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Allattamento al seno: è buono anche per la mamma, non solo per il bambino

E’ cosa risaputa che allattare al seno faccia bene alla salute del nascituro, tuttavia, gran parte dei medici raramente dicono alla mamma che è anche buono per la loro stessa salute.
Le donne che allattano al seno sono meno esposte al rischio di sviluppo di cancro al seno, tumore ovarico, diabete di tipo 2, artrite reumatoide ed hanno una migliore salute cardiovascolare. E’ questo in sintesi il risultato di uno studio pubblicato in America. Secondo i ricercatori, allattare al seno riduce di 4.3 punti percentuali il rischio di sviluppare un cancro al seno, per ogni 12 mesi di allattamento al seno, in aggiunta ad un decremento del 7 percento per ogni nascita. Allattare al seno è particolarmente protettivo contro alcune forme aggressive di tumore, chiamate “ormone recettore-negativo” o “tumore triplo negativo”, molto comune nelle donne Afro-Americane. Lo studio ha mostrato che le donne che allattano al seno sono meno propense a sviluppare il cancro alle ovaie, diabete di tipo due ed artrite reumatoide, nonché, hanno una migliore salute cardiovascolare.
Il Dr. Ramaswamy, professore associato in oncologia medica presso l’Università dell’Ohio, autore dello studio, ha spiegato che «mediante i risultati di questo studio abbiamo la possibilità di salvare vite umane», ponendo una domanda: «Siamo sicuri che (la classe medica, ndr) stia educando correttamente le madri al momento di fare la scelta difficoltosa di allattare al seno o no?». E continua: «Mentre le aziende commercializzano nuove “formule” di latte pediatrico, facendoli passare come buoni sostituti al latte materno, queste “formule” non aiutano le donne a vivere più a lungo».

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Vaccinazioni per le donne in età fertile e in gravidanza, quali sono quelle raccomandate?

Con l’obiettivo di migliorare la prevenzione delle patologie infettive in ogni fase della vita, il ministero della Salute ha emanato, già nell’agosto del 2018, una circolare contenente alcune linee guida per proteggere la donna e il nascituro in previsione e durante la gravidanza, attraverso specifici vaccini.
Per quanto riguarda le vaccinazioni in età fertile, si legge nel documento, «sono indicate, se non già immuni, le vaccinazioni contro morbillo, parotite, rosolia, varicella e papilloma virus (HPV)». Secondo il ministero riveste grande importanza anche «il richiamo decennale della vaccinazione contro difterite, tetano e pertosse».
Con riferimento alle vaccinazioni in previsione di una gravidanza, il ministero spiega che «è necessario che le donne siano protette nei confronti di morbillo‐parotite‐rosolia (MPR) e della varicella, dato l’elevato rischio, per il nascituro, derivanti dall’infezioni materna durante la gravidanza, specie se si verifica nelle prime settimane di gestazione. Per la varicella contratta nell’immediato periodo pre‐parto, il rischio, oltre che per il nascituro, può essere molto grave anche per la madre». Il ministero specifica inoltre che «poiché sia il vaccino MPR che quello della varicella sono controindicati in gravidanza, è necessario che, al momento dell’inizio della gravidanza, la donna sia già vaccinata regolarmente (con due dosi) da almeno un mese».
Particolare attenzione anche alle vaccinazioni raccomandate nel corso della gravidanza, ovvero «contro difterite, tetano, pertosse (dTpa) e influenza (se la gestazione si verifica nel corso di una stagione influenzale) – si legge nella nota -, che devono essere ripetute ad ogni gravidanza. Di grande rilievo è la vaccinazione dTpa da effettuare ad ogni gravidanza, anche se la donna sia già stata vaccinata o sia in regola con i richiami decennali o abbia avuto la pertosse. Infatti, la pertosse contratta dal neonato nei primi mesi di vita può essere molto grave o persino mortale e la fonte di infezione è frequentemente la madre. Il periodo raccomandato per effettuare la vaccinazione è il terzo trimestre di gravidanza, idealmente intorno alla 28a settimana, al fine di consentire alla gestante la produzione di anticorpi sufficienti e il conseguente passaggio transplacentare. Il vaccino dTpa si è dimostrato sicuro sia per la donna in gravidanza sia per il feto». Inoltre, il ministero ricorda che «la vaccinazione anti‐influenzale è raccomandata e offerta gratuitamente alle donne che all’inizio della stagione epidemica dell’influenza si trovino nel secondo o terzo trimestre di gravidanza».
Infine, per quanto attiene i vaccini controindicati in gravidanza, il ministero della Salute spiega che «i vaccini contro MPR e varicella, contenendo vaccini a virus vivi attenuati, non possono essere somministrati in gravidanza, sebbene l’effettuazione accidentale della vaccinazione in donne che non sapevano di essere in gravidanza non ha mai fatto registrare un aumento di aborti o malformazioni». Per questo motivo, è «opportuno che le donne che intendono programmare una gravidanza siano informate della necessità di posticiparla di un mese dopo la vaccinazione. Si sottolinea che l’esposizione accidentale della donna in gravidanza alla vaccinazione o l’inizio di una gravidanza entro le quattro settimane successive alla vaccinazione non rappresentano indicazioni all’interruzione volontaria di gravidanza. Nel caso una donna non risulti immune, è importante che sia vaccinata prima della dimissione dal reparto di maternità o, comunque, le sia fissato un appuntamento presso il servizio vaccinale nel periodo immediatamente successivo al parto».
Tra le vaccinazioni attualmente non consigliate, il ministero ricorda che la «la vaccinazione anti‐HPV non è attualmente consigliata durante la gravidanza, poiché non sono stati effettuati studi specifici sull’impiego del vaccino in donne gravide. L’eventuale somministrazione accidentale in gravidanza non comporta comunque l’indicazione all’interruzione volontaria della stessa, mentre la vaccinazione dovrà essere sospesa e le successive dosi rimandate sino al completamento della gravidanza».

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L’abuso del cellulare potrebbe danneggiare la memoria degli adolescenti

Negli ultimi 20 anni, la rapida evoluzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione ha causato un aumento dell’esposizione artificiale ai campi elettromagnetici a radiofrequenza o radiazioni a microonde (RF-EMF), i cui effetti sulla salute sono ancora sconosciuti. Le indagini finora svolte dai ricercatori si sono concentrate sulle funzioni neurocognitive, dato che il cervello è l’organo più fortemente esposto durante una telefonata con cellulare o cordless, e un cervello in via di sviluppo, come è quello delle persone fino ai 15 anni, potrebbe essere particolarmente suscettibile alle alterazioni da RF-EMF. In questa fascia d’età, le funzioni di memoria sono particolarmente importanti perché per l’apprendimento sono necessarie codifica, elaborazione e recupero delle informazioni, e gli adolescenti di oggi probabilmente avranno una più alta esposizione cumulativa a RF-EMF durante tutta la loro vita. Tuttavia gli studi condotti sul tema hanno prodotto risultati incoerenti o controversi, almeno fino ad oggi. A luglio scorso è stato infatti pubblicato, sulla rivista scientifica Environmental Health Perspectives, lo studio HERMES https://ehp.niehs.nih.gov/doi/10.1289/, un’analisi prospettica che ha studiato l’effetto delle radiazioni a microonde derivanti dalle comunicazioni wireless sulla memoria di 895 adolescenti svizzeri, confermando che la dose cumulativa di RF-EMF nel cervello è associata ad una significativa riduzione delle prestazioni della memoria figurale in un periodo di 1 anno, con una diminuzione più marcata osservata negli utilizzatori dell’orecchio destro.
Già alcuni precedenti studi di esposizione controllata, in animali ed esseri umani, avevano trovato prove limitate degli effetti sia positivi che negativi delle onde RF-EMF sulle prestazioni della memoria e sui relativi processi neurali. Tra i pochi studi epidemiologici c’è stato, ad esempio, lo studio australiano MoRPhEUS su una coorte di 317 adolescenti con un’età media di 13 anni, che ha riscontrato risposte più veloci ma meno accurate nella memoria attiva e nei compiti di apprendimento associativo per coloro che facevano un uso frequente del cellulare. Lo stesso risultato è stato però osservato anche in relazione al numero di messaggi di testo (SMS), che coinvolgono un’esposizione a RF-EMF solo marginale, suggerendo quindi che ci siano altri fattori alla base di questo processo.
Tuttavia questo e gli altri precedenti studi usavano come criterio di valutazione unicamente il numero di chiamate effettuate, per altro dichiarato dagli spessi partecipanti (e spesso da questi sovrastimato) o non consideravano i fattori “confondenti” derivanti da uno stile di vita legato all’utilizzo di diversi tipi di media che incidono su cognizione, comportamenti ed emozioni degli individui.  L’esposizione personale a RF-EMF dipende non solo dal numero di chiamate effettuate, ma da altri parametri come la durata della chiamata, la distanza del dispositivo dal corpo e la rete utilizzata per la chiamata. Per esempio, il sistema globale per le comunicazioni mobili standard (GSM) produce un’esposizione circa 100-500 volte superiore rispetto al sistema universale di telecomunicazione mobile (UMTS).
Lo studio HERMES, invece, è stato il primo studio del genere che ha utilizzato dosi di RF-EMF modellate individualmente e l’uso di telefoni cellulari è stato misurato sui dati registrati dall’operatore telefonico e non sulle dichiarazioni dei soggetti arruolati. Data la lateralizzazione emisferica della memoria, inoltre, è stata condotta un’analisi di lateralità per la preferenza dell’orecchio delle telefonate, e per controllare i fattori di confondimento dei comportamenti legati all’utilizzo dei media, è stata effettuata un’analisi stratificata per gruppi di media.
I risultati preliminari di questo approccio suggeriscono, dunque, che un’alta esposizione a radiazioni a microonde possono influenzare in modo potenzialmente negativo funzioni cognitive come la memoria figurale, che coinvolge regioni del cervello per lo più esposte durante l’uso del telefono cellulare. Tuttavia tali risultati non forniscono prove conclusive degli effetti causali e dovrebbero essere interpretate con cautela fino a conferma in altre popolazioni. Inoltre le associazioni con parametri di utilizzo dei media con esposizioni RF-EMF basse non hanno fornito un supporto chiaro o coerente degli effetti dell’uso dei media non correlato a RF-EMF, con la possibile eccezione di associazioni positive (non statisticamente significative) coerenti tra memoria verbale e durata del traffico dati. Non è ancora chiaro quali processi cerebrali potrebbero essere interessati e quale meccanismo biofisico possa svolgere un ruolo in questa associazione.
Il potenziale rischio a lungo termine può essere però ridotto al minimo evitando situazioni di esposizione cerebrale elevata come accade quando si utilizza un telefono cellulare con la massima potenza vicino all’orecchio a causa, ad esempio, di una cattiva qualità della rete.

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Elettrosmog: un problema ancora sottovalutato e sconosciuto. Come difenderci?

Uno dei problemi degli ultimi decenni, e non ancora noto ai più, è quello relativo all’elettrosmog. La criticità nasce dal fatto che non è una minaccia immediatamente percepibile con i sensi normali, e allora, per molti, è “come se non esistesse”. Eppure c’è e crea disagi importanti a una crescente fetta della popolazione mondiale.I sintomi da inquinamento elettromagnetico possono iniziare con un semplice ronzio o formicolio alle orecchie, fino ad arrivare all’impossibilità di stazionamento nelle vicinanze di un’area all’interno della quale si trovi un ripetitore. Ci sono persone che addirittura hanno dovuto rinunciare ad una vita “normale”, lasciando tutto per trasferirsi in aree rurali non contaminate da questa nuova forma di inquinamento. Sì, perché per alcuni soggetti elettrosensibili, la situazione può diventare talmente insostenibile, da creare danni permanenti al corpo e alla mente. E se queste persone fossero semplicemente più sensibili, individui che hanno scoperto sulla propria pelle la reale pericolosità dell’elettromagnetismo? Se il loro fisico fosse semplicemente più allenato a riconoscere e rigettare qualcosa che fa male e che potrebbe trasformarsi in un allarme senza possibilità di ritorno?Gli interessi in gioco sono tanti, in quanto questa nuova forma di inquinamento riguarda interessi molto importanti all’interno di lobbies industriali legate alle telecomunicazioni, settore questo che rappresenta ormai il business del secolo (a partire dagli ultimi decenni dello scorso). Gli studi effettuati a livello indipendente dai ricercatori indicano una pericolosità crescente rappresentata dall’elettrosmog, caratteristica questa che suggerisce la necessità, da parte della popolazione, di tutelarsi a fronte della sovraesposizione alla quale tutti siamo sottoposti giornalmente (pensiamo soltanto a un router wifi domestico o a un telefono cellulare), spesso per ore e, nel caso di permanenza nei grandi agglomerati urbani, che prevedono la presenza di antenne e ripetitori addirittura sui tetti dei palazzi, continua. Va da sé che i grandi gruppi industriali non solo non siano interessati a divulgare tesi che ne dichiarino la nocività, quanto piuttosto supportino studi contrari, volti a dimostrare l’impossibilità di misurare reazioni pericolose dovute alla sovraesposizione elettromagnetica. Eppure, sono ben noti i casi che hanno affollato le pagine di cronaca degli ultimi tempi, che hanno associato, ad esempio, un’incidenza di patologie tumorali concentrate in aree in cui erano posti ripetitori e antenne. il problema è stato riconosciuto come tale anche dall’ Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che ha definito le onde elettromagnetiche come “potenzialmente cancerogene”. Molte sono le associazioni che vanno avanti, in maniera indipendente, che pubblicano studi a supporto delle tesi a sostegno della pericolosità di questa forma di inquinamento senza scorie visibili e che informano la popolazione sui reali pericoli e le petizioni in corso. Per citarne una, possiamo fare riferimento a A.M.I.C.A., Associazione per le Malattie da Intossicazione Cronica e/o Ambientale (www.infoamica.it), che, appena si è insediato il nuovo Governo, si è attivata chiedendo a tutti i parlamentari nuovi limiti di legge che rendano sicure per la salute le esposizioni elettromagnetiche emesse da cellulari, Wi-Fi e per chiedere il blocco immediato della sperimentazione della tecnologia 5G. L’associazione ricorda, inoltre, che lo scorso 13 Settembre, 180 scienziati hanno lanciato un appello alla Commissione Europea per chiedere il blocco della sperimentazione delle frequenze 5G per i pericoli che queste possono comportare in aggiunta ai rischi prodotti dalle attuali tecnologie 2G, 3G, 4G e Wi-Fi.L’Assemblea Plenaria del Consiglio d’Europa già nel 2011 con la Risoluzione 1815, approvata all’unanimità, impegnava i paesi membri a ridurre le fonti di esposizione alla radiofrequenza di cellulari e Wi-Fi a favore di forme di connessioni via cavo che sono le uniche davvero innocue e per giunta le più efficaci in termini di capacità di trasmissione.Eppure, l’informazione procede a rilento rispetto alla forza delle lobbies, e il mondo va avanti, seguendo sempre la stessa direzione, ignorando quasi sempre i richiami e le grida d’allarme lanciate dagli esperti che, consigliano alla popolazione di trovare comunque il modo di proteggersi.Ma come tutelarsi, dunque, a fronte di una mancanza di protezione da parte delle istituzioni stesse? Il giornalista Maurizio Martucci ha scritto un libro inchiesta, intitolato “Manuale di difesa per elettrosensibili, come sopravvivere all’elettrosmog di cellulari, Wi-Fi e antenne di telefonia mobile, mentre arrivano 5G e Wi-Fi dallo spazio”, nel quale spiega a livello tecnico in cosa consistano le onde elettromagnetiche e quali siano problemi pratici a cui si va incontro nel corso di una sovraesposizione. Sono riportate numerose testimonianze da parte di cittadini elettrosensibili e vengono analizzate le opinioni di medici ed esperti, che raccontano, dal punto di vista di “addetti ai lavori” quali siano le conseguenze sul corpo umano e cosa fare per limitare l’assorbimento delle onde elettromagnetiche nell’organismo. Il primo passo? Il diritto di essere informati.

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Allergia agli acari della polvere, i consigli con l’accensione del riscaldamento

Assosalute, l’associazione nazionale farmaci di automedicazione, di Federchimica, ha pubblicato i consigli per difendersi dalle allergie della polvere, con particolare attenzione alla proliferazione degli acari, con l’accensione del riscaldamento.
Anche l’autunno, infatti, come la primavera, può riservare brutte sorprese per i soggetti allergici. «Per quanto la casa rappresenti un rifugio sicuro nel quale ritirarsi – spiega Assosalute -, tanto più quando fuori piove e comincia a far freddo, purtroppo l’umidità, gli ambienti chiusi e meno arieggiati e la polvere possono scatenare, nei soggetti predisposti, una reazione allergica improvvisa: riniti, congiuntiviti fino a veri e propri attacchi d’asma che, soprattutto nei più piccoli, è bene non sottovalutare, perché come tutte le allergie possono peggiorare se non vengono affrontate adeguatamente».
Anche l’accensione dei riscaldamenti «favorisce la formazione della polvere e quindi la proliferazione di colonie di acari, tra i principali responsabili delle allergie».
La prevenzione della proliferazione degli acari passa attraverso alcune buone abitudini, di cui Assosalute si fa portatrice. In particolare, la pulizia dei caloriferi prima dell’accensione invernale dei riscaldamenti, al fine «di preservarne la loro resa termica ma anche per mantenere in casa una buona qualità dell’aria, fondamentale per evitare allergie soprattutto se già si soffre di problemi respiratori». Il secondo consiglio è di utilizzare fodere anti-acaro, rivestendo i materiali e i cuscini e proteggerli dalla penetrazione degli acari. Successivamente, ridurre al minimo la presenza di tappeti, piumini, poltrone imbottite e peluche. Arieggiare più volte al giorno i locali, anche se fuori fa freddo.
Per quanto riguarda l’aspirapolvere, sarebbe utile scegliere quelli dotati di filtri che impediscono la diffusione degli allergeni. A tal proposito, l’associazione suggerisce di «eliminare la polvere con frequenza». Anche le pulizie richiedono una buona attenzione, mediante l’uso di un panno umido che non disperda la polvere, e quindi, gli allergeni nell’ambiente. Infine, due consigli che, seppur scontati, aiutano alla riduzione degli acari, ovvero «lavare frequentemente, ad alte temperature, la biancheria da letto» ed «esporre all’aria cuscini e coperte».