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Studio conferma: «Sostanze chimiche possono inibire sviluppo del feto»

Per la prima volta, i ricercatori hanno dimostrato che una combinazione di sostanze perfluorurate nella madre inibisce significativamente la crescita del bambino. Come noto, i fluorocarburi sono sostanze chimiche impiegate per la costruzione di numerosi oggetti di uso comune nella vita di tutti i giorni. Ad esempio, per tenere i piedi dei bambini asciutti in stivali impermeabili, oppure evitare che la carne si attacchi alla padella, oppure per facilitare la pulizia del tappeto. Tuttavia, tali prodotti chimici ambientali, hanno una vasta gamma di effetti dannosi, con il più recente risultato di ridurre la crescita nei feti.
È quanto riportato in un recente studio portato a termine dai ricercatori dell’Università di Aarhus, in Danimarca. Nello specifico, gli studiosi hanno esaminato l’effetto cocktail delle sostanze chimiche, portando a risultati che sono sia significativi che allarmanti. In sostanza, spiegano i ricercatori, «le sostanze perfluorurate possono imitare l’ormone estrogeno e possono quindi interrompere i processi ormonali naturali del corpo, incluso lo sviluppo del feto». Nel corso dello studio i ricercatori hanno evidenziato che «la complessa miscela di sostanze perfluorurate nella madre danneggia la crescita e la lunghezza del feto». Fino ad ora, infatti, i ricercatori avevano studiato solo l’impatto delle singole sostanze sul feto, ma non del mix di sostanze, e questi risultati non erano del tutto chiari. Ne consegue che, per limitare gli effetti sul corpo umano, è necessario informarsi preventivamente della presenza di queste sostanze al momento dell’acquisto di oggetti di uso comune, anche al fine di avere un ambiente domestico poco contaminato.

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I residui di farmaci nell’acqua rappresentano un problema ambientale

«Negli ultimi 20 anni sono aumentate le concentrazioni di farmaci nell’acqua potabile di tutto il mondo». È quanto rilevato in uno studio portato a termine un gruppo di studiosi della Radboud University a Nijmegen, in Olanda. In sostanza, i livelli dell’antibiotico ciprofloxacina ha raggiunto il punto di essere potenzialmente causa di effetti dannosi sull’ambiente. In questa direzione, la ricerca svolta è la prima ad esaminare il rischio di due particolari farmaci presenti nelle fonti di acqua dolce a livello globale.
Nello specifico, sono state analizzate le concentrazioni di carbamazepina, un farmaco anti-epilettico, e ciprofoxacina, un antibiotico molto usato per il trattamento di varie patologie. Ebbene, le concentrazioni trovate nelle fonti di acqua sono state da 10 a 20 volte più alte, rispetto al 1995. Ciò a causa dell’incremento dell’utilizzo di tali molecole. «La concentrazione dell’antibiotico ciprofloxacina – spiegano i ricercatori – può essere dannosa per i batteri presenti nell’acqua», in aggiunta a ciò, «tali batteri svolgono un ruolo importante nei vari cicli alimentari». Inoltre, «gli antibiotici hanno anche un impatto negativo sull’efficacia delle colonie batteriche utilizzate nel trattamento delle acque reflue».
L’antibiotico-resistenza è stata inserita nell’agenza dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e nell’Assemblea generale delle Nazioni unite. «Solitamente – spiegano i ricercatori – l’antibiotico-resistenza è considerata un problema nel settore sanitario, poiché i batteri resistenti possono essere diffusi all’interno degli ospedali o attraverso il bestiame», tuttavia, evidenziano, «c’è poca consapevolezza del ruolo dell’ambiente in questo problema, anche se diventa sempre più chiaro che l’ambiente funziona come una fonte di resistenza per vari patogeni».

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Microplastiche, un pericolo per le falde acquifere carsiche

Le acque sotterranee nelle falde acquifere carsiche costituiscono circa il 25% della fonte di acqua potabile al mondo. Lo studio dal titolo “Microplastic Contamination in Karst Groundwater Systems”, curato dai ricercatori del Prairie Research Institute dell’università dell’Illinois, ha portato alla luce il problema dell’inquinamento da microplastiche nelle fonti e nelle sorgenti di due falde acquifere dell’Illinois. In entrambi i casi, è emerso che «le fonti e le sorgenti delle due falde acquifere di origine carsica contenevano microplastiche e altri agenti inquinanti antropogenici, le microplastiche rinvenute erano fibre con una concentrazione massima di 15,2 particelle/litro». Una seconda indagine, svolta con differenti parametri quali fosfato, cloruro e triclosan, ha suggerito agli studiosi che «la presenza di microplastica potrebbe essere anche causata dagli effluenti settici».
I rifiuti di detriti plastici e la contaminazione microplastica sono ampiamente diffusi negli ecosistemi delle acque di superficie e in tutti gli ecosistemi acquatici a livello mondiale, inclusi gli oceani, acque fresche come quelle dei ruscelli e dei laghi e perfino nei terreni. Le microplastiche sono frammenti di rifiuti plastici più grossi che diventano pezzi piccolissimi e si depositano nell’atmosfera, inquinando così i corsi d’acqua, comprese le acque reflue. L’acqua reflua, come per esempio quella di effluenti settici, fosse settiche o biologiche, può contenere molte migliaia di microfibre composte da sottili polimeri, come il poliestere o il polietilene, ma anche fibre derivanti dagli scarichi del lavaggio di indumenti sintetici. Le microplastiche hanno inoltre la capacità di assorbire inquinanti organici persistenti, detti Pop, ossia tutte quelle sostanze chimiche particolarmente resistenti alla decomposizione. Questi inquinanti possono essere trasferiti ai tessuti animali inoltre, se ingeriti, possono irritare i tessuti digestivi.
La natura delle falde acquifere carsiche, tipicamente aperta, le rende maggiormente vulnerabili a un più rapido trasporto di agenti contaminanti di superficie che si dissolvono in diverse e particolari forme. «Il 20% della massa terrestre è di origine carsica e le falde acquifere carsiche costituiscono circa 1/4 della fonte di acqua potabile a livello mondiale».
Inoltre, sottolineano gli esperti, «non bisogna trascurare il fatto che gli ecosistemi carsici sono l’habitat di rare specie faunistiche, i troglobi, anch’essi vulnerabili a tale contaminazione». L’obiettivo dello studio era quello di determinare le microplastiche presenti nelle fonti e sorgenti nelle regioni carsiche e la loro eventuale cooperazione con altri contaminanti provenienti da rifiuti prodotti dall’uomo. Lo studio ha portato alla luce ciò che i ricercatori sospettavano, «16 campioni su 17 contenevano microplastiche con una concentrazione media di 6,4 particelle/litro e una massima di 15, 2 particelle /litro». Il lavoro ha dunque dimostrato che i sistemi carsici permettono il movimento di fibre microplastiche nei sistemi di flusso delle acque sotterranee. Data la presenza di Pop, nutrienti e batteri enterici trovati in entrambe i sistemi carsici analizzati, molto probabilmente le microplastiche derivano da effluenti settici, anche se il deflusso superficiale potrebbe essere un’altra fonte d’inquinamento.

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Fertilità, studio: «Gli inquinanti chimici in casa riducono la fertilità in uomini e cani»

Come è noto, per la produzione di numerosi componenti presenti nell’ambiente domestico, le industrie produttrici utilizzano numerose sostanze chimiche. Queste, col passare del tempo, si disperdono e diffondono nell’aria che respiriamo ogni giorno. Tali sostanze chimiche vengono quindi assorbite dall’organismo, principalmente attraverso la respirazione, ma anche l’ingestione, portando quindi ad una serie di effetti negativi sulla salute. Alcuni ricercatori dell’università di Nottingham, nel Regno Unito, hanno studiato la correlazione tra la presenza di alcune sostanze chimiche nell’ambiente domestico e gli effetti sulla fertilità dell’uomo e nei cani. In particolare, il gruppo di studiosi si è proposto di testare gli effetti di due specifici prodotti chimici artificiali, vale a dire il comune plastificante di-2-etilesilftalato (Dehp), presente in casa in tappeti, pavimenti, tappezzeria, vestiti, fili, giocattoli, e il persistente policlorobifenile chimico industriale 153, che sebbene sia vietato a livello globale, rimane ampiamente rilevabile nell’ambiente compreso il cibo.
In tal senso, i ricercatori hanno condotto esperimenti identici in entrambe le specie usando campioni di sperma di donatori e cani da allevamento che vivevano nella stessa regione del Regno Unito. Ebbene, i risultati mostrano che le sostanze chimiche, a concentrazioni rilevanti per l’esposizione ambientale, hanno lo stesso effetto dannoso sullo sperma dell’uomo e del cane, andando ad influenzare la fertilità. La riduzione della fertilità era stata già evidenziata in altri studi simili, alla luce del fatto che negli ultimi decenni c’è stata una crescente preoccupazione per il declino della fertilità maschile, con una riduzione globale del 50% della qualità dello sperma negli ultimi 80 anni.
«Questo nuovo studio – spiega Richard Lea, autrice dello studio – supporta la nostra teoria secondo cui il cane domestico è davvero un “sentinella” o specchio del declino riproduttivo maschile umano». La ricercatrice spiega inoltre che «le nostre scoperte suggeriscono che le sostanze chimiche prodotte industrialmente dall’uomo che sono state ampiamente utilizzate nell’ambiente domestico e lavorativo possono essere responsabili della caduta qualità dello sperma riferita sia nell’uomo che nel cane che condividono lo stesso ambiente».

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Aria di primavera: i consigli per prevenire (o ridurre) l’allergia

La primavera è vicina e l’inverno è quasi lasciato alle spalle. Le temperature saranno certamente più miti e l’allungamento delle giornate consentirà di vivere maggiormente a contatto con la natura. Nonostante sia tra le stagioni più belle, a causa del risveglio, ciò non si può dire per i soggetti allergici, che rischiano di scatenare fastidiosi disturbi transitori. In tale ottica, l’Associazione nazionale farmaci di automedicazione (Assosalute), che riunisce le aziende italiane e internazionali che producono e commercializzano in Italia farmaci di automedicazione, ha stilato un elenco di consigli per prevenire, o quantomeno alleviare, lo scatenarsi della forma allergica.
«La maggior parte delle allergie respiratorie – spiega Assosalute – si manifesta come conseguenza dell’inalazione di pollini come graminacee, parietaria e betulacee. Questo può portare a riniti allergiche, con starnuti, sensazione di naso chiuso, ipersecrezione nasale di muco liquido e biancastro, irritazione agli occhi e, nelle forme più gravi, veri e propri attacchi d’asma». Per questo motivo, è necessario «consultare regolarmente le informazioni e gli aggiornamenti sulla concentrazione dei pollini presenti nell’aria della propria località di residenza», «evitare gite, passeggiate in campagna o nei parchi nel periodo di fioritura delle piante nocive e cercare, nei periodi di rischio e ove possibile, di soggiornare in località marine o montane (dove determinate piante non vivono o dove la fioritura è ritardata o anticipata)». Inoltre, spiega l’associazione, «meglio non uscire nelle fasi iniziali di un temporale perché la pioggia facilita la liberazione di allergeni dai pollini», «fare attenzione agli sport all’aperto ed evitare le ore più calde della giornata e quelle del tardo pomeriggio quando, complice una maggiore concentrazione di elementi inquinanti nell’atmosfera, la qualità dell’aria è peggiore, specie nelle grandi città», «arieggiare i locali della propria abitazione, meglio al mattino presto o la sera tardi, quando l’aria è generalmente più pulita e presenta una minore concentrazione pollinica. Viceversa, tenere chiuse le finestre nelle ore più calde della giornata e quando la concentrazione dei pollini è maggiore», «sempre bene proteggersi utilizzando, ad esempio, occhiali da sole, meglio se avvolgenti, perché permettono di riparare gli occhi soprattutto nelle giornate ventose o se ci si sposta in motorino o in bicicletta. Non dimenticare, inoltre, di coprire se possibile naso e bocca». Infine, «durante i viaggi in auto evitare di tenere i finestrini aperti. Inoltre, sempre meglio adottare un filtro antipolline se si usa il condizionatore», «pettinarsi e lavarsi frequentemente i capelli. Proprio lì, infatti, possono annidarsi i pollini. Detergere con cura anche palpebre, ciglia e sopracciglia può essere di aiuto per eliminare gli allergeni che si depositano nelle zone oculari e perioculari nel corso della giornata» e «non dimenticare il lavaggio delle cavità nasali, che funzionano da filtro e trattengono i pollini».
Con riferimento invece all’ambiente domestico, l’associazione ritiene «importante ridurre al minimo la presenza di muffe, mantenendo la casa ben asciutta, specie nei luoghi più soggetti a umidità. Buona regola è asciugare sempre le pareti della doccia, togliere gli indumenti bagnati dalla lavatrice e, se necessario, usare un deumidificatore». In aggiunta a ciò, «per difendersi dagli acari della polvere, se si è allergici, ricoprire materassi e cuscini con fodere anallergiche e scegliere mobili in materiali che non attirano polvere (come vinile, legno, metallo o pelle), anziché articoli imbottiti», «contro gli acari, resta fondamentale la pulizia di superfici, mobili e pavimenti. Importante è anche cambiare spesso le lenzuola». Inoltre, spiega, «evitare il contatto con tappeti, moquette, tappezzerie e peluche», «se si è allergici, non usare l’aspirapolvere a meno che non sia dotata di specifici filtri». Infine, «la forfora e i peli degli animali da compagnia possono creare problemi. Conviene quindi lavarli una volta alla settimana al fine di rimuovere il più possibile le sostanze allergiche dal loro pelo e tenerli lontano da divani, poltrone e letti, che possono trattenere gli allergeni», «controllare condizionatori e deumidificatori perché nei filtri e nei condotti degli apparecchi possono annidarsi allergeni di varia origine derivanti da acari, polveri, muffe» e «attenzione in cucina: eliminate sempre i residui alimentari e conservate gli alimenti in contenitori ermetici per evitare che si sviluppino scarafaggi. Questi depositano uova e lasciano dietro di sé escrementi potenzialmente allergizzanti».