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Autocontrollo della glicemia, studio: «Se è insufficiente, maggior rischio fratture»

Il diabete mellito di tipo 1 è malattia autoimmune caratterizzata dalla distruzione delle cellule beta del pancreas ed è associato solitamente all’insulino-deficienza. Un recente studio pubblicato nella rivista scientifica Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism of Endocrine Society ha dimostrato che i pazienti con diabete di tipo 1 e scarso controllo della glicemia corrono un rischio maggiore di frattura da fragilità, vale a dire qualsiasi caduta da altezza in piedi o meno che si traduce in un osso rotto, rispetto ai pazienti con diabete di tipo 1 che hanno invece un buon controllo glicemico.
Come è noto, il diabete di tipo 2 è la forma più comune della malattia e si verifica quando i pazienti sono resistenti all’insulina. Il diabete di tipo 1, diagnosticato principalmente nei bambini e negli adolescenti, è dovuto a una deficienza di insulina. Le persone con diabete di tipo 1 devono assumere insulina tutti i giorni, mentre quelle con il tipo 2 possono essere per lo più trattate con farmaci per la dieta, l’esercizio fisico e il diabete orale.
Un buon controllo della glicemia è un obiettivo importante per i pazienti con diabete. I medici misurano in genere il controllo glicemico di un paziente con il test dell’emoglobina glicata. Tale test diagnostico misura i livelli medi di zucchero nel sangue di un paziente nell’arco di due o tre mesi. I pazienti corrono il rischio di complicanze quando lo zucchero nel sangue rimane troppo alto nel tempo o scende troppo in basso.
«Abbiamo studiato l’associazione tra il grado di controllo glicemico e il rischio di fratture utilizzando un’ampia coorte di pazienti con diabete di tipo 1 e 2 di nuova diagnosi», ha spiegato uno degli autori dello studio, Janina Vavanikunnel, MD, dell’Ospedale universitario di Basilea a Basilea, Svizzera. «Entrambi i tipi di diabete sono associati a fratture da fragilità e abbiamo dimostrato che uno scarso controllo glicemico è associato ad un aumentato rischio di fratture nel diabete di tipo 1».
Questo studio mostra dunque che uno scarso controllo glicemico con un livello di emoglobina glicata superiore all’8% è associato ad un aumentato rischio di fratture nei pazienti con diabete di tipo 1 ma non di tipo 2, almeno nella malattia a breve termine. Secondo questo studio, il rischio di frattura nei pazienti con diabete di tipo 2 è probabilmente dovuto a fattori oltre il controllo glicemico, come altre comorbidità legate al diabete.

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Fumo e malattie cardiovascolari: un legame sempre più chiaro

Il fumo è considerato la principale causa di mortalità a livello globale. Non solo: è anche il maggior responsabile di gran parte delle patologie del sistema respiratorio e cardiovascolare, le quali costringono molte persone all’ospedalizzazione o a trattamenti farmaceutici continuativi. Non si tratta di un luogo comune. Secondo il «45 and Up Study», recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Bmc Medicine, le sigarette sono infatti le dirette responsabili delle più diffuse malattie cardiovascolari e dei decessi ad esse legati. In Australia, luogo in cui è stata effettuata la ricerca, oltre un terzo delle morti per malattie cardiovascolari e un quarto delle ospedalizzazioni acute legate a coronaropatie nella popolazione di età inferiore ai 65 anni è attribuibile al fumo. Lo studio, condotto su oltre 180.000 australiani di età maggiore di 45 anni, è iniziato nel 2006 e ha raccolto fino al 2015 in maniera continuativa informazioni relative alla storia clinica dei partecipanti allo studio. Si è così ottenuta una grande quantità di dati che ha permesso non solo di analizzare a fondo la correlazione tra disturbi cardiovascolari e fumo, ma anche di approfondire il legame diretto tra quest’ultimo e 36 particolari sottotipi di patologie cardiache.
I risultati parlano chiaro: rispetto ai non fumatori, chi fuma regolarmente ha almeno il doppio del rischio di sviluppare malattie cardiovascolari, tra cui ischemia cardiaca, aritmie cardiache, malattie cerebrovascolari, arteriopatia periferica e insufficienza cardiaca. I fumatori, inoltre, vedono aumentare di oltre cinque volte il pericolo di sviluppare una malattia arteriosa periferica rispetto a chi non ha mai acceso una sigaretta. Ma se da un lato è vero che il rischio cresce all’aumentare del numero di sigarette fumate al giorno, dall’altro anche i cosiddetti «fumatori leggeri», coloro cioè che consumano dalle 4 alle 6 sigarette al giorno, devono stare molto attenti. Lo studio rivela che anche una simile quantità, apparentemente bassa, mette seriamente a repentaglio la salute, di fatto raddoppiando il rischio di morte per patologie cardiovascolari.
La buona notizia è che chi abbandona il fumo abbassa drasticamente il pericolo di incorrere in questo genere di patologie. In particolare, stando ai dati della ricerca, chi smette definitivamente di fumare in un’età compresa tra i 35 e i 44 anni riduce del 90% il rischio di patologie cardiache attribuibili al fumo, prime tra tutte ictus e infarto del miocardio.

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Saponi antibatterici, studio: «Potrebbero provocare osteoporosi»

L’osteoporosi è una condizione attraverso cui, a causa di diversi fattori, lo scheletro va incontro ad una perdita di massa ossea. I soggetti che presentano osteoporosi hanno una predisposizione maggiore allo sviluppo di fratture patologiche. Tra le cause che la provocano vengono annoverati fattori nutrizionali, ma anche relativi a processi metabolici o a patologie. Tuttavia, secondo quanto riportato da uno studio pubblicato sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, un ulteriore fattore potrebbe aggiungersi alle cause sinora conosciute. Nello specifico, gli scienziati hanno rilevato che «le donne esposte al triclosan, una sostanza chimica che si trova spesso nei saponi e nei disinfettanti per le mani, potrebbero avere maggiori probabilità di sviluppare l’osteoporosi rispetto alle donne che non hanno questa esposizione, suggerisce un nuovo studio».
Tale molecola è stata ampiamente utilizzata per anni come agente antimicrobico nei prodotti di consumo e di cura personale, tra cui saponi, disinfettanti per le mani, dentifricio e collutorio. Mentre l’effetto esatto della sostanza chimica sulla salute umana non è chiaro, alcune ricerche precedenti suggeriscono che il triclosan può interferire con la tiroide e gli ormoni riproduttivi.
È stato anche dimostrato che il triclosan ha un impatto sulla salute delle ossa negli animali, ma meno si sa sul potenziale che questa sostanza chimica possa contribuire a indebolire le ossa fragili nelle persone. Nello specifico, lo studio dimostra che è verosimilmente possibile che l’esposizione al triclosan possa innescare cambiamenti nella produzione di ormoni tiroidei e estrogeni che interrompano il normale sviluppo scheletrico e il mantenimento di ossa sane con l’età delle donne. «Anche se sono necessarie ulteriori ricerche per dimostrare se il triclosan causa direttamente l’osteoporosi, ha ancora senso evitare di usare prodotti che contengono la sostanza chimica», ha detto Luz Claudio, ricercatore di medicina ambientale e salute pubblica presso la Icahn School of Medicine del Mount Sinai a New York.

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Estate 2019: quali farmaci portare in vacanza?

Tempo d’estate, aria di vacanza. Con l’arrivo della stagione estiva molti italiani sceglieranno di passare le proprie vacanze al mare o in montagna. Luoghi che, per quanto possano essere sicuri e coperti dall’efficiente nonché capillare servizio farmaceutico italiano, possono mettere i viaggiatori di fronte a situazioni di urgenza soprattutto per quanto attiene i piccoli disturbi transitori tipici di quando si trascorre molto tempo fuori casa. Quali sono dunque i rimedi che non possono proprio mancare nel proprio bagaglio da portare al seguito? A fornire una panoramica è l’azienda Angelini, gruppo italiano che realizza e commercializza farmaci in Italia e nel mondo. Secondo quanto evidenziato sulle pagine del gruppo, «coloro che seguono una terapia medica cronica devono portare un’adeguata scorta di medicinali (ad es. antidiabetici, antipertensivi, antiepilettici, antianginosi, anticoncezionali ecc.) che copra in eccesso il periodo di tempo in cui si troveranno lontani da casa». Ciò in particolar modo se si va verso l’estero, dove potrebbe essere difficile trovare i medesimi principi attivi con gli stessi dosaggi.
Quanto ai farmaci di uso comune da portare con se, reperibili grazie all’intervento del farmacista di fiducia, «la scelta dei prodotti da “mettere in valigia” – spiega Angelini – dipende dalle caratteristiche del viaggio, dalla destinazione, dalla durata e dal tipo di alloggio. In linea di massima è consigliabile portare in viaggio, oltre ai farmaci abituali, anche alcuni prodotti che teniamo abitualmente nell’armadietto di casa». Tra questi un «antipiretico (contro la febbre), un analgesico (contro il dolore) un antidiarroico, un antibiotico a largo spettro d’azione un antinfiammatorio, un farmaco contro la chinetosi (mal d’auto, mal di mare, mal d’aria), un collirio, un prodotto repellente contro le zanzare ed altri insetti, una crema antiscottature, un Kit da pronto soccorso con cerotti, disinfettante, qualche siringa sterile e l’occorrente per una pronta medicazione un termometro, una pomata contro ematomi e distorsioni, se si è programmato una vacanza in montagna è prudente premunirsi del siero antivipera». Parte di questi prodotti sono reperibili in farmacia senza l’intervento del medico, per altri, invece, è necessario rivolgersi al medico curante.

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Adenuric (febuxostat), le autorità: «Aumento del rischio di morte cardiovascolare e mortalità»

Come è noto, Febuxosat è un principio attivo il cui meccanismo riduce la formazione di acido urico. È autorizzato in Italia con il farmaco Adenuric, nel dosaggio da 80 mg e 120 mg, per il trattamento dell’iperuricemia cronica con deposito di urato (compresa l’anamnesi, o la presenza, di tofi e/o di artrite gottosa) e per la prevenzione e il trattamento dell’iperuricemia in pazienti adulti sottoposti a chemioterapia per neoplasie ematologiche maligne con un rischio da intermedio ad alto di sindrome da lisi tumorale (Tls). L’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) in accordo con la ditta produttrice del farmaco Menarini International Operations Luxembourg S.A., e l’Agenzia Europea per i Medicinali (Ema) hanno reso noto che «in uno studio clinico di fase IV (lo studio CARES) condotto su pazienti affetti da gotta con un’anamnesi di malattia cardiovascolare (CV) importante, è stato osservato un rischio significativamente maggiore di mortalità per qualsiasi causa e di morte per cause cardiovascolari nei pazienti trattati con febuxostat rispetto ai pazienti trattati con allopurinolo». In aggiunta a ciò, «il trattamento con febuxostat nei pazienti con malattia CV importante preesistente (ad esempio infarto miocardico, ictus o angina instabile) deve essere evitato, tranne quando non siano disponibili altre opzioni terapeutiche adeguate».