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Vitamina D, le buone regole per trarre il massimo dal sole

La vitamina D è una sostanza di cui si parla molto spesso, specie in relazione alla sua funzione fondamentale di favorire l’assorbimento del calcio e quindi di mantenere in salute le ossa. Ma questo non è il solo processo in cui interviene. «La vitamina D – spiega la professoressa Sabrina Corbetta, responsabile del Servizio di endocrinologia e diabetologia all’Irccs Istituto ortopedico Galeazzi di Milano (gruppo ospedaliero San Donato) – è molto importante per il nostro organismo, perché è responsabile dell’assorbimento del calcio, un elemento che non è prodotto dal corpo umano, ma che è fondamentale per la sua salute. Oltre alla funzionalità delle ossa, la vitamina D interviene nel funzionamento del sistema nervoso centrale e periferico, nella coagulazione e nella contrazione muscolare».

Dal sole sintetizziamo la quantità maggiore di vitamina D.

«La fonte principale di vitamina D (80-90%) è l’esposizione alla radiazione solare Uvb – afferma l’Istituto superiore di sanità -. La dieta fornisce circa il 10-20% del fabbisogno. Gli alimenti più ricchi di vitamina D sono l’olio di fegato di merluzzo, i pesci grassi (aringa e salmone), i funghi, le uova e il fegato». Per ottenere risultati ottimali dall’esposizione solare, però, occorre tener presenti vari fattori, senza dimenticare la protezione della pelle nelle ore più calde. Secondo la Fondazione Airc per la Ricerca sul Cancro, infatti, l’apporto di vitamina D all’organismo cambia in base all’ora in cui ci si espone, alla latitudine, all’età, al colore della pelle, all’uso di creme solari – che restano fondamentali per aiutare a prevenire eventuali malattie dell’epidermide – e molto altro ancora.

Come esporsi al meglio ai raggi solari.

Coniugare una corretta esposizione ai raggi solari, sicura a livello dermatologico, ma efficace per ricavare vitamina D a sufficienza, richiede alcune attenzioni. Come detto sopra, per esempio, l’uso di creme solari riduce l’assorbimento della vitamina ma nelle ore più calde è necessaria per proteggere l’epidermide. L’ideale è quindi esporsi in orari in cui le temperature non sono eccessivamente elevate. «L’utilizzo di lozioni solari – conferma la professoressa Corbetta – inibisce l’attivazione della vitamina D. Sarebbe meglio esporsi nelle ore centrali della mattina, evitando le prime ore del pomeriggio. Inoltre, affinchè il processo di sintesi di vitamina D sia efficiente, deve esserci anche la giusta temperatura esterna: per esempio, in alta montagna, se l’aria è fredda, l’efficienza del processo di sintesi della vitamina D si riduce drasticamente». È poi opportuno ricordare che non è sufficiente esporre solo il volto ma anche la pelle di tronco e arti dovrebbero poter stare a contatto con il sole. Un’altra variante che influisce sull’assorbimento della vitamina è l’età. «La capacità di sintesi – precisa la specialista – si riduce molto con l’età: l’anziano ha una capacità che è sette volte inferiore di quella del giovane adulto. Laddove c’è maggiore necessità perché è già presente una fragilità ossea, ma non vi è più un sistema efficiente, bisogna intervenire con una terapia di supplementazione».

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Fse e privacy, disposizioni per negare il consenso all’alimentazione

L’art. 11 del decreto Rilancio (D.l. 34/2020) ha introdotto alcune nuove disposizioni relative alla gestione del Fascicolo sanitario elettronico (Fse). Tra queste, a partire dal 19 maggio 2020, è stato eliminato il consenso dell’assistito all’alimentazione dei dati per la creazione e attivazione del proprio Fse, mantenendolo invece per la consultazione con finalità di cura. A fronte di tale evoluzione si è resa necessaria un’ulteriore valutazione sulla gestione dei dati pregressi al 19 maggio 2020. Il ministero dell’Economia e delle Finanze e il ministero della Salute, sulla base di quanto stabilito dal Garante per la protezione dei dati personali, hanno comunicato che è facoltà dell’assistito negarne il consenso. «Entro 30 giorni dall’avvio della prossima campagna informativa a livello nazionale – spiegano le disposizioni ministeriali – l’assistito può comunicare l’opposizione all’alimentazione del Fse con i dati sanitari generati da eventi clinici occorsi allo stesso antecedentemente al 19 maggio 2020, accedendo al proprio Fse, ovvero tramite i canali resi disponibili in ambito regionale (medico di base, etc). L’opposizione può essere successivamente revocata».

Cosa dice il Garante

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Il Garante per la protezione dei dati personali ha espresso il proprio assenso alle novità introdotte nella gestione del fascicolo sanitario elettronico nella nota n. 37043 del 6 ottobre 2020, in cui afferma che: «tenuto conto che, anche secondo il nuovo assetto normativo, il Fse, salvo che l’interessato abbia prestato il proprio consenso, è accessibile esclusivamente dallo stesso interessato e dagli organi di governo sanitario, nei limiti soggettivi e oggettivi previsti dalla legge e nel rispetto dei criteri di sicurezza e pseudonimizzazione previsti dal predetto D.p.c.m., e che, limitatamente ai dati generati da strutture sanitarie facenti parte del Ssn, gli stessi dati sono già nella disponibilità dei predetti organi (attraverso i flussi amministrativi), ha ritenuto che il Fse possa essere alimentato, anche con i dati e i documenti relativi alle prestazioni sanitare erogate dal Ssn antecedentemente alla data di entrata in vigore del D.l. Rilancio, senza necessità di un’espressa manifestazione di volontà da parte dell’interessato». Precisa però che ciò può avvenire solo a seguito di un’adeguata campagna informativa a livello nazionale e regionale volta a rendere edotti gli interessati in merito alle caratteristiche del trattamento effettuato attraverso il Fse, con particolare riferimento alle novità introdotte dal D.l. Rilancio.

Resta sempre valido il diritto di opporsi all’alimentazione del Fascicolo

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In merito all’alimentazione dei dati storici, il Garante pone inoltre espressa condizione che sia comunque garantito all’interessato di poter esercitare il diritto di opporsi alla predetta alimentazione del Fse con i dati sanitari generati da eventi clinici occorsi allo stesso antecedentemente al 19 maggio 2020, entro un termine prestabilito, non inferiore a 30 giorni. Una trattazione particolare riguarda, infine, i cosiddetti documenti sanitari “a maggior tutela”, che dovranno invece essere caricati automaticamente nel Fascicolo in forma oscurata, consentendo comunque all’interessato di rifiutare l’alimentazione. Un apposito modello di informativa è stato predisposto, in collaborazione con l’Autorità garante per la protezione dei dati personali, ed è stato messo a disponibile di tutte le Regioni, per essere adottato e personalizzato.

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Il 5 maggio è la Giornata mondiale per l’igiene delle mani

«L’igiene delle mani è una delle azioni più efficaci per ridurre la diffusione degli agenti patogeni e prevenire le infezioni, compreso il virus Sars-CoV-2 responsabile del Covid-19». L’Istituto superiore di sanità (Iss) ricorda così l’occorrenza della Giornata mondiale per l’igiene delle mani, celebrata in tutto il mondo il 5 maggio. «In particolare – evidenzia l’organizzazione governativa sul portale Epicentro -, è possibile ridurre il rischio di infezione, proteggendo sé stessi e gli altri, seguendo alcuni accorgimenti che comprendono il lavare o igienizzare spesso le mani».

Nel dettaglio «dopo aver tossito/starnutito – si legge su EpiCentro -, dopo aver assistito un malato, prima durante e dopo la preparazione di cibo, prima di mangiare, dopo essere andati in bagno, dopo aver toccato animali o le loro deiezioni o, più in generale, quando le mani sono sporche in qualunque modo, o prima di frequentare i luoghi pubblici (come ad esempio all’ingresso dei negozi) se si sono toccati oggetti o superfici esposti al contatto di molte persone (come ad esempio la merce esposta o l’interno dei mezzi pubblici)».

È utile ricordare che il ricorso all’igiene quotidiana delle mani contribuisce alla riduzione della diffusione di virus e batteri e, nel lungo periodo, grazie alla mitigazione della diffusione dei microrganismi, riduce le infezioni rendendo a propria volta meno necessario l’uso di antibiotici e, di riflesso, alla riduzione del fenomeno dell’antibiotico-resistenza. Condizione, quest’ultima, che vede l’efficacia sempre più limitata delle principali molecole per combattere le infezioni a causa dello sviluppo di forme di difesa da parte del batterio che porta all’inutilità dell’antibiotico, rendendo dunque necessario l’uso di farmaci sempre più forti e con un maggiore spettro di azione.

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Allergie, quelle stagionali si celano dietro diversi sintomi

Le allergie stagionali sono scatenate dal contatto con i pollini di alcune specie di fiori e piante che il vento trasporta e diffonde nell’aria anche a grandi distanze. Data la periodicità dell’impollinazione, si parla di allergie stagionali per differenziare questo disturbo da altre allergie. Si usa poi frequentemente l’espressione “allergie primaverili”, non perché si limitino a questa specifica stagione, ma perché è dalla primavera in poi che s’inizia a trascorrere molto tempo all’aperto, con conseguente acuirsi dei sintomi dovuto al maggior contatto con i pollini dispersi nell’aria. In realtà, le piante che causano allergia sono molteplici e fioriscono in tempi diversi. Quando si sospetta un’allergia da polline occorre quindi prima di tutto scoprire a quale categoria di piante questo appartenga, in modo da capire quando è più presente nell’atmosfera.

La reazione dipende da un processo infiammatorio La rapida crescita dei soggetti affetti da allergia stagionale ha portato alla nascita di diversi gruppi di studio e progetti legati all’analisi della patologia con lo scopo di migliorare la qualità della vita di chi soffre di questo disturbo. Il progetto Allergic rhinitis and its impact on asthma (Aria), sostenuto dall’Organizzazione mondiale della sanità ne è un esempio e ha come obiettivo quello di ottimizzare la diagnosi e il trattamento della rinite allergica. È questo infatti uno dei sintomi più ricorrenti e problematici delle allergie stagionali, ma ce ne sono molti altri. «A contatto con i pollini verso i quali il soggetto è sensibilizzato – spiega l’Associazione centro studi allergie E.t.s. (https://www.allergenda.it/) – il sistema immunitario libera mediatori pro-infiammatori, scatenando un processo infiammatorio a carico delle vie respiratorie, con la conseguente comparsa dei sintomi come oculorinite e asma».

Tanti sintomi anche molto diversi tra loro Secondo quanto riportato in un e-book divulgato dall’Associazione centro studi allergie E.T.S.

(https://www.allergenda.it/wp-content/uploads/2020/03/ebook_allergenda_pollini.pdf), i diversi sintomi tipici delle allergie stagionali sono raggruppabili in tre categorie: quelli oculari (come congiuntiviti, prurito e arrossamento agli occhi, lacrimazione, fastidio per la luce), quelli nasali (starnuti ripetuti, naso gocciolante con secrezione trasparente, congestione, prurito in corrispondenza del naso o del palato, riduzione dell’olfatto), sintomi bronchiali (tosse secca stizzosa, respiro sibilante, difficoltà respiratoria, senso di costrizione toracica). Ci sono poi vari sintomi più generici, come cefalea frontale, dolore alle orecchie e al viso, malessere generale, stanchezza, difficoltà di concentrazione, manifestazioni cutanee come orticaria o dermatite, insonnia, irritabilità.

Come correre ai ripari Dopo aver consultato il medico ed eseguito eventuali test ed esami diagnostici per accertare l’effettiva presenza di reattività ai pollini, si potranno valutare diverse opzioni per limitare i sintomi, sia di tipo comportamentale sia di tipo farmacologico. Le cure variano a seconda della gravità e della tipologia delle reazioni allergiche e includono sia medicinali su prescrizione medica sia da banco. La ricerca ha messo a disposizioni soluzioni come spray nasali, compresse antistaminiche, colliri e broncodilatatori per gli asmatici. Naturalmente sarà sempre il medico o il farmacista a indirizzare il paziente verso la soluzione più adeguata, che può includere anche il vaccino antiallergico.

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Qualità del sonno, studio conferma peggiornamento in soggetti con intolleranze ambientali

Circa un quarto della popolazione lamenta intolleranze ambientali a sostanze chimiche, campi elettromagnetici (EMFs) e suoni. Le persone che soffrono di intolleranze ambientali manifestano molti segni clinici, uno di questi è relativo ai disturbi del sonno. I disturbi del sonno sono presenti in gran parte della popolazione, tuttavia non è ben chiaro se sono appannaggio esclusivo di coloro che soffrono di intolleranza ambientale oppure anche di individui che non soffrono di disturbi legati alla presenza di sostanze chimiche e campi elettromagnetici.

A tal proposito, è stato svolto uno studio dal titolo “Sleep and sleepiness in environmental intolerances: a population- based study”, pubblicato sulla rivista scientifica “Sleep Medicine” edita da Elsevier. Lo studio ha preso in esame un campione composto da 3406 individui di età compresa tra i 18 e i 79 anni, nel nord della Svezia, che dichiaravano di soffrire di scarsa qualità del sonno, sonno non rigenerante, sonnolenza diurna, respirazione ostruttiva e insonnia notturna.

Ebbene, è stato visto che coloro che erano esposti a sostanze chimiche, campi elettromagnetici e suoni, avevano una qualità del sonno peggiore rispetto a coloro che non soffrivano di intolleranza ambientale.

E’ stato visto quindi che i disturbi del sonno e la sonnolenza notturna sono più comuni in coloro che hanno sintomi legati all’intolleranza ambientale. Pertanto, l’insonnia notturna è di per se, un sintomo importante legato alla possibile presenza di un’intolleranza ambientale. È utile sottolineare che non ha senso quindi intervenire nel trattamento dei sui disturbi del sonno se non si conosce esattamente la causa che li genera. Solo l’allontanamento o la riduzione della causa scatenante, potrebbe essere risolutiva ai fini del miglioramento della qualità del sonno.