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Danno cardiaco, causato anche da bassi livelli di smog

Le persone esposte a bassi livelli di inquinamento dell’aria possono essere maggiormente predisposti a modifiche strutturali del cuore, a loro volta precursori di insufficienza cardiaca. E’ quanto emerso in un recente studio britannico.
Mentre l’esposizione all’inquinamento dell’aria è stata da tempo collegata ad un incrementato rischio di attacchi cardiaci ed infarti, meno è risaputo su come gli inquinanti possono alterare la struttura e la funzionalità cardiaca.
I ricercatori dello studio, pubblicato sulla rivista scientifica “Circulation”, hanno analizzato i dati sull’esposizione all’inquinamento dell’aria correlato al traffico e i risultati delle risonanze magnetiche di 3.920 adulti senza eventi cardiovascolari.
Ebbene, è stato scoperto che la precedente esposizione a piccole particelle inquinanti conosciute come PM2.5, che includono polvere, sporco, fuliggine, fumo, biossido di azoto – gas velenoso presente nei gas di scarico delle auto -, era associata ad un ispessimento di ambedue le pareti cardiache.
«L’inquinamento dell’aria sembra essere dannoso per la salute del cuore anche se in presenza di bassi livelli di esposizione», ha detto Nay Aung, l’autore dello studio.

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Come riprendere il ritmo ed evitare lo “stress da rientro”?

Le vacanze estive – per chi le ha fatte – sono ormai concluse e anzi  molti le avranno già dimenticate. Il lavoro, i figli, la scuola, le commissioni, oltre che appuntamenti, orari e impegni: tutto ritorna esattamente come prima.
E’ facile tornare alla “routine” senza problemi di nessuna sorte, tuttavia, molte persone potrebbero andare incontro a piccoli disturbi legati alla cosiddetta “sindrome da rientro”, che si manifesta con ansia, insonnia, nervosismo, mal di testa e irritabilità, ma anche tensioni muscolari, eccesso di sudorazione e tachicardia.
Per questo motivo, Assosalute, l’Associazione nazionale farmaci di automedicazione, ha pubblicato un elenco di rimedi per evitare questi piccoli disturbi transitori.
Il primo dei consigli per evitare stress e ansia è quello di «tornare con qualche giorno di anticipo rispetto all’inizio del lavoro, concedendosi almeno un giorno di “cuscinetto”». Questo metodo consente di riabituarsi gradualmente ai ritmi sia di casa che al lavoro e a preparare psicologicamente la propria mente.
Un altro suggerimento è quello di tenere d’occhio la corretta alimentazione. Per mitigare gli effetti dello stress da rientro, infatti, bisogna «adottare un’alimentazione sana e leggera con un sufficiente apporto di vitamine, sali minerali e liquidi, di aiuto contro le difficoltà del rientro».
Non manca il suggerimento di rimettersi in forma praticando sport regolare. In pratica «sfruttare ancora il bel tempo di settembre per andare a fare una corsa o un allenamento all’aria aperta».
Infine, suggerimento ultimo ma non meno importante, è quello di riprendere la regolarità del sonno. Secondo Assosalute infatti «spesso d’estate si rimane svegli più a lungo, facendo le cosiddette “ore piccole” ed è importante, quindi, tornati a casa, andare a letto prima e impostare la sveglia ogni mattina alla stessa ora per riadattare i ritmi del sonno fino alla normalità».

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Corretta idratazione per ripartire a scuola col piede giusto

Tornare sui banchi di scuola è un’impresa ardua, soprattutto dopo un lungo periodo di vacanza. Tuttavia, secondo un recente studio, per poter riaprire l’anno scolastico correttamente, è necessario assumere una buona quantità di acqua, al fine di garantire una giusta idratazione.
E’ quanto riportato dall’agenzia Ansa, citando la dichiarazione di Alessandro Zanasi, esperto dell’Osservatorio Sanpellegrino e dell’International Stockholm Water Fundation: «Una corretta idratazione a base di magnesio, che ha un ruolo chiave nel regolare l’umore e lo stress – spiega l’esperto – può aiutarci ad affrontare al meglio il rientro sui banchi e i suoi effetti sul nostro corpo”. Effetti che sono “calo di energia ed efficienza, disturbi dell’umore, difficoltà di concentrazione o insonnia».
«Dato che nei bimbi il senso della sete è meno sviluppato che negli adulti, è fondamentale educarli a bere fin da piccoli: “Già con una moderata disidratazione, ovvero una perdita di circa il 2% del peso corporeo – conclude Zanasi – si va incontro a mal di testa e stanchezza, cui si possono associare riduzione della concentrazione, dell’attenzione, della memoria a breve termine e di esecuzione anche di compiti semplici”».

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«Il fumo aumenta il rischio di demenza», i risultati di uno studio

Da oggi i fumatori hanno un motivo in più per smettere di fumare: è stato visto infatti che può ridurre il rischio di demenza.
E’ quanto emerso da uno studio portato a termine in Corea del Sud, che ha interessato 46.140 fumatori a partire dai 60 anni di età, seguiti per otto anni con controlli periodici. Nel corso dello studio, a 1644 persone, è stato diagnosticato l’Alzheimer o un altra forma di demenza.
Dopo aver analizzato età, indice di massa corporea, pressione sanguigna, attività fisica e altre caratteristiche legate alla salute e all’ambiente, lo studio ha rilevato che meno le persone hanno fumato, meno erano soggette a demenza. Comparando i risultati con i fumatori abituali, gli uomini che avevano smesso di fumare da quattro anni hanno avuto un rischio del 13% inferiore, mentre, coloro che avevano smesso di fumare da più di quattro anni, avevano un rischio inferiore del 14%, i non fumatori, infine, avevano infine un rischio di sviluppare demenza del 19% più basso.
I ricercatori dello studio pubblicato sulla rivista “Annals of Clinical and Transitional Neurology” hanno dichiarato che la ricerca non ha tenuto conto del livello educazionale dei soggetti interessati, fattore di rischio per la demenza, e che il periodo di otto anni potrebbe non esser stato abbastanza sufficiente per identificare tutti i casi di demenza, essendo una patologia che si sviluppa lentamente.
Il direttore dello studio, Dr. Choi, della Facoltà di Medicina dell’Università degli Studi di Seoul, ha sottolineato che «il fumo non era noto come fattore di rischio per la demenza. I recenti ritrovamenti, tuttavia, suggeriscono che smettere di fumare o ridurre il fumo potrebbe aiutare a ridurne il rischio».

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Il divieto di fumare in casa potrebbe rendere più facile smettere

Il Dipartimento per gli Alloggi e lo Sviluppo Urbano (HUD) degli Stati Uniti ha recentemente stabilito il divieto di fumo di sigarette, sigari e pipe all’interno di appartamenti, aree comuni e spazi esterni entro 8 metri dalle case popolari; il divieto attualmente non copre le sigarette elettroniche.
L’obiettivo principale del divieto è quello di migliorare la qualità dell’aria interna e ridurre l’esposizione dei residenti al fumo passivo, ma secondo un recente studio pubblicato su PLOS One, questo tipo di iniziative possono anche aiutare i fumatori a basso reddito ad avere più successo nel tentativo di smettere di fumare.
I ricercatori hanno analizzato i dati di un sondaggio nazionale sulle abitudini al fumo della popolazione, ai partecipanti veniva richiesto se il fumo fosse permesso nelle loro case e se avessero provato o fossero riusciti a smettere in un periodo di 10 anni, dal 2002 al 2011; essi hanno poi esaminato altri fattori che possono influire sulla cessazione, come reddito e istruzione.
Secondo lo studio, i fumatori benestanti avevano quasi il doppio delle probabilità di riuscire a smettere per almeno 30 giorni rispetto ai fumatori a basso reddito. Le persone che abitavano in case dove non era possibile fumare avevano il 60% in più di probabilità di smettere di fumare per almeno 30 giorni rispetto alle persone senza questo divieto. Tuttavia, la prevalenza di case senza fumo era del 33% più bassa tra le persone a basso reddito che tra le persone più abbienti.
“Abbiamo scoperto che ridurre il consumo di sigarette e simili predice una cessazione totale. – Ha dichiarato l’autrice principale dello studio, la dott.ssa Maya Vijayaraghavan dell’Università della California, a San Francisco – Il divario nei risultati di cessazione tra individui con reddito inferiore e superiore potrebbe essere ridotto fino al 36% se le persone con reddito più basso abitassero in case prive di fumo. E si tratta di una riduzione sostanziale del divario a livello di popolazione”.
Abitare in case dove non è consentito fumare potrebbero aiutare a smettere del tutto, rendendo più difficile per i fumatori accendersi una sigaretta quando vogliono. I fumatori potrebbero anche ridurre il fumo perché è meno conveniente, e quindi ridurre potrebbe a sua volta rendere più facile smettere.
Durante il periodo di studio, poiché sempre più persone in tutto il Paese hanno iniziato a vivere in case senza fumo, più persone hanno smesso di fumare per più di un mese, e quelli che non hanno smesso hanno ridotto il numero di sigarette.
Lo studio non era un esperimento controllato progettato per dimostrare se o come le case senza fumo potessero direttamente causare l’abbandono dell’abitudine al fumo, “eppure questi risultati si aggiungono a una grande quantità di prove che suggeriscono che un alloggio senza fumo può rendere più facile per i fumatoro smettere – ha confermato Judith Prochaska, ricercatrice presso la Stanford University in California che non è stata coinvolta nello studio – Vedere fumare altre persone per strada o nei parchi può scatenare la voglia di fumo, ma è più facilmente controllabile rispetto a quando si è nella propria residenza. Vivere in una casa dove non è consentito fumare rimuove gli stimoli che attivano la voglia di accendere la sigaretta (ad esempio, vedere e annusare una sigaretta, vedere accendini, posacenere, pacchetti di sigarette) e rimuove l’esposizione al fumo passivo. Il fumo passivo, sia di seconda che di terza mano, lasciato su superfici come tappeti e tende contiene sia nicotina che sostanze cancerogene, e ad oggi non è disponibile alcuna forma di ventilazione e filtrazione che possa rimuovere efficacemente l’esposizione al fumo negli ambienti interni”.
La sola abitazione senza fumo potrebbe però non essere sufficiente a indurre le persone a smettere, dunque “queste politiche abitative sul divieto di fumo in casa devono essere accompagnate da ulteriori forme di aiuto alla cessazione, come per esempio la promozione di linee di assistenza per smettere di fumare o l’accesso a farmaci efficaci”, ha puntualizzato il dottor Carlos Roberto Jaen del Centro di Scienze sanitarie dell’Università del Texas a San Antonio.