziale essere comodi, camminare con disinvoltura, senza provare fastidio o dolore, altrimenti la passeggiata diventerà controproducente. Infine, in base alla stagione, è utile munirsi di crema solare e balsamo per le labbra se il sole è forte e scegliere sempre un abbigliamento pratico, possibilmente a strati, così da poterlo adeguare ai repentini cambi di clima delle mezze stagioni. Ultima raccomandazione, ma non meno importante, è bene portare con sé anche dell’acqua per dissetarsi e idratarsi durante la camminata.

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Numero ricetta elettronica (Nre), le modalità alternative di invio alla farmacia

Le modalità alternative di invio del promemoria cartaceo della ricetta elettronica, per quanto attiene lo scambio del Numero di ricetta elettronica (Nre) tra medico, paziente e farmacia, sono state prorogate dalla Protezione Civile. L’assistito può chiedere che il Nre venga rilasciato tramite «trasmissione del promemoria in allegato a messaggio di posta elettronica, laddove l’assistito indichi al medico prescrittore la casella di posta elettronica certificata (Pec) o quella di posta elettronica ordinaria (Peo)», «con Sms o con applicazione per telefonia mobile che consente lo scambio di messaggi e immagini, laddove l’assistito indichi al medico prescrittore il numero di telefono mobile», a cui si aggiunge la possibilità di «comunicazione telefonica da parte del medico prescrittore del Numero di ricetta elettronica laddove l’assistito indichi al medesimo medico il numero telefonico».

L’articolo 3 dell’ordinanza stabilisce che «fino al 31 dicembre 2022, l’assistito che ha ricevuto la ricetta elettronica farmaceutica da parte del medico prescrittore con le modalità di cui all’articolo 2 può inoltrare gli estremi della ricetta alla farmacia prescelta». Le modalità consistono nell’invio in «posta elettronica, inviando in allegato il promemoria, ricevuto dal medico tramite e-mail oppure estratto dal proprio fascicolo sanitario elettronico, ovvero, inviando il Numero di ricetta elettronica unitamente al codice fiscale riportato sulla tessera sanitaria dell’assistito a cui la ricetta stessa è intestata», «sms o con applicazione per telefonia mobile che consente lo scambio di messaggi e immagini», o «laddove abbia ricevuto telefonicamente dal medico il Numero di ricetta elettronica, lo comunica alla farmacia con il codice fiscale a cui è intestata la ricetta elettronica».

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La povertà incide sullo sviluppo del cervello dei bambini?

La rivista statunitense Science ha citato un’indagine indagine sociologica sul rapporto tra sviluppo del cervello dei bambini e benessere individuale del piccolo e della sua famiglia. Si tratta di “Baby’s First Years”, iil primo studio USA che valuta l’impatto della povertà nonché della sua riduzione sullo sviluppo cognitivo, emotivo e cerebrale di neonati e bambini. La domanda che i ricercatori si sono posti è stata proprio questa: esiste un rapporto di causa-effetto tra ristrettezze economiche della famiglia di un bambino e il suo grado di sviluppo cerebrale? Un miglioramento delle condizioni economiche della sua famiglia ha delle ripercussioni sulla crescita cognitiva ed emotiva del piccolo? Sempre più studi scientifici documentano come lo sviluppo mentale dei bambini a basso reddito sia diverso da quello dei bambini nati in famiglie di reddito medio o alto.

Lo status di benessere famigliare più elevato è associato a migliori prestazioni del bambino in termini di capacità di linguaggio, memoria, funzione esecutiva e relazioni socio-emotive, il tutto verificato a livello neurale nelle regioni cerebrali che supportano questo tipo di attività. Allo stesso tempo, un ampio corpus di ricerche in scienze sociali ha riscontrato disparità di reddito anche tra bambini a basso o alto rendimento scolastico, nelle rispettive capacità di attenzione e di autocontrollo. Gli scienziati dello sviluppo ritengono che molto probabilmente la povertà plasmi i primi anni di sviluppo dei bambini a causa dell’elevata plasticità e della rapida crescita del cervello nelle prime fasi di vita dell’essere umano. Per testare questi risultati è stato però necessario mettere in atto uno studio specifico su larga scala, in grado di analizzare come l’introduzione di un sostegno finanziario al reddito delle famiglie meno abbienti potesse influenzare la funzione e lo sviluppo cerebrale di neonati e bambini in tenera età.

L’indagine, tuttora in corso, ha quindi messo a confronto un gruppo di famiglie con bambini a basso reddito con un altro alla pari ma che ha potuto beneficiare di donazioni mensili. Un migliaio di madri in stato di povertà e i loro neonati sono stati reclutati in diverse comunità etnicamente e geograficamente diverse degli Stati Uniti. Le madri hanno ricevuto (e riceveranno fino alla fine dell’indagine) 333 dollari al mese oppure 20 dollari al mese per i primi 52 mesi di vita dei bambini. Per comprendere in che modo la riduzione della povertà influisca sullo sviluppo dei bambini e sulla vita familiare, i ricercatori raccoglieranno dati ogni anno, dal 1° al 4° compleanno di ciascun bambino coinvolto nell’esperimento. Già oggi questa ricerca riporta differenze statisticamente significative nello sviluppo cerebrale di bambini di un anno le cui famiglie hanno ottenuto un sostegno economico a differenza di coloro che non l’hanno ricevuto. Gli studiosi seguiranno queste famiglie anche nei prossimi anni per determinare se le differenze osservate tra i due gruppi persisteranno ancora e se porteranno a successivi divari cognitivi e comportamentali.