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21 settembre, giornata per fare il punto sull’Alzheimer a livello globale

Il 21 settembre si celebra la giornata mondiale dell’Alzheimer, patologia cronico-degenerativa del sistema nervoso centrale caratterizzata da demenza, una perdita progressiva delle funzioni cognitive che può arrivare a rendere impossibile lo svolgimento delle normali attività quotidiane, per la quale purtroppo non esiste ancora una terapia efficace. Sia per prevenire che per rallentare la progressione della malattia, fortemente invalidante e accompagnata da importanti ripercussioni emotive, sociali ed economiche anche su coloro che accudiscono il paziente, fondamentale è la stimolazione delle risorse cognitive. Ciò è possibile per esempio grazie al mantenimento delle relazioni sociali e allo svolgimento di esercizio fisico e di attività intellettuali come la lettura. La giornata, indetta per la prima volta nel 1994 da Organizzazione mondiale della sanità e Alzheimer’s disease international, è stata istituita per riunire medici, ricercatori, istituzioni sanitarie e associazioni di volontari, familiari e malati, al fine di sensibilizzare la collettività sulle problematiche legate alla malattia.

I pazienti e i loro cari possono rivolgersi ai centri Uva (Unità valutativa Alzheimer), dove troveranno equipe di neurologi, geriatri, psichiatri, psicologi specializzati nella gestione della malattia.

Numerose sono le associazioni che nel nostro paese si occupano di fare formazione, supportare i familiari dei malati fornendo informazioni sui servizi territoriali, l’assistenza a domicilio, consulenze legali e amministrative, dare conforto tramite la programmazione di incontri con operatori sanitari che quotidianamente lavorano con pazienti affetti dal morbo di Alzheimer e con altre persone con cui condividere la propria esperienza.

Alla pagina web della Federazione Alzheimer Italia www.alzheimer.it [1] si possono reperire numerose informazioni utili, inclusa la Carta dei diritti della persona con demenza, trovare i contatti per ricevere assistenza e leggere le testimonianze di familiari e amici dei malati.

Oltre alla Federazione, formata da 46 associazioni di persone con demenza, si ricordano l’Associazione italiana malattia di Alzheimer (Aima), Sos Alzheimer, l’Alzheimer association Italia, l’Associazione italiana ricerca Alzheimer (Airalzh). Tra i centri di eccellenza presenti sul nostro territorio non si può dimenticare l’Ebri, European brain research institute, un istituto di ricerca scientifica di respiro internazionale voluto nel 2002 dal premio Nobel Rita Levi Montalcini.

L’istituto ha sede a Roma e, come riportato nel sito www.ebri.it [2], è “interamente dedicato allo studio delle neuroscienze” e si pone “l’obiettivo di individuare nuove strategie terapeutiche per malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer”.

Le letture sul tema non si contano, ma anche il mondo del cinema ha prodotto pellicole incentrate sulla malattia di Alzheimer. Tra i film usciti negli ultimi anni, si elencano nell’ordine dal più recente al più “datato” “Ca’ nostra”, “Ella & John”, “Still Alice”, “La famiglia Savage”, “Lontano da lei”, “Le pagine della nostra vita”, “Il figlio della sposa” e “Iris – Un amore vero”. Vale la pena di citare il lungometraggio d’animazione spagnolo “Arrugas – Rughe”, tratto dall’omonima graphic novel.

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Piccoli disturbi del cavo orale: cause principali e possibili soluzioni

I piccoli problemi che possono interessare il cavo orale sono molteplici e tutt’altro che rari. Le gengiviti sono infiammazioni delle gengive, che risultano gonfie ed arrossate e facilmente vanno incontro a sanguinamenti. La principale causa è un’igiene orale insufficiente, che sostiene la proliferazione batterica. Le gengiviti sono frequenti nei fumatori e nei consumatori abituali di bevande alcoliche. Tra i fattori favorenti si ricordano anche lo stress psicofisico e la pulizia aggressiva dei denti, magari con spazzolini dalle setole troppo dure. Da evitare, nel corso dell’infiammazione, gli alimenti grassi e molto zuccherati e le fritture.

Può risultare utile impiegare collutori, gel o spray a base di disinfettanti ad ampio spettro, come la clorexidina, oppure effettuare sciacqui con collutori contenenti sostanze antinfiammatorie, quali flurbiprofene e ketoprofene. Per attenuare il dolore, soprattutto se le gengive appaiono retratte, è d’aiuto praticare un massaggio di qualche minuto con i polpastrelli; il beneficio può essere aumentato dall’uso di olio essenziale di chiodi di garofano.

Uno dei sintomi che spesso accompagnano la gengivite è l’alitosi.

L’odore sgradevole emesso con l’espirazione può essere inoltre dovuto a disturbi gastroenterici, infezioni dell’apparato respiratorio, assunzione di certi farmaci e presenza di patologie come il diabete. Per prevenire l’alito pesante occorre abbandonare fumo di sigaretta e consumo di alcol, astenersi dagli alimenti contenenti composti solforati, per esempio aglio e cipolla, limitare i cibi difficili da digerire e bere abbondantemente. Anche nel caso dell’alito cattivo, una corretta igiene orale, che preveda lo spazzolamento non solo della superficie dei denti ma anche della lingua, riveste un ruolo di primaria importanza. Per contrastare questo fastidio sono disponibili collutori, spray e gomme da masticare formulati con oli essenziali dalla profumazione gradevole.

Le stomatiti aftose o afte sono piccole ulcerazioni non contagiose della mucosa orale. Si presentano come lesioni dalla forma tondeggiante di colore bianco, circondate da una zona arrossata indice di infiammazione.

Al contatto con alimenti e bevande possono provocare dolore anche intenso, che talvolta si avverte perfino deglutendo o parlando. Tendono ad essere ricorrenti e, prima di manifestarsi, sono precedute da una sensazione di fastidio o bruciore che il paziente che ne soffre sa riconoscere. Oltre ad una predisposizione genetica, facilitano la comparsa delle afte i periodi prolungati di affaticamento fisico e/o mentale, la presenza di lesioni di altra natura, per esempio quelle traumatiche provocate dagli apparecchi ortodontici o dalle protesi, intolleranze alimentari, squilibri ormonali, condizioni di immunodepressione, scarsa igiene orale. Per prevenire queste lesioni occorre dunque prestare particolare attenzione alla pulizia, utilizzando spazzolino, dentifricio e filo interdentale dopo ogni pasto.

Anche l’alimentazione va curata, bandendo i cibi nei confronti dei quali si è sviluppata una forma di intolleranza e privilegiando il consumo di frutta e verdura fresche e di stagione. Sono da preferire i vegetali più ricchi di vitamina C, tra cui figurano kiwi, fragole, agrumi, peperoni, che stimolano il sistema immunitario. Se le afte sono già presenti, si suggeriscono collutori, gel, spray o cerottini a base di aloe o acido ialuronico che, grazie alla formazione di una pellicola protettiva, riducono il dolore, promuovono la rimarginazione della mucosa lesa e scongiurano il rischio di infezioni.

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Metalli e composti che li contengono, materiali non sempre alleati dell’uomo

È risaputo che molti metalli possano rivelarsi tossici per l’organismo. Le loro caratteristiche, che fanno sì che non risultino biodegradabili e si accumulino a livello di aria, acqua, suolo e alimenti, hanno suscitato grande interesse nei tossicologi, ma anche nei non addetti ai lavori. Alla base del meccanismo di tossicità vi è l’alta reattività. Certi metalli accelerano reazioni chimiche con formazione di radicali liberi, causa di danni a molecole rilevanti come proteine e Dna.

L’entità del danno provocato dipende da dose, via, durata e frequenza dell’esposizione, così come da fattori legati al soggetto esposto, per esempio età, sesso, capacità metaboliche. I bambini e gli anziani sono i più colpiti dagli effetti tossici dei metalli. In caso di avvelenamento si può fare ricorso ad antidoti costituiti da sostanze definite chelanti che, legandosi irreversibilmente al metallo, ne facilitano l’escrezione.

Tra i più comuni metalli tossici va citato l’arsenico, la cui fonte di esposizione principale è rappresentata da pesticidi ed erbicidi. L’avvelenamento acuto, che può portare anche alla morte per arresto cardiaco, è caratterizzato da febbre, danni epatici, gastrointestinali, neurologici e aritmie. L’esposizione cronica può causare cancro della pelle e neuropatia. Il cadmio è un metallo impiegato nelle batterie e come pigmento per la produzione di vernici e plastiche. Altre fonti di esposizione sono il fumo e gli alimenti, sia di origine vegetale che animale, in cui il metallo si sia accumulato. La tossicità acuta conseguente all’ingestione di cibi o bevande contaminati determina sintomi gastroenterici, mentre l’inalazione dei vapori può provocare polmoniti. Nel lungo periodo, il cadmio danneggia reni, polmoni, ossa e aumenta il rischio di patologie cardiovascolari.

Per quanto riguarda il piombo, l’introduzione di benzina priva del metallo e la sua rimozione da vernici e tubature hanno contribuito a ridurne fortemente la concentrazione ematica nella popolazione. Le vie di esposizione sono costituite da cibo e acqua contaminati, utilizzo di armi da fuoco nella caccia, operazioni di saldatura, produzione di gioielli, ceramica, vetro. Bersagli della tossicità da piombo sono i reni e i sistemi nervoso, circolatorio, gastrointestinale, immunitario, scheletrico e riproduttivo. L’esposizione al mercurio avviene in particolare attraverso il consumo di pesce contaminato o l’inalazione dei vapori nell’industria che provoca bronchiti e polmoniti severe, associate ad effetti sul sistema nervoso centrale. Il nichel viene impiegato in numerose leghe e nella produzione di acciaio inox. Tra gli effetti conseguenti all’esposizione al nichel figurano in primis le dermatiti da contatto. I lavoratori delle industrie di raffinazione del metallo sono maggiormente esposti al rischio di sviluppare carcinomi delle vie respiratorie.

Anche metalli essenziali come rame, ferro, zinco sono dotati di potenziale tossicità. Ad ogni modo, i normali livelli di esposizione scongiurano eventi avversi. Esistono infine farmaci contenenti metalli utilizzati per trattare i tumori, come i composti del platino, del gallio e del titanio. Medicinali a base di sali di alluminio trovano impiego come antiacidi, mentre nel trattamento dell’ulcera peptica si usano farmaci che contengono il bismuto, in psichiatria il litio, nell’artrite reumatoide l’oro. Poiché in generale non esistono sostanze farmacologicamente attive esenti da effetti collaterali, il medico, prima di prescriverle, farà un’attenta valutazione del rapporto rischi/benefici.

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Anemia: una sintesi delle diverse forme di riduzione dell’emoglobina

L’anemia è una condizione caratterizzata da ridotti livelli ematici di emoglobina, la proteina contenuta nelle cellule del sangue dette globuli rossi o eritrociti, grazie alla quale è possibile il trasporto di ossigeno ai tessuti. La bassa concentrazione di emoglobina provoca in genere stanchezza intensa, anche se nelle forme croniche l’anemia può non dar luogo ad alcun sintomo. Esistono diversi tipi di anemia. Nell’anemia microcitica i globuli rossi sono di piccole dimensioni e hanno un basso contenuto di emoglobina. L’anemia macrocitica o megaloblastica è contraddistinta da globuli rossi di grandi dimensioni ma presenti in numero ridotto, mentre nell’anemia normocitica normocronica gli eritrociti sono di dimensioni normali ma scarsi.

Per la diagnosi vengono valutati i livelli nel sangue di ferro, acido folico o vitamina B9 e cobalamina o vitamina B12, tutti fattori necessari per l’eritropoiesi, il processo di formazione dei globuli rossi. L’anemia può essere provocata da una carenza dei suddetti nutrienti, ma anche da chemio- e radioterapia, da patologie a carico del midollo osseo, sede dell’eritropoiesi, da una diminuzione della risposta all’eritropoietina, l’ormone che regola la formazione degli eritrociti, o da una riduzione della sua concentrazione. Vi sono inoltre casi di anemia emolitica in cui gli eritrociti vengono distrutti, come nell’anemia falciforme, una malattia genetica ereditaria, e anemie dovute a reazioni avverse a terapie farmacologiche.

In terapia si impiegano ferro, acido folico e vitamina B12. Il ferro è un minerale essenziale per la sintesi di emoglobina. Le fonti principali sono carne, pesce, legumi, frutta secca, cereali. Il ferro di origine animale rispetto a quello vegetale viene assorbito più facilmente a livello intestinale. Ne favoriscono l’assorbimento la vitamina C, solitamente addizionata agli integratori di ferro, zuccheri come il fruttosio e il sorbitolo e alcuni aminoacidi. Al contrario, inibiscono l’assorbimento caffè e tè, soia, una dieta eccessivamente ricca di fibra e l’acido fitico, contenuto in diversi cereali e legumi. Per trattare l’anemia da deficienza di ferro, frequente nelle donne in età fertile e quando aumenta il fabbisogno, per esempio durante la gravidanza e nella prima infanzia, il farmaco più utilizzato è il solfato ferroso per via orale. Il ferro-saccarosio viene somministrato per infusione endovenosa lenta e il ferro-destrano può anche essere somministrato tramite iniezione intramuscolare profonda. Gli effetti collaterali comprendono disturbi gastrointestinali.

La carenza di vitamina B12, di cui sono ricchi gli alimenti di origine animale, e di acido folico, presente soprattutto nel fegato e nelle verdure a foglia verde, determina anemia megaloblastica. Un’alimentazione carente di acido folico porta alla comparsa di anemia in situazioni in cui vi è un incremento della domanda di questo nutriente, come nella gestazione. Il deficit di vitamina B12 invece è causato perlopiù da fattori che interferiscono negativamente con il suo assorbimento, come avviene in certe patologie infiammatorie croniche. Il fattore intrinseco è una proteina fondamentale per l’assorbimento della vitamina B12. È secreto a livello gastrico ed è assente nei soggetti affetti da anemia perniciosa, una forma di anemia megaloblastica. L’acido folico si assume per bocca, mentre la vitamina B12 è somministrata per via iniettiva; nessuno dei due farmaci presenta particolari effetti indesiderati.

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Riduzione della massa muscolare: il ruolo della vitamina C nel prevenirla

In uno studio pubblicato lo scorso luglio sulla rivista scientifica The Journal of Nutritioni ricercatori di prestigiose università inglesi hanno sottolineato il ruolo chiave della vitamina C, o acido ascorbico, nella salvaguardia della funzionalità del muscolo scheletrico. È noto che la perdita di massa muscolare scheletrica legata all’età acceleri i processi che portano a disabilità fisica, fragilità e, indirettamente, ad un aumento della mortalità. In particolare, la sarcopenia è una condizione caratterizzata dalla perdita progressiva della massa e della forza muscolari, associata all’invecchiamento dell’organismo. Il mantenimento di forza e funzione muscolari è essenziale per prevenire numerosi disturbi metabolici, tra cui un alterato utilizzo di aminoacidi, glucosio e acidi grassi, predisponente all’obesità e al diabete di tipo 2.

L’eziologia della sarcopenia è multifattoriale. Alla perdita di massa muscolare scheletrica contribuiscono cause di natura endocrina, produzione di radicali liberi, aumento di sostanze proinfiammatorie, immobilità, basso apporto di proteine. La vitamina C, introdotta consumando frutta e verdura, svolge molteplici funzioni nel metabolismo e nella fisiologia del muscolo scheletrico, che potrebbero scongiurare la perdita del tessuto dovuta al passare degli anni. I meccanismi in cui è coinvolto l’acido ascorbico includono la sintesi di collagene, un componente strutturale fondamentale di cellule muscolari e tendini, e di carnitina, aminoacido che interviene nel metabolismo degli acidi grassi durante lo svolgimento di attività fisica. La vitamina C, dall’azione antiossidante, è inoltre in grado di ridurre il danno a carico delle cellule muscolari provocato dai radicali liberi e la concentrazione di molecole promotrici di infiammazione che si ritrovano nel circolo sanguigno.

Prima dello studio in oggetto, la rilevanza della vitamina C per la muscolatura scheletrica non era stata considerata in studi epidemiologici che valutassero sia l’apporto dietetico che la concentrazione plasmatica in entrambi i sessi e in soggetti sia di mezza età che di età avanzata. Nel corso dello studio sono quindi state esaminate le associazioni tra l’introito di vitamina C, i suoi livelli plasmatici e la massa magra. I partecipanti, 13000 uomini e donne del Regno Unito di età compresa tra i 42 e gli 82 anni, hanno registrato su diari alimentari settimanali tutti i cibi e le bevande consumati. Le informazioni ricavate sono state convertite in quantità di nutrienti attraverso l’impiego di un software specifico. Per ogni soggetto sono stati misurati altezza e peso; campioni di sangue sono stati prelevati ai fini di rilevare la concentrazione sierica della vitamina. Sono state prese in considerazione variabili biologiche, come età, stato menopausale, eventuale terapia ormonale sostitutiva, utilizzo di corticosteroidi o statine, variabili legate allo stile di vita, quali fumo, classe sociale, attività fisica, e variabili dietetiche, per esempio l’energia totale e l’apporto di proteine provenienti dalla dieta.

In generale, la prevalenza di deficit di vitamina C era maggiore negli uomini e negli individui con basso reddito. Dallo studio è emerso che circa il 60% della popolazione considerata consumava quantità insufficienti di vitamina C. I risultati hanno mostrato associazioni positive significative tra apporto dietetico di vitamina C e mantenimento della massa magra. È necessario indagare ulteriormente gli effetti a lungo termine sul muscolo scheletrico di un aumento dell’apporto della vitamina, introdotta con l’alimentazione o sotto forma di integratori.