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Sindrome del colon irritabile, come convivere con questa condizione

Il termine colite o sindrome dell’intestino irritabile si riferisce a una serie di disturbi a carico del colon, l’ultimo tratto dell’intestino. La sintomatologia che accompagna questa condizione è molto varia e comprende dolore, gonfiore e crampi addominali, alvo alterno con presenza di muco nelle feci, flatulenza, dispepsia, ossia difficoltà a digerire.

I sintomi, comuni alle patologie infiammatorie intestinali, a differenza di queste non sono accompagnati da alterazioni anatomiche a livello della mucosa del colon. L’insieme dei sintomi che caratterizzano la sindrome del colon irritabile può affliggere per anni la persona che ne soffre, che spesso accusa anche segni di ansia o depressione.

Lo stress e alcuni cibi possono peggiorare il quadro o scatenare la sintomatologia, in particolare gli alimenti irritanti come spezie, cioccolato, tè, caffè, bevande alcoliche, ma anche frutta e verdura, legumi, crucifere, per esempio broccoli e cavoli, latte e derivati e zuccheri e cereali raffinati. Un ruolo chiave sembra essere svolto dagli ormoni femminili, dal momento che le donne rappresentano i soggetti maggiormente colpiti.

Il consumo di fibre prebiotiche stimola lo sviluppo dei probiotici, i batteri “buoni” che popolano l’intestino, che possono essere integrati mediante supplementi dietetici appositamente formulati, mentre andrebbe limitato l’apporto di fibre insolubili. L’assunzione di preparati contenenti enzimi digestivi come amilasi, proteasi, lipasi, lattasi facilita i processi digestivi e contrasta le fermentazioni, causa dello sviluppo di gas che provocano tensione addominale. Pure gli integratori a base di carbone attivo ed estratti di finocchio, carvi, coriandolo, menta riducono il meteorismo. Gli oli essenziali ottenuti dall’angelica e dal tiglio hanno azione sedativa e antispastica.

Frazionare la quantità di cibo ingerita in piccoli pasti frequenti, masticando lungamente, è una buona abitudine, insieme all’introduzione quotidiana di almeno due litri di acqua, che contribuisce a rendere le feci più morbide facilitando l’evacuazione in caso di stipsi e reidratata l’organismo dopo gli episodi di diarrea.

Lo svolgimento di una regolare attività fisica, anche leggera, mantiene la giusta mobilità intestinale, favorita anche da pratiche di rilassamento come la meditazione o da discipline quali lo yoga e il pilates.

Attualmente non sono disponibili test diagnostici e le cause della sindrome del colon irritabile non sono ancora state chiarite. Per questo motivo l’unica terapia possibile è sintomatica. Si può ricorrere all’utilizzo di farmaci antidiarroici come la loperamide o la diosmectite in caso di frequente emissione di feci liquide; fibra di psillio per la regolarità della funzione intestinale; spasmolitici attivi sulla mucosa dell’apparato digerente, per esempio scopolamina N-butilbromuro, otilonio bromuro, trimebutina, papaverina, belladonna, eventualmente in combinazione con benzodiazepine, farmaci ansiolitici utili nel caso in cui alla base delle manifestazioni spasmodiche vi sia una forte componente emotiva.

Anche se il paziente non manifesta disturbi di tipo depressivo, può essere d’aiuto il ricorso ad alcune classi di farmaci antidepressivi a basse dosi, soprattutto per trattare il dolore cronico.

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Cataratta, quando la vista peggiora per l’opacizzazione del cristallino

La cataratta consiste nella progressiva opacizzazione del cristallino, la struttura dell’occhio che con la cornea, vale a dire la porzione anteriore del bulbo oculare, consente la messa a fuoco. Questo processo patologico, che può verificarsi in uno o in entrambi gli occhi, porta alla riduzione dell’acuità visiva. La cataratta è caratterizzata da visione sbiadita, disturbi visivi in presenza di luci intense, visione alterata dei colori, diplopia, ossia visione doppia, problemi nella visione notturna.

Si sviluppa soprattutto con l’avanzare degli anni: si parla di cataratta senile per indicare la fisiologica riduzione della limpidezza del cristallino e la perdita della sua elasticità. Fattori predisponenti a qualsiasi età sono lesioni oculari, condizioni patologiche come il diabete, l’ipertensione arteriosa, il glaucoma e altre malattie oculari, terapie con corticosteroidi per periodi prolungati o impiego di farmaci miotici, che provocano cioè il restringimento del diametro della pupilla, l’abitudine al fumo di sigaretta e al consumo di bevande alcoliche, l’esposizione eccessiva alla luce solare.

Nel caso in cui il peggioramento della vista sia tale da determinare difficoltà nello svolgimento delle attività quotidiane, per esempio alla guida dell’automobile o durante la lettura, può non essere più sufficiente aumentare la gradazione delle lenti degli occhiali e si rende necessaria la sostituzione del cristallino con una lente artificiale. Ciò è possibile attraverso un intervento chirurgico che generalmente viene effettuato con anestesia locale. Se la problematica interessa entrambi gli occhi, il medico specialista in oculistica sottoporrà per primo all’intervento l’occhio che presenta un livello più avanzato di cataratta.

Dopo l’operazione l’occhio va protetto con apposite conchiglie reperibili in farmacia, che hanno lo scopo di impedire traumi, infezioni ed esposizione alla luce e alle correnti d’aria. Su indicazione del chirurgo vanno inoltre utilizzati colliri contenenti antibiotici e antinfiammatori. Nonostante sia del tutto normale avvertire una sensazione di fastidio all’occhio appena operato, in particolare prurito e dolore, i sintomi possono essere attenuati assumendo antidolorifici, preferendo il paracetamolo ai farmaci antinfiammatori non steroidei per scongiurare episodi emorragici.

La guarigione avviene nell’arco di un mese. Il paziente deve essere sottoposto a controlli di solito a distanza di un giorno, una settimana e un mese dall’intervento. Subito dopo l’operazione chirurgica vanno evitati gli sforzi fisici e occorre riparare gli occhi dalle radiazioni solari con lenti scure, utili anche per difenderli dai colpi di vento, e prestare attenzione a non sdraiarsi dalla parte dell’occhio che ha subito l’intervento e a non bagnarlo, avendo cura di detergere palpebre e ciglia con salviette umettate usa e getta o garze sterili imbevute di soluzione fisiologica.

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Fibromialgia: imparare a riconoscerla e a gestirne i sintomi

La fibromialgia è una patologia cronica caratterizzata da dolore a muscoli, tendini e legamenti. Si parla anche di sindrome fibromialgica, per indicare il complesso di segni e sintomi tipici. Oltre al dolore diffuso, infatti, possono manifestarsi spasmi muscolari, rigidità articolare, stanchezza cronica, ansia, depressione, disturbi del sonno, cefalea, vertigini, colon irritabile.

La popolazione maggiormente colpita è quella femminile di età compresa tra i 25 e i 60 anni. La fibromialgia è classificata come patologia reumatica extra-articolare, in quanto a seguito dell’esecuzione di esami diagnostico-strumentali non si riscontra la presenza di processi infiammatori e degenerativi a carico delle articolazioni.

Considerate la varietà dei sintomi, tutti aspecifici, e l’assenza di lesioni d’organo, possono passare mesi o anni prima che il paziente arrivi alla diagnosi e questo si verifica solamente dopo avere escluso altre condizioni morbose, come le malattie autoimmuni e tiroidee.

Non abbiamo a disposizione test laboratoristici o esami strumentali che consentano una diagnosi differenziale, ma lo specialista in reumatologia può giungere alla diagnosi di fibromialgia attraverso la palpazione dei cosiddetti tender points, punti localizzati a livello di un muscolo, dell’inserzione di un tendine sul muscolo e di prominenze ossee che evocano un dolore intenso nel paziente fibromialgico a seguito di digitopressione.

Purtroppo le cause all’origine del dolore cronico rimangono sconosciute e ad oggi non esiste una terapia specifica che porti alla guarigione. Si sa per certo che si tratti di una malattia multifattoriale per la quale vi è una predisposizione familiare, con aumentata percezione del dolore a livello del sistema nervoso centrale, spesso secondaria a malattie di origine autoimmune, il cui esordio può coincidere con eventi di natura infettiva o verificarsi a seguito di periodi prolungati di stress psicofisico.

È possibile intervenire sui sintomi con farmaci analgesici, che vanno dal paracetamolo al tapentadolo, un oppioide, e principi attivi dall’azione antinfiammatoria-antidolorifica, quali acido acetilsalicilico, ibuprofene, ketoprofene. L’associazione con farmaci miorilassanti e alcune classi di antidepressivi consente il controllo della sintomatologia dolorosa e una migliore qualità del sonno.

Per alleviare il dolore che interessa l’apparato locomotore è utile inoltre apportare cambiamenti nello stile di vita, praticando con costanza attività fisica di intensità leggera o moderata, per esempio yoga, pilates, tai chi, qi gong, evitando per quanto possibile gli stress, dedicando la giusta quantità di ore al riposo notturno ma soprattutto curandone la qualità.

In caso di difficoltà nell’addormentamento o di sonno irregolare sono d’aiuto rimedi naturali, tra cui si ricordano la melatonina e gli estratti di valeriana, passiflora, biancospino, escolzia, withania, lavanda, reperibili in farmacia senza obbligo di prescrizione, mentre nei casi di insonnia più severa il medico può prescrivere farmaci ipnoinducenti.

Importante è anche seguire un’alimentazione varia ed equilibrata, distribuendo equamente le calorie della giornata nei tre pasti principali, magari rompendo il digiuno con una merenda mattutina e una pomeridiana per non appesantirsi troppo a pranzo e cena. Fisioterapia e psicoterapia possono dare una mano al soggetto affetto da fibromialgia rispettivamente per migliorare il tono muscolare e per gestire i sintomi psichiatrici.

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Angina pectoris: le tre forme principali e le terapie per trattarle

L’angina pectoris è una sindrome dolorosa legata a uno squilibrio momentaneo tra le necessità metaboliche del muscolo cardiaco e l’apporto di ossigeno e sostanze nutritive. La sensazione dolorifica, che interessa soprattutto il petto e può irradiarsi a braccia, spalle e collo, si verifica dunque quando l’ossigeno che giunge al miocardio è insufficiente a coprirne il fabbisogno, causando un’ischemia transitoria.

Alla base dell’angina vi è la formazione di placche ateromatose, costituite da un nucleo lipidico avvolto da un cappuccio fibroso, che si depositano nelle arterie che portano sangue al cuore, dette coronarie.

Il processo prende perciò il nome di aterosclerosi coronarica. Il dolore è provocato da sforzi fisici, stress, freddo ed emozioni intense.

Trattandosi di una forma di cardiopatia ischemica reversibile, non si assiste ad un danno anatomico permanente, come accade invece nell’infarto del miocardio.

Da un punto di vista clinico, l’angina viene suddivisa in tre forme principali. Nell’angina stabile il dolore è scatenato da uno sforzo, quindi da un incremento del lavoro cardiaco. Il restringimento dei vasi coronarici da parte degli ateromi provoca questo tipo di angina.

Nell’angina instabile il dolore può presentarsi anche a seguito di attività fisica ridotta o a riposo ed è determinato dalla rottura di una placca con distacco di un trombo che ostruisce parzialmente uno dei vasi che irrorano il tessuto muscolare cardiaco. Il dolore nell’angina variante si può manifestare in condizioni di riposo a seguito di uno spasmo delle coronarie, indipendentemente dal processo aterosclerotico.

L’unico meccanismo compensatorio in caso di aumentato fabbisogno di ossigeno è rappresentato da un proporzionale aumento del flusso coronarico, che si ottiene tramite vasodilatazione. Su queste osservazioni si fondano le attuali strategie farmacologiche.

Per trattare l’angina stabile si utilizzano nitrati organici, in particolare nitroglicerina e isosorbide mononitrato e dinitrato. Questi principi attivi sono potenti vasodilatatori che, come effetti collaterali, possono provocare ipotensione marcata con tachicardia riflessa. Nell’angina stabile trovano impiego pure i β-bloccanti e i calcio-antagonisti. Tra questi ultimi, si ricordano il verapamil, il diltiazem e le diidropiridine, che comprendono nifedipina, amlodipina, felodipina, lercanidipina e nicardipina. Di norma ai farmaci citati viene unita la somministrazione di una statina per il controllo della malattia ateromatosa e di un antiaggregante piastrinico, come l’acido acetilsalicilico, utile nella profilassi antitrombotica.

Dal momento che l’angina instabile è associata ad un aumentato rischio di infarto miocardico, la terapia farmacologica ha l’obiettivo di prevenire tale eventualità. A questo scopo vengono impiegati l’acido acetilsalicilico e, in alcuni casi, l’eparina. Nell’angina variante sono usati vasodilatatori coronarici, prevalentemente nitrati e calcio-antagonisti.

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Sindrome metabolica: una condizione da non sottovalutare

La sindrome metabolica è una condizione caratterizzata da alterazioni del metabolismo glucidico e lipidico, obesità viscerale, ipertensione arteriosa. L’indice di massa corporea o bmi, dall’inglese body mass index, e la circonferenza addominale se sono elevati rappresentano importanti fattori di rischio per lo sviluppo di malattie cardiovascolari, metaboliche, come il diabete, e oncologiche, tutte associate a un aumento della mortalità.

Valori numerici di bmi, che è il rapporto tra peso e altezza al quadrato, tra 25 e 29.9 identificano una condizione di sovrappeso, mentre si parla di obesità lieve o moderata se il numero è compreso tra 30 e 34.9, di obesità media quando il rapporto kg/m2 è tra 35 e 39.9 e di obesità severa o grave con valori uguali o superiori a 40. La circonferenza della vita non dovrebbe superare i 94 cm nel maschio e gli 80 nella femmina e la pressione arteriosa dovrebbe mantenersi al di sotto di 130 mmHg per la massima o sistolica e di 85 per la minima o diastolica.

La sindrome metabolica è il più diffuso fattore di rischio per patologie come infarto del miocardio e ictus ischemico nel mondo occidentale. Il grasso addominale e la ridotta capacità delle cellule muscolari e del tessuto adiposo di utilizzare il glucosio in risposta all’insulina, che prende il nome di resistenza insulinica, portano ad un aumento dei livelli ematici di acidi grassi, con incremento della produzione da parte del fegato di trigliceridi e colesterolo “cattivo” o Ldl e diminuzione del colesterolo “buono” o Hdl, parallelamente a un’aumentata gluconeogenesi, cioè la sintesi epatica di glucosio.

In particolare, favoriscono l’insorgenza di malattie cardiache e circolatorie una trigliceridemia superiore a 150-200 mg/dl, valori di colesterolo totale al di sopra di 200 mg/dl, Hdl inferiore a 40 e Ldl superiore a 130, oltre a una glicemia a digiuno maggiore di 115 mg/dl.

La sindrome metabolica è una patologia multifattoriale, che tra le cause principali comprende una dieta ricca di acidi grassi saturi e di alimenti ad alto indice glicemico, capaci di alzare rapidamente la concentrazione di glucosio nel sangue, e l’inattività fisica, oltre ad una predisposizione individuale. Per prevenire le complicanze della malattia occorre dunque intervenire prima di tutto sullo stile di vita, seguendo un’alimentazione corretta e abbandonando la sedentarietà per dedicarsi alla pratica regolare di attività motorie anche leggere.

Va costantemente monitorato il peso in caso di eccesso ponderale e soprattutto va tenuta sotto controllo la circonferenza addominale, mentre fumo e alcol sono abitudini da abbandonare. Il medico potrà inoltre prescrivere antipertensivi in caso di pressione alta e farmaci specifici per la riduzione dei valori plasmatici di colesterolo Ldl, trigliceridi e glucosio nell’eventualità in cui questi parametri risultassero alterati.