Negli ultimi 20 anni, la rapida evoluzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione ha causato un aumento dell’esposizione artificiale ai campi elettromagnetici a radiofrequenza o radiazioni a microonde (RF-EMF), i cui effetti sulla salute sono ancora sconosciuti. Le indagini finora svolte dai ricercatori si sono concentrate sulle funzioni neurocognitive, dato che il cervello è l’organo più fortemente esposto durante una telefonata con cellulare o cordless, e un cervello in via di sviluppo, come è quello delle persone fino ai 15 anni, potrebbe essere particolarmente suscettibile alle alterazioni da RF-EMF. In questa fascia d’età, le funzioni di memoria sono particolarmente importanti perché per l’apprendimento sono necessarie codifica, elaborazione e recupero delle informazioni, e gli adolescenti di oggi probabilmente avranno una più alta esposizione cumulativa a RF-EMF durante tutta la loro vita. Tuttavia gli studi condotti sul tema hanno prodotto risultati incoerenti o controversi, almeno fino ad oggi. A luglio scorso è stato infatti pubblicato, sulla rivista scientifica Environmental Health Perspectives, lo studio HERMES https://ehp.niehs.nih.gov/doi/10.1289/, un’analisi prospettica che ha studiato l’effetto delle radiazioni a microonde derivanti dalle comunicazioni wireless sulla memoria di 895 adolescenti svizzeri, confermando che la dose cumulativa di RF-EMF nel cervello è associata ad una significativa riduzione delle prestazioni della memoria figurale in un periodo di 1 anno, con una diminuzione più marcata osservata negli utilizzatori dell’orecchio destro.
Già alcuni precedenti studi di esposizione controllata, in animali ed esseri umani, avevano trovato prove limitate degli effetti sia positivi che negativi delle onde RF-EMF sulle prestazioni della memoria e sui relativi processi neurali. Tra i pochi studi epidemiologici c’è stato, ad esempio, lo studio australiano MoRPhEUS su una coorte di 317 adolescenti con un’età media di 13 anni, che ha riscontrato risposte più veloci ma meno accurate nella memoria attiva e nei compiti di apprendimento associativo per coloro che facevano un uso frequente del cellulare. Lo stesso risultato è stato però osservato anche in relazione al numero di messaggi di testo (SMS), che coinvolgono un’esposizione a RF-EMF solo marginale, suggerendo quindi che ci siano altri fattori alla base di questo processo.
Tuttavia questo e gli altri precedenti studi usavano come criterio di valutazione unicamente il numero di chiamate effettuate, per altro dichiarato dagli spessi partecipanti (e spesso da questi sovrastimato) o non consideravano i fattori “confondenti” derivanti da uno stile di vita legato all’utilizzo di diversi tipi di media che incidono su cognizione, comportamenti ed emozioni degli individui. L’esposizione personale a RF-EMF dipende non solo dal numero di chiamate effettuate, ma da altri parametri come la durata della chiamata, la distanza del dispositivo dal corpo e la rete utilizzata per la chiamata. Per esempio, il sistema globale per le comunicazioni mobili standard (GSM) produce un’esposizione circa 100-500 volte superiore rispetto al sistema universale di telecomunicazione mobile (UMTS).
Lo studio HERMES, invece, è stato il primo studio del genere che ha utilizzato dosi di RF-EMF modellate individualmente e l’uso di telefoni cellulari è stato misurato sui dati registrati dall’operatore telefonico e non sulle dichiarazioni dei soggetti arruolati. Data la lateralizzazione emisferica della memoria, inoltre, è stata condotta un’analisi di lateralità per la preferenza dell’orecchio delle telefonate, e per controllare i fattori di confondimento dei comportamenti legati all’utilizzo dei media, è stata effettuata un’analisi stratificata per gruppi di media.
I risultati preliminari di questo approccio suggeriscono, dunque, che un’alta esposizione a radiazioni a microonde possono influenzare in modo potenzialmente negativo funzioni cognitive come la memoria figurale, che coinvolge regioni del cervello per lo più esposte durante l’uso del telefono cellulare. Tuttavia tali risultati non forniscono prove conclusive degli effetti causali e dovrebbero essere interpretate con cautela fino a conferma in altre popolazioni. Inoltre le associazioni con parametri di utilizzo dei media con esposizioni RF-EMF basse non hanno fornito un supporto chiaro o coerente degli effetti dell’uso dei media non correlato a RF-EMF, con la possibile eccezione di associazioni positive (non statisticamente significative) coerenti tra memoria verbale e durata del traffico dati. Non è ancora chiaro quali processi cerebrali potrebbero essere interessati e quale meccanismo biofisico possa svolgere un ruolo in questa associazione.
Il potenziale rischio a lungo termine può essere però ridotto al minimo evitando situazioni di esposizione cerebrale elevata come accade quando si utilizza un telefono cellulare con la massima potenza vicino all’orecchio a causa, ad esempio, di una cattiva qualità della rete.
Autore: L'Incontro
Il servizio informativo per i pazienti del Centro "L'Incontro" a Teano (CE).
Uno dei problemi degli ultimi decenni, e non ancora noto ai più, è quello relativo all’elettrosmog. La criticità nasce dal fatto che non è una minaccia immediatamente percepibile con i sensi normali, e allora, per molti, è “come se non esistesse”. Eppure c’è e crea disagi importanti a una crescente fetta della popolazione mondiale.I sintomi da inquinamento elettromagnetico possono iniziare con un semplice ronzio o formicolio alle orecchie, fino ad arrivare all’impossibilità di stazionamento nelle vicinanze di un’area all’interno della quale si trovi un ripetitore. Ci sono persone che addirittura hanno dovuto rinunciare ad una vita “normale”, lasciando tutto per trasferirsi in aree rurali non contaminate da questa nuova forma di inquinamento. Sì, perché per alcuni soggetti elettrosensibili, la situazione può diventare talmente insostenibile, da creare danni permanenti al corpo e alla mente. E se queste persone fossero semplicemente più sensibili, individui che hanno scoperto sulla propria pelle la reale pericolosità dell’elettromagnetismo? Se il loro fisico fosse semplicemente più allenato a riconoscere e rigettare qualcosa che fa male e che potrebbe trasformarsi in un allarme senza possibilità di ritorno?Gli interessi in gioco sono tanti, in quanto questa nuova forma di inquinamento riguarda interessi molto importanti all’interno di lobbies industriali legate alle telecomunicazioni, settore questo che rappresenta ormai il business del secolo (a partire dagli ultimi decenni dello scorso). Gli studi effettuati a livello indipendente dai ricercatori indicano una pericolosità crescente rappresentata dall’elettrosmog, caratteristica questa che suggerisce la necessità, da parte della popolazione, di tutelarsi a fronte della sovraesposizione alla quale tutti siamo sottoposti giornalmente (pensiamo soltanto a un router wifi domestico o a un telefono cellulare), spesso per ore e, nel caso di permanenza nei grandi agglomerati urbani, che prevedono la presenza di antenne e ripetitori addirittura sui tetti dei palazzi, continua. Va da sé che i grandi gruppi industriali non solo non siano interessati a divulgare tesi che ne dichiarino la nocività, quanto piuttosto supportino studi contrari, volti a dimostrare l’impossibilità di misurare reazioni pericolose dovute alla sovraesposizione elettromagnetica. Eppure, sono ben noti i casi che hanno affollato le pagine di cronaca degli ultimi tempi, che hanno associato, ad esempio, un’incidenza di patologie tumorali concentrate in aree in cui erano posti ripetitori e antenne. il problema è stato riconosciuto come tale anche dall’ Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che ha definito le onde elettromagnetiche come “potenzialmente cancerogene”. Molte sono le associazioni che vanno avanti, in maniera indipendente, che pubblicano studi a supporto delle tesi a sostegno della pericolosità di questa forma di inquinamento senza scorie visibili e che informano la popolazione sui reali pericoli e le petizioni in corso. Per citarne una, possiamo fare riferimento a A.M.I.C.A., Associazione per le Malattie da Intossicazione Cronica e/o Ambientale (www.infoamica.it), che, appena si è insediato il nuovo Governo, si è attivata chiedendo a tutti i parlamentari nuovi limiti di legge che rendano sicure per la salute le esposizioni elettromagnetiche emesse da cellulari, Wi-Fi e per chiedere il blocco immediato della sperimentazione della tecnologia 5G. L’associazione ricorda, inoltre, che lo scorso 13 Settembre, 180 scienziati hanno lanciato un appello alla Commissione Europea per chiedere il blocco della sperimentazione delle frequenze 5G per i pericoli che queste possono comportare in aggiunta ai rischi prodotti dalle attuali tecnologie 2G, 3G, 4G e Wi-Fi.L’Assemblea Plenaria del Consiglio d’Europa già nel 2011 con la Risoluzione 1815, approvata all’unanimità, impegnava i paesi membri a ridurre le fonti di esposizione alla radiofrequenza di cellulari e Wi-Fi a favore di forme di connessioni via cavo che sono le uniche davvero innocue e per giunta le più efficaci in termini di capacità di trasmissione.Eppure, l’informazione procede a rilento rispetto alla forza delle lobbies, e il mondo va avanti, seguendo sempre la stessa direzione, ignorando quasi sempre i richiami e le grida d’allarme lanciate dagli esperti che, consigliano alla popolazione di trovare comunque il modo di proteggersi.Ma come tutelarsi, dunque, a fronte di una mancanza di protezione da parte delle istituzioni stesse? Il giornalista Maurizio Martucci ha scritto un libro inchiesta, intitolato “Manuale di difesa per elettrosensibili, come sopravvivere all’elettrosmog di cellulari, Wi-Fi e antenne di telefonia mobile, mentre arrivano 5G e Wi-Fi dallo spazio”, nel quale spiega a livello tecnico in cosa consistano le onde elettromagnetiche e quali siano problemi pratici a cui si va incontro nel corso di una sovraesposizione. Sono riportate numerose testimonianze da parte di cittadini elettrosensibili e vengono analizzate le opinioni di medici ed esperti, che raccontano, dal punto di vista di “addetti ai lavori” quali siano le conseguenze sul corpo umano e cosa fare per limitare l’assorbimento delle onde elettromagnetiche nell’organismo. Il primo passo? Il diritto di essere informati.
Assosalute, l’associazione nazionale farmaci di automedicazione, di Federchimica, ha pubblicato i consigli per difendersi dalle allergie della polvere, con particolare attenzione alla proliferazione degli acari, con l’accensione del riscaldamento.
Anche l’autunno, infatti, come la primavera, può riservare brutte sorprese per i soggetti allergici. «Per quanto la casa rappresenti un rifugio sicuro nel quale ritirarsi – spiega Assosalute -, tanto più quando fuori piove e comincia a far freddo, purtroppo l’umidità, gli ambienti chiusi e meno arieggiati e la polvere possono scatenare, nei soggetti predisposti, una reazione allergica improvvisa: riniti, congiuntiviti fino a veri e propri attacchi d’asma che, soprattutto nei più piccoli, è bene non sottovalutare, perché come tutte le allergie possono peggiorare se non vengono affrontate adeguatamente».
Anche l’accensione dei riscaldamenti «favorisce la formazione della polvere e quindi la proliferazione di colonie di acari, tra i principali responsabili delle allergie».
La prevenzione della proliferazione degli acari passa attraverso alcune buone abitudini, di cui Assosalute si fa portatrice. In particolare, la pulizia dei caloriferi prima dell’accensione invernale dei riscaldamenti, al fine «di preservarne la loro resa termica ma anche per mantenere in casa una buona qualità dell’aria, fondamentale per evitare allergie soprattutto se già si soffre di problemi respiratori». Il secondo consiglio è di utilizzare fodere anti-acaro, rivestendo i materiali e i cuscini e proteggerli dalla penetrazione degli acari. Successivamente, ridurre al minimo la presenza di tappeti, piumini, poltrone imbottite e peluche. Arieggiare più volte al giorno i locali, anche se fuori fa freddo.
Per quanto riguarda l’aspirapolvere, sarebbe utile scegliere quelli dotati di filtri che impediscono la diffusione degli allergeni. A tal proposito, l’associazione suggerisce di «eliminare la polvere con frequenza». Anche le pulizie richiedono una buona attenzione, mediante l’uso di un panno umido che non disperda la polvere, e quindi, gli allergeni nell’ambiente. Infine, due consigli che, seppur scontati, aiutano alla riduzione degli acari, ovvero «lavare frequentemente, ad alte temperature, la biancheria da letto» ed «esporre all’aria cuscini e coperte».
Molte persone affette da acne percepiscono uno stigma sociale che influenza negativamente la loro qualità di vita, al punto da minarne la salute psicologica e fisica. A soffrire maggiormente tali conseguenze è il sesso femminile, le donne infatti avvertono più sintomi rispetto agli uomini. A rivelarlo sono i ricercatori dell’Università irlandese di Limerick, che hanno pubblicato su PLOS ONE i risultati di un sondaggio effettuato su 271 persone affette da acne. Per gli intervistati, la personale percezione negativa sulla considerazione che la società ha del loro aspetto è associata a livelli più elevati di stress psicologico e a ulteriori sintomi fisici come disturbi del sonno, mal di testa e problemi gastrointestinali. Le donne dello studio hanno riportato una compromissione della qualità della vita persino maggiore, con una significativa correlazione tra gravità dell’acne e peggioramento della qualità della vita riferibile alla salute psico-fisica. Coloro che percepivano alti livelli di stigma della propria acne hanno anche riportato livelli più elevati di disagio psicologico, ansia e depressione, nonché condizioni somatiche come disturbi respiratori. ‹‹Sappiamo dalla ricerca precedente che molti pazienti affetti da acne provano sentimenti negativi rispetto alla loro condizione, ma non siamo mai stati in grado di tracciare un legame diretto tra qualità della vita e percezione dello stigma sociale rispetto all’acne. – Ha spiegato uno degli autori dello studio, il dottor Aisling O’Donnell del Dipartimento di Psicologia e Centro per la ricerca sui problemi sociali dell’università irlandese – I risultati di questo studio riecheggiano quelli di ricerche precedenti che dimostrano che gli individui con distinzioni fisiche visibili, considerate negative dalla società, possono sperimentare una compromissione del benessere psicologico e fisico››.
Secondo l’autore principale dell’articolo, il dottor Jamie Davern, la mancanza di rappresentazione nella cultura popolare delle persone con acne può aumentare lo stigma percepito intorno a questa condizione: ‹‹Come molti attributi fisici che sono stigmatizzati, l’acne non è ben rappresentata nella cultura popolare, nella pubblicità o sui social media. Ciò può portare le persone che soffrono di questo problema a sentirsi “anormali” e quindi guardate negativamente dagli altri. Le campagne online come #freethepimple e il recente movimento “acne-positivo” sui social media, rappresentano quindi uno sviluppo incoraggiante per le persone di tutte le età che si sentono stigmatizzare››.
Anche se ad essere più comunemente colpiti da acne sono gli adolescenti, si stima che questa condizione affligga anche il 10,8% dei bambini di età compresa tra i 5 e i 13 anni e il 12,7% degli adulti di età superiore ai 59 anni.
‹‹È giusto sottolineare che i nostri risultati forniscono ulteriore supporto alla quantità relativamente limitata di studi che esaminano i problemi di salute fisici vissuti da persone affette da acne. Tali informazioni sono importanti per i medici che si occupano di questa condizione e per coloro che sono vicini a quelli che ne soffrono. Il forte impatto negativo che sperimentano alcuni pazienti affetti da acne è molto impegnativo da gestire e richiede sensibilità e sostegno››, ha concluso Davern.
L’8 settembre 2018 si è celebrata la Giornata Mondiale della Fisioterapia, momento per ricordare questa importante disciplina praticata già dal 480 a.C. da Ippocrate, padre della medicina, che concepì vari trattamenti tra cui il massaggio, la manipolazione e l’idroterapia. Ebbene, a distanza di migliaia di anni, la fisioterapia resta uno dei pilastri per il trattamento di determinate patologie, acute e croniche. Tuttavia spesso è difficile districarsi nei meandri di questo settore e per questo motivo, l’Associazione Italiana Fisioterapisti (Aifi), ha pubblicato un decalogo per agevolare i pazienti nella conoscenza delle regole fondamentali.
La prima regola fondamentale è affidarsi alla persona giusta, ovvero rivolgersi ad un fisioterapista qualificato che abbia ottenuto almeno una laurea triennale in fisioterapia. Successivamente, verificare che il fisioterapista sia sempre aggiornato sulle nuove tecniche e metodiche. Assicurarsi che il fisioterapista frequenti dei corsi di aggiornamento con regolarità. Richiedere al professionista un’approfondita diagnosi medico strumentale e costanti valutazioni per verificare i progressi fisici. Non aspettare che il dolore diventi insopportabile, è fondamentale avviare il processo riabilitativo quanto prima per evitare complicazioni.
Un altro aspetto importante è che si deve avere pazienza, la fretta di recuperare è un’acerrima nemica del lungo percorso riabilitativo.
Altrettanto fondamentale è seguire pedissequamente le istruzioni e i consigli del fisioterapista, che aiuteranno il recupero e la guarigione definitiva.
Infine, ultimi ma non meno importanti, svolgere i “compiti a casa” assegnati dal fisioterapista, come esercizi fisici e di recupero funzionale e, sia durante i trattamenti, sia nella vita di tutti giorni, condurre uno stile di vita sano e attivo e mantenere un’alimentazione equilibrata.