Passare almeno 120 minuti a settimana nella natura può favorire lo sviluppo di una buona salute e di benessere. Non è solo un modo di dire ma il risultato di un recente studio pubblicato sulla rivista scientifica “Nature”. Il lavoro, dal titolo «Spending at least 120 minutes a week in nature is associated with good health and wellbeing», ha esaminato in che modo in che modo il contatto settimanale con la natura può influenzare la salute e benessere degli individui. Nello studio pubblicato sono stati monitorati 19.806 volontari e osservato il loro contatto settimanale con spazi verdi, riscontrando che per coloro che passavano un tempo pari a 120 minuti a settimana nel verde venivano riportati migliore salute e benessere. Secondo quanto rilevato dai ricercatori, inoltre, le associazioni positive tra ambiente e salute hanno raggiunto un picco in coloro che trascorrevano tra i 200 e i 300 minuti del tempo settimanale in un’area verde.
Come è noto, diversi studi in passato hanno dimostrato che una maggiore esposizione o contatto con ambienti naturali, tra cui parchi, boschi e spiagge, è associata a una migliore salute e benessere. Ciò tra le popolazioni ad alto reddito, in gran parte urbanizzate. Vivere in aree urbane più verdi è associato a minori probabilità di malattie cardiovascolari, obesità, diabete, ricovero in ospedale per asma, distress mentale ed infine mortalità tra gli adulti. Nello studio portato a termine i ricercatori hanno compreso meglio le relazioni tra il tempo trascorso in natura a settimana e la salute personale e il benessere soggettivo. La crescente evidenza di un’associazione positiva tra il contatto con gli ambienti naturali e la salute e il benessere ha portato a richieste per una migliore comprensione di eventuali relazioni esposizione-risposta. L’esposizione è stata definita in termini di minuti riportati in ambienti naturali per attività ricreative negli ultimi sette giorni; e i risultati erano la salute auto-segnalata e il benessere soggettivo.
Ne consegue che, alla luce di quanto evidenziato dai ricercatori, trascorrere quanto più tempo possibile a contatto con la natura, influenza positivamente la salute ed il benessere fisico e mentale.
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Il servizio informativo per i pazienti del centro “L’Incontro” a Teano (CE).
Un recente lavoro portato a termine dai ricercatori dell’università della California riaccende i riflettori sulla correlazione tra esposizione ai pesticidi e salute nell’uomo. Nello specifico, il nuovo studio è uno dei primi a utilizzare l’imaging cerebrale avanzato per rivelare come l’esposizione a sostanze chimiche cambia il cervello. Gli organofosfati sono tra le classi di pesticidi più comunemente utilizzate negli Stati Uniti. Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Proceedings of National Academy of Sciences, ha utilizzato l’imaging funzionale nel vicino infrarosso (fNIRS) per monitorare il flusso sanguigno nel cervello di 95 adolescenti nati e cresciuti nella Salinas Valley in California, dove l’irrorazione agricola dei pesticidi è comune.
Ebbene, rispetto ai loro coetanei, lo studio ha rilevato che gli adolescenti hanno livelli più elevati di esposizione prenatale agli organofosfati hanno mostrato un’alterata attività cerebrale durante l’esecuzione di compiti che richiedono il controllo esecutivo. I ricercatori hanno scoperto a tal proposito che gli adolescenti con una maggiore esposizione prenatale agli organofosfati avevano meno flusso sanguigno verso la corteccia frontale quando erano impegnati in compiti che testano la flessibilità cognitiva e la memoria visiva di lavoro e che avevano più flusso sanguigno verso i lobi parietali e temporali durante i test della memoria di lavoro linguistica.
Si sa poco sulla correlazione tra esposizione ai pesticidi e cervello, quindi non è chiaro perché l’esposizione agli organofosfati sia associata a un’attività cerebrale più bassa per alcuni compiti e attività cerebrale più alta per altri. Tuttavia, modelli simili sono stati osservati in altre condizioni che colpiscono il cervello, incluso il diabete di tipo 1, il Parkinson e l’Alzheimer. «Questi risultati sono convincenti – spiega Sharon Sagiv, professore associato associato di epidemiologia presso l’UC Berkeley e autore principale dello studio -, perché supportano ciò che abbiamo visto con i nostri test neuropsicologici, ovvero che gli organofosfati hanno un impatto sul cervello».
Il 20 agosto 2019, come ogni anno, è stata celebrata la Giornata mondiale della zanzara. L’evento, promosso dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), ha avuto come obiettivo la sensibilizzazione sull’importanza della lotta alla malaria ma anche delle malattie trasmesse da vettori. Nello specifico, secondo quanto riferito dall’Oms, queste patologie interessano il 17% di tutte le malattie infettive provocando oltre 700mila decessi ogni anno, di cui 400mila a causa della malaria. L’evento annuale si celebra per ricordare Ronald Ross, ufficiale medico dell’esercito britannico, che nel 1897 scoprì in India il ruolo cruciale delle zanzare nella catena di trasmissione della malaria. Solo in seguito lo scienziato italiano Giovanni Battista Grassi scoprì che le zanzare responsabili della trasmissione della malaria umana erano del genera Anopheles.
In occasione della giornata l’Istituto superiore di sanità ha evidenziato le regole principali per difendersi dalle zanzare e prevenire la diffusione di una serie di malattie. Nello specifico, di «applicare zanzariere a finestre e porte», «in ambienti chiusi è consigliabile l’utilizzo dei fornelletti a piastrina o a ricarica liquida e devono essere accesi sempre a finestre aperte». Mentre, «all’aperto è preferibile usare zampironi e candele alla citronella». Dunque, «in ambienti come giardini o terrazzi è opportuno indossare indumenti a maniche lunghe e pantaloni». In aggiunta ai primi, l’Iss ha sottolineato che «quando si usano i prodotti insetto-repellenti da applicare sul corpo è necessario leggere attentamente le etichette riportate sulla confezione». A tal proposito, l’Iss sottolinea che «l’uso di un prodotto con una concentrazione di principio attivo insetto-repellente al di sotto del 20% è sufficiente per le nostre latitudini». Sempre in tema, l’Iss ha ricordato che «i prodotti insetto-repellenti da applicare sulla pelle con concentrazioni di principio attivo superiore al 30% vanno usati solo nei Paesi a rischio».
Inoltre, «non utilizzare prodotti insetto-repellenti nei bambini sotto i 2 anni di età. Dai 2 ai 12 anni scegliere accuratamente i principi attivi e limitarsi ad utilizzare una concentrazione del 10% senza superare le 2 applicazioni al giorno e fare in modo che a spalmarle sia sempre un adulto. Dai 12 anni in su nelle nostre latitudini prodotti inferiori al 20% di principio attivo proteggono anche fino a 6 ore», «evitare di applicare prodotti insetto-repellenti insieme alle creme solari e creme idratanti con schermo anti-UV», ed infine «non applicare prodotti insetto-repellenti su tagli, pelle irritata o precedenti punture di zanzara e lavarsi accuratamente le mani dopo l’applicazione».
«Dottore mi può dare questo farmaco senza ricetta?». O ancora, «Dottore me lo dia senza ricetta tanto io lo prendo sempre». Quante volte sono stata pronunciate questa frasi in presenza del farmacista, per chiedere che venisse consegnato un farmaco di cui non si possedeva la prescrizione. Domande a cui il farmacista, tranne le diverse occasioni in cui la normativa prevede chiaramente la possibilità di consegnare farmaci senza ricetta, il farmacista ha risposto con un: «Signora (o Signore) mi dispiace ma non posso darle questo farmaco». Scena che se può essere vista come un fastidioso rifiuto da parte del farmacista, dall’altro invece nasconde un mondo ben diverso e che spesso è sconosciuto ai non operatori del settore.
Come previsto dalla normativa, oltre ai farmaci da banco, vale a dire i farmaci di automedicazione utilizzati per curare piccole patologie transitorie che non richiedono il consulto del medico, esistono migliaia di medicinali che richiedono la prescrizione del medico curante o dello specialista, a causa della loro particolare complessità. Medicinali che non possono essere dispensati dal farmacista sulla base di una semplice richiesta verbale del paziente. Tra i documenti necessari che il paziente deve esibire, vi è la ricetta medica ripetibile e la ricetta medica non ripetibile. Ne consegue che, alla luce della normativa di riferimento, il farmacista è impossibilitato per legge ad erogare un farmaco senza l’eventuale presentazione necessaria.
Ma c’è anche un altro aspetto da considerare, che spesso passa inosservato, non meno importante del primo. Vale a dire la funzione di “protezione” che il farmacista assolve nei confronti del paziente nel momento in cui si trova di fronte alla richiesta di un farmaco senza la relativa prescrizione del medico. In pratica, il farmacista non consegna un farmaco al paziente sprovvisto di prescrizione solo in osservanza della legge, ma anche e soprattutto per salvaguardare la salute del paziente da quei farmaci che, se utilizzati in maniera scorretta – sulla base del libero arbitrio personale -, potrebbero certamente influenzare negativamente la salute provocando forti effetti nocivi a carico dei principali organi come stomaco, fegato, reni ed altri distretti. Altri farmaci, degli ansiolitici e antidepressivi, mettono in condizione il paziente da farne un uso non controllato a causa della dipendenza ed abitudine che provocano sull’organismo.
Dunque, quando il farmacista si “rifiuta” di consegnare un farmaco al paziente non provvisto dell’opportuna prescrizione del medico, non è da vedere come un rifiuto ma come un gesto del farmacista non solo per il rispetto della normativa nell’esercizio della sua funzione sul territorio, a protezione della salute della persona stessa.
Il fumo di sigarette elettroniche, chiamato anche vaping, è stato commercializzato come alternativa sicura alle sigarette di tabacco e sta crescendo in popolarità tra gli adolescenti non fumatori. Tuttavia, una singola sigaretta elettronica può essere dannosa per i vasi sanguigni del corpo – anche quando il vapore è completamente privo di nicotina. È quanto conferma un nuovo studio condotto da ricercatori della Perelman School of Medicine dell’Università della Pennsylvania, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Radiology.
«Mentre il liquido per sigarette elettroniche può essere relativamente innocuo, il processo di vaporizzazione può trasformare le molecole – principalmente glicole propilenico e glicerolo – in sostanze tossiche», ha spiegato il ricercatore principale dello studio Felix W. Wehrli, PhD, professore di Radiologic Science e Biofisica. «Oltre agli effetti dannosi della nicotina, abbiamo dimostrato che lo svapo ha un effetto improvviso e immediato sulla funzione vascolare del corpo e potrebbe potenzialmente portare a conseguenze dannose a lungo termine». In questo studio, i ricercatori hanno esaminato l’impatto di una sigaretta elettronica che conteneva glicole propilenico e glicerolo con aroma di tabacco, ma senza nicotina, da cui i partecipanti allo studio hanno preso 16, tre secondi di sbuffi.
I ricercatori hanno quindi eseguito un’analisi statistica per determinare le differenze di gruppo nella funzione vascolare prima e dopo lo svapo. Hanno osservato, in media, una riduzione del 34 percento della dilatazione dell’arteria femorale. L’esposizione alle sigarette elettroniche ha anche portato a una riduzione del 17,5% del picco del flusso sanguigno, una riduzione del 20% nell’ossigeno venoso e una riduzione del 25,8% nell’accelerazione del sangue dopo il rilascio della cuffia – la velocità con cui il sangue è tornato al flusso normale dopo essere costretto. Questi risultati suggeriscono che lo svapo può causare cambiamenti significativi nel rivestimento interno dei vasi sanguigni, ha detto l’autore principale dello studio Alessandra Caporale, PhD, ricercatrice post-dottorato presso il Laboratory for Structural, Physiologic and Functional Imaging presso Penn.