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Casa fredda: qual è l’impatto sulla nostra salute?

Se viviamo in ambienti domestici in cui la temperatura non supera i 10°C, cosa succede al nostro corpo? L’aria fredda ha un impatto non trascurabile su cuore, polmoni e cervello. A certificarlo sono diversi esperimenti scientifici condotti in laboratorio e che studiano il rapporto tra organismo umano e temperatura ambientale.

Temperatura corporea e temperatura esterna.

Affinché gli organi vitali possano funzionare bene e regolarmente l’ideale è mantenere una temperatura corporea media di 37°C. Se la temperatura esterna comincia a scendere sotto i 18°C, il nostro corpo lavora per “difendere” i 37°C che gli permettono di funzionare al meglio. A causa degli ormoni estrogeni le donne tendono a sentire il freddo più degli uomini. I loro vasi sanguigni nelle mani e nei piedi hanno maggiori probabilità di restringersi, aumentando di conseguenza la sensibilità femminile alle basse temperature. Da 21°C a 10°C: come reagisce il nostro corpo. In un esperimento di laboratorio guidato dal prof. Damian Bailey, Università del Galles del Sud, i partecipanti, posizionati all’interno di una stanza, sono stati sottoposti a un abbassamento della temperatura ambientale da 21°C a 10°C in 30 minuti. Abbigliati volutamente con indumenti leggeri e pressoché estivi, hanno cominciato ad avvertire “freddo”, e quindi a tremare per generare calore, quando la temperatura è scesa intorno agli 11-10°C.

Stare al freddo in una stanza: ecco cosa succede.

In base ai dati registrati in questo esperimento, i ricercatori hanno rilevato che Il flusso sanguigno al cervello diminuisce del 20%. Ciò significa che a rallentare sono anche le nostre performance cognitive, perfino quelle necessarie per risolvere banali esercizi di associazione (come dimostrato dall’esperimento di Bailey). Cresce il ritmo della respirazione e la pressione arteriosa media, che passa da 99 a 110 mmHg. Il battito cardiaco si intensifica, aumentando da 55 a 65 battiti al minuto. La temperatura media delle estremità (testa, gambe, braccia comprese) scende di 2°C.

Basse temperature e pressione arteriosa.

A fronte di un abbassamento della temperatura esterna e della conseguente sensazione di freddo, il nostro organismo reagisce aumentando battiti cardiaci e pressione sanguigna pur di conservare una temperatura corporea interna di 37°C. Tuttavia è proprio questo “superlavoro” del sistema cardiocircolatorio a rappresentare un fattore di rischio per l’insorgere di ictus e infarti. Inoltre, più la temperatura esterna al nostro corpo scende, più il flusso sanguigno tende a densificarsi, favorendo la formazione di eventuali coaguli arteriosi nei soggetti più predisposti (anziani e cardiopatici).

Come difendersi dal freddo in casa.

Se non possiamo mantenere una temperatura domestica di 18°C, allora bisogna riscaldarsi in altro modo, adottando altre strategie. Per esempio, è sempre bene indossare capi che garantiscono un buon isolamento termico, come gli indumenti in lana. Guanti e calze sono più importanti di un berretto, nonostante un cappello in lana aiuti a sua volta a proteggersi dal freddo (anche quello percepito all’interno di una stanza). Introdurre una maggiore quantità di carboidrati nella dieta e fare più movimento in casa sono tutte misure che contribuiscono a difendersi, almeno in parte, dal freddo casalingo.

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Controllo del peso, attenzione all’apporto eccessivo di grassi

Una dieta troppo ricca di grassi (o lipidi) è una delle cause principali dell’aumento di peso. Il motivo è molto semplice. I grassi hanno più del doppio delle calorie di carboidrati e proteine e un loro abuso porta più facilmente al sovrappeso. Se infatti ogni grammo di carboidrati o di proteine apporta 4 calorie, un grammo di grassi equivale a ben 9 calorie. Ciò significa che a parità di peso, un alimento molto ricco di grassi, porta all’assunzione di molte più calorie di un cibo proteico o a base di carboidrati. Pertanto una piccola porzione di cibo ad alto contenuto di grassi sarà molto calorica, meno saziante ma più ingrassante, inducendo chi la consuma ad aumentare le dosi per raggiungere il senso di sazietà. Bisogna quindi conoscere bene il contenuto di ogni alimento, leggendo le etichette se confezionato, e ridurre i condimenti che si aggiungono quando si cucina o si è a tavola. Il contenuto di lipidi è generalmente molto basso nella maggior parte della frutta e della verdura, della carne bianca e del pesce magro, mentre si alza nei formaggi, nella carne rossa e trasformata e nella frutta secca in guscio. Gli alimenti più ricchi di lipidi sono i grassi da condimento, come olio, burro e salse.

Limitare i lipidi senza bandirli.

Se come visto è fondamentale mantenere un consumo di grassi entro certi limiti, ciò non significa che i lipidi vadano eliminati dall’alimentazione. Niente di più sbagliato, perché si tratta di sostanze che svolgono funzioni fisiologiche molto importanti come gli altri nutrienti. Secondo l’Istituto superiore di sanità (Iss) sono tre le funzioni principali che i lipidi assolvono nell’organismo. «I lipidi – spiegano gli esperti dell’Iss – hanno un ruolo energetico essendo un’importante riserva di energia per il corpo e un ruolo strutturale, in quanto componenti fondamentali delle membrane cellulari in tutti i tessuti. Hanno poi un’azione funzionale e regolatoria, perché sono indispensabili alla cellula per il suo normale funzionamento e sono precursori di molte sostanze che svolgono una funzione regolatoria in diversi apparati del corpo». Vanno quindi integrati nella dieta in modo razionale e consapevole.

Le linee guida alimentari.

L’Istituto superiore di sanità precisa che «secondo le linee guida per una corretta alimentazione, il 20-35% delle calorie giornaliere dovrebbe provenire dai grassi, di cui non più del 10% da grassi saturi. È stato dimostrato, infatti, che maggiori assunzioni di grassi saturi possono portare a un aumento dei livelli di colesterolo nel sangue, incrementando il rischio di malattia cardiovascolare. Eccedere nella quantità di grassi, al di fuori delle raccomandazioni fornite dalle linee guida, significa eccedere anche con le calorie. Tuttavia, avere un buon apporto di grassi nella dieta è di fondamentale importanza per le funzioni che essi svolgono e perché, senza di essi, non sarebbe possibile assorbire alcune vitamine liposolubili, come la A, D e E, e introdurre alcuni acidi grassi essenziali, come quelli della serie omega-3 e omega-6 che non possono essere prodotti dall’organismo e devono, quindi, essere introdotti attraverso la dieta».

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Mal d’orecchio nei bambini: come riconoscerlo e curarlo

Le infezioni alle orecchie sono generalmente dovute a batteri o a virus. Spesso sono collegate a mal di gola, raffreddore, influenza o altri stati infettivi dell’apparato respiratorio. Un orecchio infettato da un virus o da batteri tende a gonfiarsi e a formare un accumulo di liquido dietro il timpano. Tutta l’area infetta genera una certa sofferenza, da cui la denominazione “mal d’orecchio” nel linguaggio di uso comune.

Sintomi di un mal d’orecchio.

Esistono tre tipi di infezioni all’orecchio, ognuna con sintomi specifici combinati fra loro. L’otite media acuta è l’infezione auricolare più comune. Parti dell’orecchio medio sono infette e gonfie di liquido dietro il timpano, causando dolore in chi ne è affetto. Nei bambini spesso questi sintomi sono accompagnati da febbre, disturbi del sonno e pianti dovuti al dolore provato. L’otite media con versamento, è una sorta di “prolungamento” della precedente, qualora rimanga del liquido a stagnare dietro il timpano una volta guarita l’infezione. Questa seconda categoria di mal d’orecchi potrebbe manifestarsi senza sintomi evidenti. Tuttavia il medico di base sarà in grado di diagnosticarla tramite l’otoscopio, uno strumento tecnico che illumina in profondità la parte interna dell’orecchio. L’otite media cronica con versamento si verifica quando il liquido dell’infezione permane nell’orecchio medio per lungo tempo o tende a riformarsi anche quando l’infezione è guarita. Può condizionare il senso dell’udito.

Come curare un mal d’orecchio.

Una volta visitato l’orecchio dolorante tramite otoscopio, il medico rileverà o meno la presenza di un’infezione batterica. In tal caso prescriverà degli antibiotici ad hoc, mentre antidolorifici da banco o gocce per le orecchie potranno essere suggerite o prescritte per attenuare la febbre e calmare il dolore.

Come prevenire il mal d’orecchio.

Una delle migliori strategie per prevenire il mal d’orecchio nei bambini, così come negli adulti, è quella di adottare misure anti-raffreddori e anti-influenzali. In famiglia tutti dovrebbero lavarsi spesso le mani per ridurre il rischio di diffusione di germi e batteri. I bambini dovrebbero ricevere il vaccino contro l’influenza ogni anno e sospendere temporaneamente i contatti con amichetti e compagni malati, fintanto che non guariscono.

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Vitamina D, ricavarla dal sole anche in autunno

«La vitamina D è una molecola chiave per la salute». A sostenerlo è la Fondazione Airc per la ricerca sul cancro, che sottolinea come questa sostanza giochi un ruolo primario nella regolazione di molti processi fisiologici. Ciò è dovuto al fatto che essa si lega a un recettore specifico, presente in diverse parti del corpo. «Il recettore – spiega l’Airc – non si trova solo a livello delle cellule dell’apparato scheletrico, ma anche in molti altri tipi cellulari, da quelli del sistema immunitario a quelli di stomaco, rene, prostata e cervello. Non c’è quindi da stupirsi se gli effetti della vitamina D interessino così tanti aspetti della salute umana». Ed è per questo che, per stare bene, è essenziale non esserne carenti.

Il 90 per cento arriva dal sole.

La caratteristica peculiare della vitamina D è il fatto di non essere presente, se non scarsamente, negli alimenti. I cibi più ricchi di questa molecola sono salmone, olio di pesce e tuorlo d’uovo. Esistono poi alimenti ai quali la vitamina D viene aggiunta. Tuttavia, per assumerla a sufficienza le fonti alimentari non bastano. La buona notizia è che, secondo l’Istituto superiore di sanità, ben il 90 per cento del fabbisogno giornaliero si ottiene semplicemente esponendosi al sole. Se quindi nella stagione fredda intemperie e impegni ci obbligano a trascorrere molto tempo in ambienti chiusi, occorre sempre cercare di ritagliarsi del tempo per godere delle ore di sole, per assorbire quanta più vitamina D possibile e per godere degli altri benefici della vita all’aria aperta.

Il ruolo della vitamina D.

Come spiegano gli esperti dell’Airc, «numerosi studi hanno dimostrato che la vitamina D migliora la densità minerale delle ossa, aiuta a prevenire le fratture negli anziani e nelle donne dopo la menopausa ed è anche fondamentale per sostenere il corretto sviluppo dei più piccoli». Secondo uno studio riportato sull’International Journal of Molecular Sciences, inoltre, la carenza di vitamina D potrebbe anche facilitare lo sviluppo di varie malattie oggi molto diffuse, come patologie cardiovascolari, diabete, malattie autoimmuni e cancro. Le ricerche sui benefici di questa molecola sono ancora in evoluzione e metteranno probabilmente in luce nuove evidenze di cui tener conto. Intanto è bene approfittare dei raggi solari e, se necessario, assumere integratori specifici su consiglio del medico o del farmacista di fiducia.

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Una colazione abbondante può aiutare a dimagrire?

Se l’obiettivo è dimagrire, fare un’abbondante colazione per poi mangiare meno a pranzo e a cena potrebbe rivelarsi una strategia sbagliata. Lo sostiene un recente studio scientifico condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università di Aberdeen in Scozia e i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista statunitense Cell Metabolism. Gli scienziati hanno messo alla prova la veridicità della credenza comune secondo la quale, per dimagrire, bisogna fare il carico di energie a colazione, così da consumare meno cibo e calorie durante la restante parte della giornata.

Colazione abbondante vs cena abbondante.

Per dimostrare se tutto ciò sia effettivamente vero, i ricercatori hanno reclutato 16 uomini e 14 donne in sovrappeso, ai quali venivano costantemente monitorati i meccanismi metabolici. I partecipanti all’esperimento sono stati distribuiti in maniera casuale in due diversi gruppi: un gruppo avrebbe assunto più calorie al mattino, l’altro le avrebbe ingerite soprattutto a fine giornata. Le diete prescritte, seguite dai volontari per 4 settimane, prevedevano il 30% di proteine e la stessa quantità di grassi e carboidrati. A un certo punto dell’esperimento entrambi i gruppi hanno sospeso le rispettive diete per poi invertirle l’una con quella dell’altro. In altre parole, il gruppo che faceva una ricca colazione è passato a fare una cena abbondante e, viceversa, il gruppo che si nutriva soprattutto la sera è passato a farlo al mattino.

Risultati dell’esperimento.

In linea generale, i ricercatori hanno rilevato che il consumo energetico e la perdita di peso complessivi erano gli stessi in entrambi i gruppi.  I soggetti hanno perso in media poco più di 3 Kg per regime alimentare seguito. Stando ai dati, dunque, un’abbondante colazione non determina il modo in cui l’organismo metabolizzerà le calorie assunte successivamente. Tuttavia resta vero il fatto che una colazione sostanziosa allenta il senso di fame nell’arco della giornata.

Miti alimentari e scienza.

“Ci sono molti miti sulla nutrizione che non hanno fondamento scientifico – spiega Alexandra Johnstone, scienziata a capo del team di ricercatori di Aberdeen -. I nostri risultati potrebbero essere utili per aiutare le persone a stabilire un regime alimentare appropriato da seguire per perdere peso. È importante sottolineare che, quando si tratta di dieta, è difficile individuare un percorso universale, perché ogni organismo è a sé e risponde in modo singolare. Nei prossimi studi sulla nutrizione sarà importante valutare questi aspetti”.