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Mantenersi in forma, quale (e quanta) attività fisica è necessario praticare?

Passa il tempo, cambiano gli stili di vita. Dagli anni in cui eravamo iperattivi, siamo arrivati agli anni in cui passiamo ore e ore fermi, seduti in ufficio davanti al monitor di un PC o davanti una console di gioco.
Per poter contrastare gli effetti negativi di una vita sedentaria, tra cui l’incremento di peso, è considerata abitudine salutare il praticare quotidianamente attività fisica.
Spesso però ci chiediamo: che tipo di attività fisica è necessaria per mantenersi in forma? Quali sono dei livelli accettabili di attività giusta per poter evitare di mettere sotto affaticamento l’organismo? A rispondere a queste domande è l’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha stabilito quali sono i livelli di attività fisica utile a mantenere il controllo del peso corporeo.
Le ricercatrici dell’ISS, Istituto Superiore della Sanità, Valentina Minardi, Benedetta Contoli e Maria Masocco, hanno evidenziato in un documento che «per ottenere vantaggi per la salute nell’adulto (18-64 anni) l’attività fisica dovrebbe essere praticata nell’arco della settimana per almeno 150 minuti complessivamente con intensità moderata (in media 30 minuti per 5 giorni la settimana) ovvero per almeno 75 minuti complessivamente con intensità più elevata (in media 15 minuti per 5 giorni la settimana) o ancora con una combinazione equivalente di attività di intensità moderata ed elevata».
Con riferimento all’attività cosiddetta “aerobica” le ricercatrici spiegano che questa «deve essere effettuata in frazioni di almeno 10 minuti continuativi per ottenere un vantaggio metabolico significativo». Mentre «raddoppiando il tempo settimanale raccomandato (300 minuti di attività moderata ovvero 150 minuti di attività intensa o ancora una combinazione equivalente) si raggiungono benefici aggiuntivi».
Inoltre è «indicata almeno 2 giorni alla settimana un’attività di rafforzamento dei gruppi muscolari maggiori».
Per quanto attiene invece l’intensità dell’attività fisica, le ricercatrici spiegano che «anche se per mantenersi in salute e prevenire le malattie croniche è sufficiente praticare regolarmente un’attività di intensità moderata, un’attività intensa può essere gradita ad alcune persone e ha un’efficacia anche maggiore, ma va riservata alle persone adeguatamente allenate evitando in particolare che lo sforzo intenso sia praticato sporadicamente perché incrementa il rischio di incidenti cardiovascolari».
Infine, l’attività fisica a intensità leggera, hanno «solo una modesta efficacia preventiva e non è consigliabile se non nelle fasi iniziali di “allenamento” nei soggetti sedentari, obesi o molto anziani nell’ottica di un incremento molto graduale dei tempi e dell’intensità».

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Dolore al collo, gli esercizi quotidiani sono efficaci per prevenire nuovi episodi

Il dolore al collo è uno dei più significativi problemi di salute in tutto il mondo. Secondo la Global Burden of Disease Study, è la quarta principale causa di anni vissuti con disabilità, la sua prevalenza nella vita media è stimata al 48,5% ma si prevede che aumenterà a causa dell’invecchiamento della popolazione. Il decorso naturale di un episodio di dolore al collo è favorevole, tuttavia i tassi di recidiva sono alti, e questo comporta un onere elevato in ambito sociale ed economico, a livello globale. In tutto il mondo, infatti, gli studi sull’impatto globale delle malattie hanno portato ad una richiesta sempre più forte di strategie di prevenzione di recidive del dolore al collo e mal di schiena, indicazioni assenti anche dalle più recenti linee guida di pratica clinica per tali disturbi. Sono dunque necessarie una revisione sistematica completa di alta qualità degli studi già esistenti e nuove indagini, al fine di esaminare l’efficacia delle strategie attuate sinora. Il più recente tentativo in questo senso è stato fatto su cinque studi in cui sono stati coinvolti uomini e donne di età media di 40 anni, che lavoravano come impiegati o infermieri. La meta-analisi ha rivelato che, ad oggi, la strategia più efficace per prevenire nuovi episodi di dolore al collo è un programma di esercizi effettuati sul posto di lavoro e a casa.
Tale conclusione deriva dai dati aggregati di due studi randomizzati controllati su un totale di 500 partecipanti. Uno dei due studi ha valutato un programma di esercizi che includeva lo stretching del muscolo del collo e l’allenamento di resistenza, effettuati al lavoro due volte al giorno per ogni giorno lavorativo e due volte a settimana a casa, durante tutto il periodo di studio di 12 mesi. Il secondo studio ha valutato un programma aerobico generalizzato, comprendente esercizi di consapevolezza corporea e allenamenti aerobici, di rafforzamento, stabilizzazione e stretching, integrati con formazione sulla salute e sulla gestione dello stress nonché con un esame pratico del posto di lavoro. Il programma di esercizi è stato erogato in sessioni di un’ora, tre volte alla settimana per 9 mesi, mentre la formazione in sessioni di un’ora, una volta alla settimana per 4 mesi.
Questa revisione ha dimostrato in modo più o meno convincente che un programma di esercizi, rispetto ad altri interventi, riduce il rischio di un nuovo episodio di dolore al collo, ma ulteriori studi con follow-up a lungo termine dovranno essere condotti per stabilire più chiaramente le implicazioni di questo risultato sulla salute pubblica.

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Fattori di crescita, nuova avvertenza riguardante l’aortite

Con riferimento ai fattori stimolanti le colonie granulocitarie, alcune case farmaceutiche che commercializzano in Italia determinati farmaci, in accordo con l’Agenzia Italiana del Farmaco, hanno diramato una nota informativa importante per segnalare la possibile presenza del rischio di aortite.
La segnalazione riguarda i farmaci a base di filgrastim, pegfilgrastim, lenograstim e lipegfilgrastim. Infatti, come si legge nel comunicato, «sono stati segnalati casi rari di aortite in seguito a somministrazione di G-CSF in soggetti sani e in pazienti oncologici. Tra i sintomi vi sono febbre, dolore addominale, malessere, dolore dorsale e aumento dei marcatori dell’infiammazione (per es., proteina C-reattiva e conta dei leucociti). Nella maggior parte dei casi, l’aortite è stata diagnosticata con tomografia computerizzata (TC) e si è generalmente risolta dopo l’interruzione del G-CSF».
Qualora il paziente abbia «segni e dei sintomi dell’aortite» e necessario che informino «il medico se accusano febbre, dolore addominale, malessere e dolore alla schiena».
I nomi commerciali dei medicinali a base di fattori stimolanti le colonie granulocitarie sono Granulokine, Neulasta, Ratiograstim, Tevagrastim, Zarzio, Filgrastim Hexal, Nivestim, Accofil, Grastofil, Granocyte, Lonquex, Myelostim. Pertanto sebbene «l’incidenza di aortite con filgrastim, lenograstim, lipegfilgrastim e pegfilgrastim è bassa e gli studi epidemiologici sono limitati», è necessario, nella valutazione dell’aortite, se causata da un medicinale, «considerare i G-CSF quali possibili medicinali responsabili».
Qualora fossero necessari ulteriori chiarimenti in merito a questi contenuti, o qualora il paziente stia somministrando questi farmaci, può recarsi in ogni momento dal medico curante o dal farmacista di fiducia.

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Temporali e fuochi d’artificio, i rimedi per l’ansia degli amici a quattro zampe

Nessuno teme l’estate più dei cani. I tuoni martellanti degli improvvisi temporali, i fuochi d’artificio di ferragosto, tutto quel rumore li fa impazzire. Secondo alcune stime, il 50% dei cani sperimenta ansia o panico da rumore, e il fenomeno si intensifica proprio d’estate.
Negli anni la scienza e il marketing hanno offerto vari rimedi per aiutare il più fedele compagno dell’uomo, miscele omeopatiche, erbe, feromoni, CD di temporali mischiati a Beethoven; “cappottini calmanti”, sedute di training e condizionamento positivo, e persino Prozac e Valium. Al Canine Science Forum di Budapest, i ricercatori della Scuola Veterinaria dell’Università di Berna hanno presentato i risultati di un sondaggio su 1.225 padroni a cui è stato chiesto che tipo di strategie attuassero per calmare i loro cani in preda al panico da rumore, durante temporali e fuochi d’artificio.
Circa il 70 % degli intervistati ha trovato efficaci i farmaci prescritti o le sedute di rilassamento (che male non fanno neppure ai padroni) o contro-condizionamento, in cui i cani vengono esposti al rumore dei fuochi d’artificio insieme a qualcosa di positivo. Al contrario olii essenziali, omeopatia, erbe e feromoni sarebbero efficaci solo per il 30%, mentre l’uso domestico di CD desensibilizzante funziona solo per il 50 % di essi. La strategia scelta dal 44 % per cento dei padroni consultati è invece l’americano Thundershirt, una sorta di cappottino che una volta indossato avvolge il cane con lo stesso effetto di un abbraccio.
Secondo i veterinari americani, tuttavia, la strategia migliore, più naturale e dagli esiti duraturi, è la desensibilizzazione attraverso registrazioni calibrate del rumore offensivo accanto a condizionamento positivo, ma questo tipo di pratica per ottenere risultati richiede coerenza, tempo e pazienza, e si sa, gli umani spesso non ne hanno.

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Prendersi una vacanza anche dall’attività fisica? Secondo uno studio è una pessima idea.

Nell’immaginario collettivo il relax è legato all’inattività, e ora, al culmine dell’estate, i sonnellini sulla spiaggia possono essere seducenti e molti potrebbero essere tentati di prendersi una vacanza prolungata anche dall’esercizio fisico, eppure potrebbe essere una pessima idea con conseguenze durature, resistete.
Due nuovi studi, condotti rispettivamente su giovani e anziani, hanno infatti dimostrato che ridurre anche temporaneamente l’attività fisica quotidiana ha conseguenze metaboliche che possono essere anche pervasive e persistenti, prolungandosi in una certa misura anche dopo il ritorno alla routine.
L’attività fisica è, ovviamente, un bene per noi e per il nostro metabolismo. Tra i tanti effetti positivi, ad esempio, la contrazione dei muscoli brucia lo zucchero nel sangue come fa il carburante in una macchina  e, in risposta ai segnali dell’insulina ormonale, ne conserva anche un po’ come riserva per l’uso futuro. A lungo termine, queste condizioni aiutano il nostro corpi a evitare l’innalzamento dei livelli di glicemia, l’insulino-resistenza e il diabete di Tipo 2. Ma cosa succede quando, a seguito di scelte o circostanze, non ci esercitiamo o restiamo inattivi per un certo periodo di tempo? In alcuni studi precedenti con giovani sani e attivi, spesso studenti universitari, le conseguenze sono state rapide ma reversibili. Quando questi volontari si sono dedicati ai loro letti e alle loro sedie per giorni interi nell’interesse della scienza, spesso hanno sviluppato un aumento della glicemia e alcuni dei primi sintomi di insulino-resistenza. Ma entro un giorno o due dal ritorno alle loro normali attività, il loro usuale metabolismo si è stabilizzato e i livelli di zucchero nel sangue e di insulina sono diminuiti Ma per coloro che non sono robusti, giovani studenti universitari? La risposta l’hanno fornita proprio i due nuovi studi. In quello pubblicato a giugno su Diabetologia, i ricercatori dell’Università di Liverpool in Inghilterra hanno chiesto a 45 uomini e donne adulti di iniziare bruscamente ad essere sedentari. I volontari erano stati attivi in ​​precedenza, camminando per più di 10.000 passi nella maggior parte dei giorni, secondo le tecnologie di monitoraggio che avevano indossavano per diversi giorni prima dell’inizio dello studio. Inoltre erano metabolicamente sani e, test alla mano, privi di diabete, sebbene avessero parenti prossimi con questa patologia. Durante lo studio, i volontari hanno semplicemente smesso di muoversi molto, riducendo le loro camminate quotidiane a meno di 2000 passi e sedendosi per più di tre ore e mezza al giorno, una routine che hanno continuato per due settimane.I ricercatori hanno quindi ricontrollato i loro metabolismi e composizioni corporee e hanno chiesto loro di tornare ai loro precedenti livelli di attività per altre due settimane, dopo di che hanno ripetuto i test.
I risultati si sono dimostrati coerenti e allarmanti. Nelle loro due settimane di inattività, i volontari hanno quasi tutti sviluppato ciò che gli scienziati chiamano “disordini metabolici”. I loro livelli di zucchero nel sangue sono aumentati, la sensibilità all’insulina diminuita, i profili di colesterolo sono diventati meno sani, e hanno perso un po’ di massa muscolare nelle gambe mentre sono ingrassati attorno all’addome.
Per fortuna, la maggior parte di questi squilibri si sono invertiti una volta che uomini e donne sono tornati attivi.
Ma per ragioni sconosciute, alcuni dei volontari non sono tornati allo stesso livello di esercizio in cui erano impegnati prima. Rispetto al periodo precedente all’esperimento, hanno ridotto la vigorosa attività settimanale e hanno avuto alcuni sintomi lievi ma duraturi di resistenza all’insulina, anche a due settimane dal ritorno all’attività.
Le conseguenze dell’improvvisa inattività sono state più gravi e pregnanti in un altro nuovo studio, pubblicato a luglio su The Journals of Gerontology, che si è concentrato sulle persone in sovrappeso oltre i 65 anni che erano già a rischio di sviluppare diabete perché avevano glicemia alta, ma comunque tutti sani e attivi, con una media di circa 7.000 o 8.000 passi al giorno. Anche in questo caso i volontari per l’esperimento hanno ridotto le loro passeggiate, percorrendo 1000 passi al giorno per due settimane, prima di riprendere la loro normale attività, Come gli adulti nell’altro studio, nelle due settimane di sperimentazione questi volontari anziani hanno sviluppato rapidamente un peggiore controllo della glicemia e un notevole aumento della resistenza all’insulina. Alcuni hanno sviluppato cambiamenti nel tessuto muscolare, indice di un possibile inizio di perdita di massa muscolare, e alcuni sono stati addirittura rimossi dallo studio perché hanno sviluppato un diabete di Tipo 2 dopo il periodo di inattività.
Per la maggior parte degli uomini e delle donne che sono rimasti nello studio, i cambiamenti metabolici indesiderati non sono stati completamente annullati dopo due settimane di nuovo esercizio fisico.
La conclusione di questi risultati è che dopo alcune settimane di inattività potremmo trovarci meno in forma e in salute, forse per un periodo di tempo anche lungo, con conseguenze amplificate dall’aumento dell’età, spiega Chris McGlory, ricercatore in kinesiologia presso la McMaster University del Canada, e capo del team  di questo secondo studio: ‹‹Non è raro che le persone anziane si ammalino o si feriscano e finiscano per essere ricoverate in ospedale o in casa per diverse settimane, oppure che i più giovani decidano di prendersi qualche settimana di riposo dall’esercizio  e dall’attività fisica regolare, ma se possibile non smettete di muovervi”. Lo stesso specialista suggerisce di parlare con un fisioterapista delle opzioni di attività fisica, nel caso di ricovero in ospedale o immobilità forzata.
Insomma, invece di prendere una vacanza dall’attività fisica, considerate la possibilità di inserire l’esercizio fisico nella vostra vacanza, del resto la spiaggia può essere invitante tanto per un sonnellino quanto per una passeggiata romantica o rinfrescante.