Le persone guardano alle sigarette elettroniche come un’alternativa “salutare” alle sigarette e attualmente abbiamo un’epidemia di sigarette elettroniche. Tuttavia, secondo un nuovo studio sull’American Journal of Preventive Medicine, pubblicato da Elsevier, i giovani adulti che fumano sigarette e usano sigarette elettroniche hanno quasi due volte più probabilità di avere un infarto rispetto agli attuali fumatori di sole sigarette e quasi tre volte più probabile rispetto ai non fumatori.
Sebbene le sigarette elettroniche siano etichettate da alcuni come “un’opzione più sicura” per la cessazione attiva del fumo, la dipendenza e la tossicità da nicotina continuano a destare grande preoccupazione nei giovani adulti a basso rischio che fumano sigarette elettroniche per sapori e divertimento.
«È noto da tempo – spiega Tarang Parekh, del Dipartimento di amministrazione e politica sanitaria nella George Mason University, in USA – che fumare sigarette è uno dei fattori di rischio più significativi per l’ictus. Il nostro studio mostra che i giovani fumatori che usano anche sigarette elettroniche corrono un rischio ancora maggiore». Il ricercatore inoltre evidenzia che «questo è un messaggio importante per i giovani fumatori che percepiscono le sigarette elettroniche come meno dannose e le considerano un’alternativa più sicura. Abbiamo iniziato a comprendere l’impatto sulla salute delle sigarette elettroniche e del concomitante fumo di sigaretta, e non va bene».
Autore: L'Incontro
Il servizio informativo per i pazienti del Centro "L'Incontro" a Teano (CE).
Oltre all’antibiotico-resistenza, fenomeno mediante il quale a lungo andare i farmaci per la lotta alle infezioni batteriche riducono il proprio beneficio terapeutico se usati in maniera non appropriata, anche l’uso di antibiotici in età pediatrica potrebbe influenzare negativamente la salute aumentando il rischio di sviluppare allergie. È quanto evidenziato in un recente studio pubblicato sulla rivista scientifica “Jama Pediatrics”, relativo alle prescrizione di cinque tipologie di antibiotici, ovvero pennicilline, pennicilline con inibitori delle beta-lattamasi, cefalosporine, sulfonamidi e macrolidi, classi di antibiotici ampiamente usate in ambito pediatrico. I ricercatori hanno utilizzato le informazioni relative a 798.426 bambini presenti nel database del Sistema sanitario militare statunitense dal 2001 al 2013, monitorando le prescrizioni di antibiotici nelle diagnosi infantili e allergiche durante l’infanzia.
Ebbene, secondo quanto emerso dall’analisi dei dati, l’assunzione di un antibiotico era associata a un rischio significativamente maggiore di anafilassi (una grave reazione allergica), asma, allergie alimentari e allergie e infiammazione della pelle (dermatite), delle vie respiratorie (rinite) e degli occhi (congiuntivite). La penicillina ha aumentato il rischio del 30 percento, i macrolidi del 28 percento e le cefalosporine del 19 percento rispetto ai neonati che non avevano ricevuto alcuna prescrizione di antibiotici. Infine, lo studio ha controllato il parto cesareo, la prematurità, il sesso, l’uso di farmaci antiacidi e il numero di giorni in cui i bambini hanno assunto il medicinale.
«Sulla base dei dati al momento disponibili, l’Oms ribadisce che il contatto con i casi sintomatici (persone che hanno contratto l’infezione e hanno già manifestato i sintomi della malattia) è il motore principale della trasmissione del nuovo coronavirus 2019-nCoV». È quanto rende noto l’Istituto superiore di sanità (Iss), citando il Situation Report 12 pubblicato il 1 febbraio 2020 dall’Organizzazione mondiale della sanità (Iss). Il documento contiene il punto sui meccanismi di trasmissione del nuovo coronavirus 2019-nCoV.
«L’Oms – puntualizza l’Istituto – è a conoscenza di una possibile trasmissione del virus da persone infette ma ancora asintomatiche e ne sottolinea la rarità. In base a quanto già noto sui coronavirus, sappiamo infatti che l’infezione asintomatica potrebbe essere rara e che la trasmissione del virus da casi asintomatici è molto rara. Sulla base di questi dati, l’Oms conclude che la trasmissione da casi asintomatici probabilmente non è uno dei motori principali della trasmissione del nuovo coronavirus 2019-nCoV».
Nella pagina predisposta, inoltre, l’Iss fornisce chiarimenti in merito alla prevenzione: «È possibile – si legge – ridurre il rischio di infezione, proteggendo se stessi e gli altri, seguendo alcuni accorgimenti». Tra questi, «lavati spesso le mani (dopo aver tossito/starnutito, dopo aver assistito un malato, prima durante e dopo la preparazione di cibo, prima di mangiare, dopo essere andati in bagno, dopo aver toccato animali o le loro deiezioni o più in generale quando le mani sono sporche in qualunque modo)». Una nota particolare riguarda l’uso di dispositivi di protezione individuali, per i quali l’Iss sostiene che «non è raccomandato l’utilizzo generalizzato di mascherine chirurgiche in assenza di sintomi».
Dunque, uno sguardo ad un eventuale trattamento antivirale, in merito al quale l’Iss chiarisce che «non esistono trattamenti specifici per le infezioni causate dai coronavirus e non sono disponibili, al momento, vaccini per proteggersi dal virus. La maggior parte delle persone infette da coronavirus comuni guarisce spontaneamente». Più nel dettaglio, «riguardo il nuovo coronavirus 2019-nCoV, non esistono al momento terapie specifiche, vengono curati i sintomi della malattia (così detta terapia di supporto) in modo da favorire la guarigione, ad esempio fornendo supporto respiratorio».
I bambini con livelli più alti di esposizione all’inquinamento atmosferico da traffico alla nascita avevano riduzioni a 12 anni del volume della materia grigia e dello spessore corticale rispetto ai bambini con livelli più bassi di esposizione. Sono le conclusioni di uno studio portato a termine dai ricercatori del Cincinnati Children’s Hospital Medical Center, struttura sanitaria operante negli Stati Uniti. I ricercatori dello studio, pubblicato sulla rivista scientifica Plos One, hanno utilizzato la risonanza magnetica per ottenere immagini anatomiche del cervello da 147 bambini dell’età di 12 anni. Questi bambini sono un sottoinsieme di un precedente studio sull’allergia e l’inquinamento dell’aria nell’infanzia di Cincinnati, che ha reclutato volontari prima dei sei mesi per esaminare l’esposizione all’inquinamento atmosferico da traffico e gli esiti di salute della prima infanzia.
I volontari avevano livelli di esposizione da inquinamento atmosferico da traffico alti o bassi durante il loro primo anno di vita. I ricercatori hanno stimato l’esposizione utilizzando una rete di campionamento dell’aria di 27 siti nell’area di Cincinnati e il campionamento 24/7 è stato condotto contemporaneamente in quattro o cinque siti in diverse stagioni. I bambini partecipanti hanno completato le visite cliniche all’età di 1, 2, 3, 4, 7 e 12 anni. Precedenti studi relativi all’inquinamento atmosferico da traffico suggeriscono che contribuisce alle malattie neurodegenerative e ai disturbi dello sviluppo neurologico. Questo lavoro sostiene dunque che l’inquinamento atmosferico da traffico cambia la struttura del cervello nelle prime fasi della vita.
Le cellule tumorali immagazzinano i lipidi in piccole vescicole intracellulari chiamate “goccioline lipidiche”. Le cellule tumorali caricate con lipidi sono più invasive e quindi hanno maggiori probabilità di formare metastasi. È la conclusione a cui sono giunti i ricercatori dell’Istituto di ricerca sperimentale e clinica dell’Università di Lovanio, in Belgio, i quali hanno cercato di comprendere in che modo si formano le metastasi da un tumore.
Gli studiosi hanno identificato un fattore chiamato TGF-beta2 come interruttore responsabile sia della conservazione dei lipidi che della natura aggressiva delle cellule tumorali. Sembra che i due processi si rafforzino a vicenda. Infatti, accumulando lipidi, più precisamente acidi grassi, le cellule tumorali accumulano riserve di energia, che possono quindi utilizzare secondo necessità durante il loro corso metastatico.
Era già noto che l’acidità riscontrata nei tumori favorisce l’invasione da parte delle cellule tumorali del tessuto sano. Il processo richiede il distacco della cellula cancerosa dal suo sito di ancoraggio originale e la capacità di sopravvivere in tali condizioni (che sono fatali per le cellule sane). La nuova scoperta dei ricercatori ha dimostrato che questa acidità promuove, attraverso lo stesso “interruttore” TGF-beta2, il potenziale invasivo e la formazione di goccioline lipidiche. Questi forniscono alle cellule invasive l’energia di cui hanno bisogno per muoversi e resistere alle dure condizioni incontrate durante il processo di metastatizzazione. È come un alpinista che prende il cibo e le attrezzature necessarie per raggiungere la vetta nonostante le condizioni meteorologiche complesse.
