Con riferimento ai fattori stimolanti le colonie granulocitarie, alcune case farmaceutiche che commercializzano in Italia determinati farmaci, in accordo con l’Agenzia Italiana del Farmaco, hanno diramato una nota informativa importante per segnalare la possibile presenza del rischio di aortite.
La segnalazione riguarda i farmaci a base di filgrastim, pegfilgrastim, lenograstim e lipegfilgrastim. Infatti, come si legge nel comunicato, «sono stati segnalati casi rari di aortite in seguito a somministrazione di G-CSF in soggetti sani e in pazienti oncologici. Tra i sintomi vi sono febbre, dolore addominale, malessere, dolore dorsale e aumento dei marcatori dell’infiammazione (per es., proteina C-reattiva e conta dei leucociti). Nella maggior parte dei casi, l’aortite è stata diagnosticata con tomografia computerizzata (TC) e si è generalmente risolta dopo l’interruzione del G-CSF».
Qualora il paziente abbia «segni e dei sintomi dell’aortite» e necessario che informino «il medico se accusano febbre, dolore addominale, malessere e dolore alla schiena».
I nomi commerciali dei medicinali a base di fattori stimolanti le colonie granulocitarie sono Granulokine, Neulasta, Ratiograstim, Tevagrastim, Zarzio, Filgrastim Hexal, Nivestim, Accofil, Grastofil, Granocyte, Lonquex, Myelostim. Pertanto sebbene «l’incidenza di aortite con filgrastim, lenograstim, lipegfilgrastim e pegfilgrastim è bassa e gli studi epidemiologici sono limitati», è necessario, nella valutazione dell’aortite, se causata da un medicinale, «considerare i G-CSF quali possibili medicinali responsabili».
Qualora fossero necessari ulteriori chiarimenti in merito a questi contenuti, o qualora il paziente stia somministrando questi farmaci, può recarsi in ogni momento dal medico curante o dal farmacista di fiducia.
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Il servizio informativo per i pazienti del centro “L’Incontro” a Teano (CE).
Nessuno teme l’estate più dei cani. I tuoni martellanti degli improvvisi temporali, i fuochi d’artificio di ferragosto, tutto quel rumore li fa impazzire. Secondo alcune stime, il 50% dei cani sperimenta ansia o panico da rumore, e il fenomeno si intensifica proprio d’estate.
Negli anni la scienza e il marketing hanno offerto vari rimedi per aiutare il più fedele compagno dell’uomo, miscele omeopatiche, erbe, feromoni, CD di temporali mischiati a Beethoven; “cappottini calmanti”, sedute di training e condizionamento positivo, e persino Prozac e Valium. Al Canine Science Forum di Budapest, i ricercatori della Scuola Veterinaria dell’Università di Berna hanno presentato i risultati di un sondaggio su 1.225 padroni a cui è stato chiesto che tipo di strategie attuassero per calmare i loro cani in preda al panico da rumore, durante temporali e fuochi d’artificio.
Circa il 70 % degli intervistati ha trovato efficaci i farmaci prescritti o le sedute di rilassamento (che male non fanno neppure ai padroni) o contro-condizionamento, in cui i cani vengono esposti al rumore dei fuochi d’artificio insieme a qualcosa di positivo. Al contrario olii essenziali, omeopatia, erbe e feromoni sarebbero efficaci solo per il 30%, mentre l’uso domestico di CD desensibilizzante funziona solo per il 50 % di essi. La strategia scelta dal 44 % per cento dei padroni consultati è invece l’americano Thundershirt, una sorta di cappottino che una volta indossato avvolge il cane con lo stesso effetto di un abbraccio.
Secondo i veterinari americani, tuttavia, la strategia migliore, più naturale e dagli esiti duraturi, è la desensibilizzazione attraverso registrazioni calibrate del rumore offensivo accanto a condizionamento positivo, ma questo tipo di pratica per ottenere risultati richiede coerenza, tempo e pazienza, e si sa, gli umani spesso non ne hanno.
Nell’immaginario collettivo il relax è legato all’inattività, e ora, al culmine dell’estate, i sonnellini sulla spiaggia possono essere seducenti e molti potrebbero essere tentati di prendersi una vacanza prolungata anche dall’esercizio fisico, eppure potrebbe essere una pessima idea con conseguenze durature, resistete.
Due nuovi studi, condotti rispettivamente su giovani e anziani, hanno infatti dimostrato che ridurre anche temporaneamente l’attività fisica quotidiana ha conseguenze metaboliche che possono essere anche pervasive e persistenti, prolungandosi in una certa misura anche dopo il ritorno alla routine.
L’attività fisica è, ovviamente, un bene per noi e per il nostro metabolismo. Tra i tanti effetti positivi, ad esempio, la contrazione dei muscoli brucia lo zucchero nel sangue come fa il carburante in una macchina e, in risposta ai segnali dell’insulina ormonale, ne conserva anche un po’ come riserva per l’uso futuro. A lungo termine, queste condizioni aiutano il nostro corpi a evitare l’innalzamento dei livelli di glicemia, l’insulino-resistenza e il diabete di Tipo 2. Ma cosa succede quando, a seguito di scelte o circostanze, non ci esercitiamo o restiamo inattivi per un certo periodo di tempo? In alcuni studi precedenti con giovani sani e attivi, spesso studenti universitari, le conseguenze sono state rapide ma reversibili. Quando questi volontari si sono dedicati ai loro letti e alle loro sedie per giorni interi nell’interesse della scienza, spesso hanno sviluppato un aumento della glicemia e alcuni dei primi sintomi di insulino-resistenza. Ma entro un giorno o due dal ritorno alle loro normali attività, il loro usuale metabolismo si è stabilizzato e i livelli di zucchero nel sangue e di insulina sono diminuiti Ma per coloro che non sono robusti, giovani studenti universitari? La risposta l’hanno fornita proprio i due nuovi studi. In quello pubblicato a giugno su Diabetologia, i ricercatori dell’Università di Liverpool in Inghilterra hanno chiesto a 45 uomini e donne adulti di iniziare bruscamente ad essere sedentari. I volontari erano stati attivi in precedenza, camminando per più di 10.000 passi nella maggior parte dei giorni, secondo le tecnologie di monitoraggio che avevano indossavano per diversi giorni prima dell’inizio dello studio. Inoltre erano metabolicamente sani e, test alla mano, privi di diabete, sebbene avessero parenti prossimi con questa patologia. Durante lo studio, i volontari hanno semplicemente smesso di muoversi molto, riducendo le loro camminate quotidiane a meno di 2000 passi e sedendosi per più di tre ore e mezza al giorno, una routine che hanno continuato per due settimane.I ricercatori hanno quindi ricontrollato i loro metabolismi e composizioni corporee e hanno chiesto loro di tornare ai loro precedenti livelli di attività per altre due settimane, dopo di che hanno ripetuto i test.
I risultati si sono dimostrati coerenti e allarmanti. Nelle loro due settimane di inattività, i volontari hanno quasi tutti sviluppato ciò che gli scienziati chiamano “disordini metabolici”. I loro livelli di zucchero nel sangue sono aumentati, la sensibilità all’insulina diminuita, i profili di colesterolo sono diventati meno sani, e hanno perso un po’ di massa muscolare nelle gambe mentre sono ingrassati attorno all’addome.
Per fortuna, la maggior parte di questi squilibri si sono invertiti una volta che uomini e donne sono tornati attivi.
Ma per ragioni sconosciute, alcuni dei volontari non sono tornati allo stesso livello di esercizio in cui erano impegnati prima. Rispetto al periodo precedente all’esperimento, hanno ridotto la vigorosa attività settimanale e hanno avuto alcuni sintomi lievi ma duraturi di resistenza all’insulina, anche a due settimane dal ritorno all’attività.
Le conseguenze dell’improvvisa inattività sono state più gravi e pregnanti in un altro nuovo studio, pubblicato a luglio su The Journals of Gerontology, che si è concentrato sulle persone in sovrappeso oltre i 65 anni che erano già a rischio di sviluppare diabete perché avevano glicemia alta, ma comunque tutti sani e attivi, con una media di circa 7.000 o 8.000 passi al giorno. Anche in questo caso i volontari per l’esperimento hanno ridotto le loro passeggiate, percorrendo 1000 passi al giorno per due settimane, prima di riprendere la loro normale attività, Come gli adulti nell’altro studio, nelle due settimane di sperimentazione questi volontari anziani hanno sviluppato rapidamente un peggiore controllo della glicemia e un notevole aumento della resistenza all’insulina. Alcuni hanno sviluppato cambiamenti nel tessuto muscolare, indice di un possibile inizio di perdita di massa muscolare, e alcuni sono stati addirittura rimossi dallo studio perché hanno sviluppato un diabete di Tipo 2 dopo il periodo di inattività.
Per la maggior parte degli uomini e delle donne che sono rimasti nello studio, i cambiamenti metabolici indesiderati non sono stati completamente annullati dopo due settimane di nuovo esercizio fisico.
La conclusione di questi risultati è che dopo alcune settimane di inattività potremmo trovarci meno in forma e in salute, forse per un periodo di tempo anche lungo, con conseguenze amplificate dall’aumento dell’età, spiega Chris McGlory, ricercatore in kinesiologia presso la McMaster University del Canada, e capo del team di questo secondo studio: ‹‹Non è raro che le persone anziane si ammalino o si feriscano e finiscano per essere ricoverate in ospedale o in casa per diverse settimane, oppure che i più giovani decidano di prendersi qualche settimana di riposo dall’esercizio e dall’attività fisica regolare, ma se possibile non smettete di muovervi”. Lo stesso specialista suggerisce di parlare con un fisioterapista delle opzioni di attività fisica, nel caso di ricovero in ospedale o immobilità forzata.
Insomma, invece di prendere una vacanza dall’attività fisica, considerate la possibilità di inserire l’esercizio fisico nella vostra vacanza, del resto la spiaggia può essere invitante tanto per un sonnellino quanto per una passeggiata romantica o rinfrescante.
Riparte anche quest’anno #estatesicura, la campagna online del ministero della Salute per la prevenzione degli effetti deleteri delle ondate di calore, che negli ultimi anni hanno causato anche gravi conseguenze e vittime in tutte le fasce di popolazione, non solo in quelle più a rischio come gli anziani residenti in città e i malati cronici, bensì anche nelle persone sane, come ad esempio bambini, lavoratori esposti, donne in gravidanza e sportivi che praticano un’attività fisica intensa. Per arginare i rischi delle temperature estreme e rendere gli italiani più consapevoli, il ministero della Salute ha elaborato un Piano di prevenzione nazionale che coinvolge 34 città (capoluoghi di regione e città con oltre 200mila abitanti) e ogni anno, dal 15 maggio al 15 settembre, attiva un sistema di previsione e allarme dell’arrivo delle ondate di calore, con bollettini quotidiani città-specifici, contenenti il livello di rischio per la salute in base alle condizioni meteorologiche previste a 24, 48 e 72 ore. In tutte le 34 città è inoltre attivo un sistema rapido di sorveglianza della mortalità giornaliera, i cui risultati sono pubblicati in un bollettino settimanale. Entrambi i bollettini, insieme alle raccomandazioni per la prevenzione e alla mappa interattiva dei piani, dei servizi e dei numeri utili a livello locale, sono disponibili sul sito del Ministero della Salute, sulla App “Caldo e Salute”, e diffuse a Regioni, Asl, Comuni, Protezione Civile, al fine di agevolare l’attivazione tempestiva di interventi sulla popolazione a più alto rischio.
Consigli per proteggersi dal caldo Non uscire nelle ore più calde: nelle giornate a rischio elevato, evitare di uscire tra le 11.00 e le 18.00.
Bere molti liquidi: Bere molta acqua e mangiare frutta fresca è una misura essenziale per contrastare gli effetti del caldo. Soprattutto per gli anziani è necessario bere anche se non si sente lo stimolo della sete. Esistono tuttavia particolari condizioni di salute (epilessia e malattie del cuore, del rene o del fegato) per le quali l’assunzione eccessiva di liquidi è controindicata. Se si è affetti da qualche malattia è necessario consultare il medico prima di aumentare l’ingestione di liquidi. È necessario consultare il medico anche se si sta seguendo una cura che limita l’assunzione di liquidi o ne favorisce l’espulsione.
Non bere bevande alcoliche o bevande contenenti caffeina.
Migliorare l’ambiente domestico e di lavoro: schermare le finestre esposte a sud e a sud-ovest con tende e oscuranti regolabili come persiane o veneziane, in modo da bloccare il passaggio della luce ma non quello dell’aria. Se si dispone dell’aria condizionata, evitare di regolare la temperatura a livelli troppo bassi rispetto alla temperatura esterna. Una temperatura tra 25-27°C con un basso tasso di umidità è sufficiente a garantire il benessere e non espone a bruschi sbalzi termici. Sono da impiegare con cautela anche i ventilatori meccanici, poiché accelerano il movimento dell’aria, ma non abbassano la temperatura ambientale. Per questo il corpo continua a sudare: è perciò importante continuare ad assumere grandi quantità di liquidi. Quando la temperatura interna supera i 32°C, l’uso del ventilatore è inefficace e dunque sconsigliato.
Fare pasti leggeri: la digestione è per il nostro organismo un vero e proprio lavoro che aumenta la produzione di calore nel corpo.
Vestire comodi e leggeri, con indumenti di cotone, lino o fibre naturali (evitare le fibre sintetiche). All’aperto è utile indossare cappelli leggeri e di colore chiaro per proteggere la testa dal sole diretto.
In auto, ricordarsi di ventilare l’abitacolo prima di iniziare un viaggio, anche se la vettura è dotata di un impianto di ventilazione. In questo caso, regolare la temperatura su valori di circa 5 gradi inferiori alla temperatura esterna evitando di orientare le bocchette della climatizzazione direttamente sui passeggeri. Se ci si deve mettere in viaggio, evitare le ore più calde della giornata (specie se l’auto non è climatizzata) e tenere sempre in macchia una scorta d’acqua. Non lasciare mai neonati, bambini o animali in macchina, neanche per brevi periodi.
Evitare l’esercizio fisico nelle ore più calde della giornata. In ogni caso, se si fa attività fisica, bisogna bere molti liquidi. Per gli sportivi può essere necessario compensare la perdita di elettroliti con gli integratori.
Occuparsi delle persone a rischio, facendo visita almeno due volte al giorno e controllando che non mostrino sintomi di disturbi dovuti al caldo. Controllare neonati e bambini piccoli più spesso.
Dare molta acqua fresca agli animali domestici e lasciarla in una zona ombreggiata.
Il PRAC, l’ente di farmacovigilanza in seno all’Agenzia Europea per i Medicinali, ha recentemente diramato una circolare confermando la possibile presenza di «rischi di disfunzione sessuale e disordini psichiatrici con medicinali contenenti finasteride 1 mg».
In particolare, come si legge nella nota informativa importante, «sono stati segnalati casi di depressione e/o ideazione suicidaria con l’uso di medicinali contenenti finasteride 1 mg, indicati per il trattamento degli stati precoci di alopecia androgenetica negli uomini di età compresa tra i 18 e i 41 anni».
L’alopecia androgenetica è una particolare condizione che provoca la caduta del capello a seguito della suscettibilità del follicolo pilifero. Sebbene si tratti di una condizione molto comune, che interessa il 70% degli uomini e il 40% delle donne, essa può essere trattata con diverse modalità. Tra queste è possibile intervenire con terapia farmacologica, sia per uso sistemico che per uso topico. Nel caso della terapia somministrata per bocca, il medico, qualora la condizione lo consenta, potrebbe prescrivere ai soli uomini il trattamento con finasteride 1mg.
Sebbene il rapporto beneficio/rischio derivante dall’uso di finasteride 1mg rimane positivo, durante il trattamento con la terapia, i pazienti «devono essere consapevoli del rischio che si verifichi disfunzione sessuale (inclusi disfunzione erettile, disturbo dell’eiaculazione e libido diminuita) come evento avverso. Inoltre, i pazienti devono essere informati del fatto che sono stati segnalati eventi avversi di disfunzione sessuale che persistevano anche dopo l’interruzione della terapia».
Anche gli operatori sanitari, tra cui farmacisti e medici, «devono monitorare attentamente i pazienti durante il trattamento con finasteride 1 mg per la comparsa di sintomi psichiatrici (inclusi ansia, depressione, e ideazione suicidaria) e, se questi si dovessero verificare, il trattamento deve essere interrotto e il paziente deve richiedere il consiglio del medico». Si invita inoltre a segnalare eventuali reazioni avverse al proprio farmacista o al medico curante, in modo da consentire un intervento fattivo e provvedere alla segnalazione attraverso la Rete Nazionale di Farmacovigilanza.